È appena uscito il suo ultimo psico-thriller e lei, è l’autrice da un milione e mezzo di copie vendute. Ruth Ware, best seller del New York Times dai testi tradotti in oltre quaranta lingue, è venuta a Milano e noi l’abbiamo incontrata in esclusiva insieme a pochi altri privilegiati.
“Il gioco bugiardo” – the Lying Game in lingua originale – è il terzo romanzo thriller firmato Ruth Ware che sta facendo impazzire i lettori di tutto il mondo.
Completamente basato sull’amicizia femminile “da liceo”, ma attraverso una storia proiettata a 17 anni dopo l’adolescenza: le quattro amiche protagoniste hanno oggi 30 anni e famiglia, ma non hanno ancora dimenticato la goduria che solo una dipendenza può esaudire, quella del loro gioco preferito da adolescenti “Il gioco delle bugie”.
Ed è proprio a causa di questo loro ingordo passatempo, che oggi, da adulte, devono riunirsi e nel luogo dove ieri, tutto ha avuto inizio.
Quando è uscito il mio primo libro, in italiano “Il bosco scuro scuro”, fu pubblicata una recensione che diceva che il mio testo aveva fatto per l’amicizia tra donne, quello che il libro “L’amore bugiardo” aveva fatto per il matrimonio, cioè che avevo descritto un’amicizia tra donne assolutamente tossica. Ovviamente fui molto colpita che il mio libro venisse paragonato ad “Un amore bugiardo”, ma al tempo stesso iniziai a sentirmi molto in colpa nei confronti delle mie amiche, soprattutto delle più care, coloro che mi hanno sempre supportata e con le quali ho un legame speciale da anni. Poi pubblicai il secondo libro che trattava di un argomento totalmente diverso. Ma quando iniziai a scrivere il terzo, ancora una volta sull’amicizia, decisi che avrei voluto fare una cosa molto differente. Avrei voluto raccontare del lato più bello dell’amicizia tra donne, raccontare cosa sono capaci di fare le donne quando sono amiche.
Nei primi due libri i personaggi principali erano sempre giovani donne, tra i 20 e i 30 anni al massimo, ma mi capitava spesso in quel periodo di leggere libri di donne che avessero appena avuto dei bambini – io stessa ne avevo da poco avuti due, quindi sentii dentro di me il desiderio di scrivere qualcosa che avesse come personaggio una donna che si trovasse a dover affrontare le stesse difficoltà che stavo affrontando io: gestire contemporaneamente la maternità, la famiglia, il lavoro, gli amici. Volevo scrivere un libro che trattasse anche di quello che un genitore è disposto a fare nel momento in cui diventa genitore, e parlare di questo cambiamento: prima di un bambino gli amici sono la cosa più importante della tua vita e saresti pronto a tutto per loro, poi nascono i tuoi figli ed improvvisamente l’asse si sposta verso la famiglia, il partner, i bimbi.
Penso, con i personaggi che ho inserito nel libro, di esser riuscita ad affrontare bene questo tema”.
Siamo al tuo terzo libro e siamo alla terza volta in cui troviamo solo donne come protagoniste della storia che racconti, come mai? Un gruppo di donne permette ad un autore di “giocare di più” grazie alle mille sfaccettature che la donna ha rispetto all’uomo? Perché non si racconta mai di amicizia fra uomini?
Penso che la prima motivazione per cui scrivo di donne sia perché io sono una donna! Diciamo che mi è più facile capire cosa pensa una donna, come può sentirsi una donna, quali possono essere le dinamiche fra un gruppo di amiche donne. Se devo parlare di un uomo devo mettermi nei panni di un uomo; ci posso riuscire, ma sarebbe frutto di uno sforzo. Invece le donne di cui parlo.. Mi sembra di conoscerle da sempre, persino di esserci uscita a cena o di aver preso un caffè insieme. In realtà, penso che non siano abbastanza i libri che parlano dell’amicizia fra donne, secondo me ce ne sono ancora troppo pochi. In Italia avete Elena Ferrante, i cui libri mi piacciono moltissimo e che forse sono così belli perché il fulcro è proprio l’amicizia fra donne. Forse è vero invece che non ci sono tanti libri che trattano dell’amicizia fra uomini, magari perché gli uomini non sono capaci di stringere forti amicizie? Non lo so.
Qual è il limite dell’amicizia?
