
Autore: Costantini Roberto
Casa Editrice: Marsilio
Genere: Romanzo
Pagine: 700
Prezzo: 19.50 €
Non coglie il riflesso del coltello, Nadia Al Bakri, nella nebbia di sabbia avvolta nel sibilo del vento di Tripoli, nel 1969. Non cerca solo un assassino, ma un traditore, un nemico personale, il commissario Balistreri, a Roma, nel 1982. Perché per lui sono la stessa cosa.
Due flash scritti in carattere corsivo, posti ancor prima del prologo, danno il via a 700 pagine che scivolano veloci, rapide, che ti inchiodano vincendo anche il sonno. E che compongono il secondo “capitolo” di quella “trilogia del male” che Antonio Costantini ha iniziato con “Tu sei il male”. E che, ondeggiando tra gli Anni Sessanta in Libia, dove Balistreri cresce, e l’eco non poi così lontano di quanto accade in Italia, e gli Anni Ottanta a Roma, dove il protagonista svolge il suo lavoro di poliziotto, porta sulla scena episodi che si intrecciano, si intersecano, svelandosi solo alla fine, viaggiando su binari che sembrano diversi, che si percepiscono intrecciati e che solo in fondo si svelano, lasciando costantemente con il fiato sospeso.
Storie solo apparentemente a se stanti, come quella che apre la prima parte in maniera concisa, spiazzante: “Sto in piedi, con la tunica appiccicata addosso per il sudore della paura. […] Al collo ho una corda, sento il grosso nodo che preme sulla gola. Mi stringe ma non così tanto da impedirmi di respirare. Se sto dritta. Perché se provo a piegarmi sulle ginocchia o a sedermi, il cappio mi strangola”. Preludio di un omicidio che sarà duplice, ma che trascinerà prima una madre in una disperazione che annienta e in confronto alla quale la propria morte violenta sembra il nulla.
C’è l’infanzia di Balistreri, in questo Alle origini del male, ci sono i rapporti familiari, le figure di un padre e di una madre avvolte comunque da segreti e misteri. C’è l’amicizia suggellata spesso da episodi di violenza che diventano più che patti di sangue.
C’è una lunga parte dedicata alla Libia della fine degli Anni Sessanta, che unisce la storia alle vicende personali, che inserisce accadimenti propri alla situazione che il Paese sta attraversando.
E ci sono, circa ventanni dopo, Roma e un delitto strano di cui Balistreri deve occuparsi suo malgrado: l’omicidio di una giovane argentina in cui si imbatte mentre sorveglia la figlia ventenne di un collega.
Fatti lontani nel tempo, avvenimenti che, anche quando avvengono invece in contemporanea, sembrano totalmente scollegati, ma non lo sono mai. Fili invisibili che collegano storie di donne che diventano vittime, nel passato come nel presente, e che non possono dirsi avulse dalla storia personale di Balistreri, della sua famiglia, delle sue amicizie.
Alla fine, anche se è Balistreri il fulcro della narrazione, sono le donne a tracciare invece la trama. Le donne che in qualche modo, come madre, come amanti, come vittime, entrano nella sua vita e la condizionano, la determinano. Nel bene, forse, ma soprattutto nel male.
Balistreri è sempre uguale: verrebbe spontaneo definirlo un po’, un bel po’, misogino e un altrettanto bel po’ violento o comunque mosso da istinti che non ne fanno fulgido esempio di virtù. Eppure non si riesce mai a detestarlo, quasi riuscendo a scorgere nella rabbia che muove le sue azioni anche più abiette la voglia di arrivare alla giustizia. Scorretto ma capace di farsi amare. Se non da chi lo circonda, sicuramente da chi lo legge. Lui stesso, a un certo punto del libro, si definisce “naufrago su una zattera sballottata nel mare in tempesta”, e poco importa che a parlare sia in quel momento un Balistreri adolescente. Questa è un’immagine che lo accompagna per tutto il libro.
Un romanzo, questo di Costantini, che coinvolge e lascia senza fiato, portando il lettore verso quell’epilogo che non è una fine, che sembra dover arrivare inesorabile. E che qualche volta, quando le cose si spiegano, fa parteggiare per chi, anche in modo violento, anche agendo al di fuori dei margini della giustizia, punisce il colpevole. A modo suo.