Questo è proprio il cuore del libro che ho scritto. Esplorare ed investigare dove sta il limite estremo dell’amicizia. Dove smettiamo di soccorrere un amico? Ho provato ad esplorare quello che succede quando questi limiti vengono superati, oppure cosa succede quando l’amicizia incomincia ad entrare in contraddizione con aspetti prioritari della nostra vista, per esempio nei confronti del rapporto con il nostro partner.
Come è nata l’idea del “Gioco delle Bugie”?
Quando ho cominciato a scrivere il libro sapevo che avrei voluto scrivere di amicizia, e sapevo anche di voler utilizzare come set della storia un collegio, perché volevo che i personaggi fossero lontani dalla propria famiglia e i propri affetti, in modo da creare un’atmosfera molto intensa. Come se il nucleo di amici costituisse di per sé una famiglia. E volevo anche inserire un elemento tossico nel libro: all’inizio avevo dato un titolo provvisorio che era “The Drawing Game” – il gioco dell’affondare. Ma questo progetto non mi funzionava. Cosi capii che sarebbe stato forse più interessante raccontare di menzogne, che costituivano la vita intera dei personaggi. Le mie protagoniste iniziavano a raccontavare bugie per sopravvivere, si era creato questo meccanismo di “noi” e “voi”: le ragazze si erano isolate, avevano creato una distanza tra loro ed il resto del mondo attraverso le bugie. Poi come scrittrice io sono una “bugiarda professionista” perché qualsiasi autore deve un po’ mentire ed inventare: mi sembrava interessante fare un passo in più ed andare oltre.
È nata prima l’idea delle bugie o l’idea del messaggio che volevi trasmettere?
Sono partita dall’idea di voler scrivere dell’amicizia. Io sono cresciuta vedendo film come “-I know what you did last summer”, dove il personaggio ha fatto qualcosa di molto brutto nel passato. Però in questi casi normalmente la rivelazione avviene molto presto nella trama. Io invece pensavo che sarebbe stato molto più interessante se il segreto fosse tenuto nascosto per molto più tempo nella vita dei personaggi, e fosse emerso dopo 10 o 15 anni, quando ormai erano cresciute e avevano molto da perdere. Tra reputazione professionale e famigliare i miei personaggi hanno veramente tanto da perdere con la scoperta del segreto. Non ricordo quale sia stato l’ordine, se prima la storia o prima il significato. Sicuramente la prima cosa è stata l’amicizia, poi hanno incominciato i personaggi stessi a parlarmi, e da lì è partito tutto.
Perché la scelta di far parlare in prima persona Isa e non le altre co-protagoniste?
Ho sempre voluto creare quattro personaggi, perché volevo vedere quali effetti la storia potesse avere su persone diverse, come differenti persone potessero reagire allo stesso evento. Ho sempre pensato Isa come narratore, principalmente perché era lei che da poco aveva vissuto l’esperienza della genitorialità, e mi interessava capire quanto una persona fosse pronta a mettere in discussione il proprio figlio in una tale situazione.
C’è stato un momento in cui ho pensato di dividere il libro in diverse sezioni, affidando ad ogni personaggio la narrazione di una sezione diversa. Ma siccome erano tutti personaggi simili (stesso background socio-economico, stessa età, stesso genere) pensavo sarebbe stato difficile dare ad ognuna di loro una voce identificabile. Non so voi, ma io, quando leggo un libro con due o tre narratori differenti, provo un fastidio ed una confusione che non riesco mai a ricordare di chi si tratta o chi stia raccontando: devo continuare a tornare indietro e schiarirmi le idee.
Il quinto personaggio: il luogo. Descritto nel dettaglio e alla perfezione. Sembrava quasi fosse inevitabile che in un posto del genere succedesse qualcosa di brutto.
I luoghi che descrivo per me sono centrali, cerco sempre di farli trasparire come un ulteriore personaggio. Mi piace viaggiare con la scrittura e scoprire luoghi nuovi, che non ho mai conosciuto in realtà. L’ambientazione è una delle primissime cose che ho deciso quando ho incominciato a pensare a questo libro. In particolare il mulino: tutto nacque quattro o cinque anni fa, quando mi trovavo in vacanza in Francia con la mia famiglia, nel villaggio di Saint Suliac , che viene descritto come uno dei più bei paesi della Bretagna. È in effetti un posto meraviglioso, ma allo stesso tempo un po’ tetro quasi gotico. È un villaggio di pescatori che addobbano le loro case con le reti da pesca, e molto spesso rimangono a vista piccoli granchi o pesci morti attaccati alle reti. Una mattina stavamo andando a comprare il pane in macchina e passammo per caso davanti ad una palude con un vecchio mulino: una silhouette nera, molto scura, bellissima ma allo stesso tempo tetra. Pensai in quel momento che prima o poi avrei dovuto inserirla in un mio libro. Ci sono voluti 4 o 5 anni.. ma alla fine ce l’ho fatta!
Quanto hanno di te i personaggi de “Il gioco bugiardo”?
Diciamo che c’è sicuramente del vero in tutti i personaggi, qualche caratteristica che mi piaceva inserire di persone che mi sono vicine. Ma nessun personaggio è la rappresentazione esatta di qualcuno. La stessa Isa, voce narrante, non è assolutamente me. Posso dire che come Kate ha perso i genitori da piccola, anche io ho perso i miei, e quindi il suo modo di reagire a questa perdita è molto simile alla mia reazione.
I tuoi libri appartengono alla categoria del “Romanzo Psico-Thriller”: perché questa ricorrenza? Che rapporto hai con la psiche, la psicologia, la mente delle persone? In qualche recensione sei stata definita come la classica autrice cresciuta a “pane e Agatha Christie”, è vero? La tua è solo una scelta di scrittura o sei propensa all’interesse nella psicologia anche nella tua vita privata?
Non in senso scientifico. Ho studiato Inglese all’università e non ho mai studiato psicologia. Ciò che realmente mi interessa e mi rende veramente curiosa è quello che le persone pensano, come pensano e da cosa sono portate ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro. Cosa scatta nella mente delle persone in determinate situazioni. Io amo stare seduta al ristorante e ascoltare quello che le coppie intorno a me si stanno dicendo! Sono la tipica persona che ascolta la conversazione della coppia al tavolo accanto e cerco sempre di capire perché “Lei” sta reagendo in quel modo, o perché “Lui” sta rispondendo così.. Sono davvero attratta dalle motivazioni dell’agire, e soprattutto dalle ragioni che le persone raccontano a se stesse di fronte ad una scelta o un’azione. Perché sono convinta che quando ti accade qualcosa, l’aspetto più interessante è ciò che dici a te stesso, magari raccontandoti una versione dei fatti un po’ più nobile del reale, un po’ meno dura.
Guardi le serie TV? Ti piacerebbe pensare ad una versione televisiva di questo ultimo romanzo?
Io adoro le serie TV! Quella che fra tutte mi è piaciuta di più lo scorso anno è “Big Little Lies”. Esiste una serie chiamata “The Lying Game” (“The Lying Game è il titolo originale de “Il Gioco Bugiardo”, ndr), ma io non la conoscevo, forse perché non è arrivata in Gran Bretagna. Quando però ho annunciato il titolo del mio ultimo libro su Twitter sono stata invasa da tweet esultanti perché credevano che stessi dando un seguito all’omonima serie, terminata all’improvviso qualche anno fa. Ero disperata, se l’avessi saputo avrei scelto un altro titolo perché non c’entrano assolutamente niente. Il libro è già stato opzionato da una casa di produzione cinematografica per diventare una Serie TV, c’è già un ipotetico casting e sarebbe molto interessante..
In questo libro si notano personaggi semplici, molto vicini alla realtà, che potrebbero assomigliare a noi o ai nostri vicini di casa. E, in contrasto, luoghi assolutamente meravigliosi e che comunicano tantissimo, che creano il “magico” del tutto.
Effettivamente a me piace scrivere di persone normali in contesti assolutamente insoliti. Perché mi piace esplorare e capire io come reagirei se mi trovassi in quella situazione.
Si parla di donne, si parla di dipendenze dalle bugie e dall’amicizia tossica, ma anche dalla figlia per quanto riguarda la protagonista. Questi tre temi (donne, bugie, dipendenza) si ripetono e intersecano: perché la scelta di una bambina femmina, perché ancora una volta non un maschio?
Questo l’ho fatto apposta. Proprio perchè non volevo che qualcuno abbinasse me a Isa. Quello che fa Isa, suo marito, la bambina, non hanno assolutamente niente a che fare con la mia vita, i miei figli (ne ha due, ndr) e mio marito. Proprio per questo ho scelto una bimba. Poi Isa, in un certo senso, ripercorre la sua gioventù e si perdona, pensa: se fosse successo a mia figlia come avrei reagito io? E anche questa elemento, quello dell’impersonificazione è stato possibile soltanto grazie ad una figlia femmina.