A tu per tu con …. Gioele Dix

Se il lunedì per il teatro è solitamente giorno di riposo, il Teatro Franco Parenti di Milano non ama sprecare la giornata e spesso converte la pausa delle scene in momenti di incontro col pubblico: lo ha fatto anche lunedì 17 marzo, ospitando la presentazione di un autore, Gioele Dix, che siamo più abituati a vedere sul palcoscenico nelle vesti di attore e comico, ma che dopo una serie di libri e manuali votati alla risata giunge al suo secondo romanzo, Quando tutto questo sarà finito. Storia della mia famiglia perseguitata dalle leggi razziali, edito da Mondadori, andando a toccare una tematica delicata quale la persecuzione degli ebrei.

A interloquire con lui è Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, prima di lasciare spazio alla lettura di alcuni passi scelti da ospiti illustri e amici di vecchia data di Gioele Dix: Ottavia Piccolo, Gino e Michele, Bruno Pizzul e Andrée Ruth Shammah, direttrice del teatro, il tutto davanti a uno spettatore molto particolare, nominato più volte nel corso del libro e dunque dell’incontro, ovvero Vittorio Ottolenghi, padre di Gioele Dix.

Dal romanzo, fa notare De Bortoli, emerge a tratti anche il Gioele Dix teatrale, in alcuni passaggi, in certe descrizioni che, come dirà Ottavia Piccolo, sembrano fatte con un tono più leggero quasi a non spaventare il lettore mentre gli racconta episodi estremamente angoscianti quali può vivere una famiglia costretta dalla mattina alla sera ad abbandonare tutto e fuggire: come il momento in cui, a pochi passi dalla salvezza, ci si sente dire “non potete passare tutti” e il papà è pronto a sacrificarsi e restare per permettere al resto della famiglia di salvarsi, ma gli altri scelgono di rimanere uniti.

Quello che colpisce – afferma Gioele Dix – è che il paese reale era contrario alla situazione che si stava creando e lo dimostrava attraverso i piccoli eroismi di gente comune che rischiava la propria vita per salvare degli sconosciuti: dall’altra parte, però, c’era una macchina burocratica che si è dimostrata molto attenta ed efficiente nel rafforzare le leggi razziali, producendo continuamente nuovi regolamenti che divenivano via via più grotteschi e minuziosi e addirittura umilianti: non ci si poteva iscrivere a corsi sportivi, non si poteva possedere una radio, c’era il divieto di allevare piccioni viaggiatori. Ad un certo punto fu chiaro che l’unica speranza di sopravvivenza era la fuga”.

De Bortoli chiude il suo intervento sottolineando l’importanza di libri come Quanto tutto questo sarà finito, che scavano in un passato doloroso, molto spesso nascosto perché ritenuto addirittura fonte di vergogna, ma rappresentano un dono straordinario, perché “attraverso tanti piccoli mattoncini costruiscono un edificio della memoria che diventa difficile da abbattere”: dopodiché è il libro stesso a parlare, attraverso le letture degli amici invitati da Gioele Dix.

Michele, leggendo il primo capitolo, esalta la potenza di questo romanzo di emozionare “perché scritto come se fosse buttato là, semplice e diretto”, mentre Gino sceglie un capitolo intitolato “Cattolica” in omaggio alle sue origini romagnole, dove l’ufficiale che si trova a mandare via la famiglia Ottolenghi da Viareggio, dove si trovava in villeggiatura, perché “il luogo è troppo elegante per voi”, sembra quasi schifato egli stesso dalle leggi assurde che si trova a far rispettare. Ottavia Piccolo sceglie il momento toccante nel quale la famiglia supera il confine con la Svizzera con l’aiuto del finanziere Emilio, mentre Bruno Pizzul dà vita ai primi tempi dell’esilio, ricordando la sua esperienza personale nel periodo dei 42 giorni di occupazione a Trieste, dove non si sapeva più di chi ci si poteva fidare. La chiusura spetta ad Andreé Ruth Shammah con il ritorno a casa e le conseguenze di quel periodo: chi non è più riuscito a dormire senza incubi, chi sobbalzava ancora al suono di un campanello, ma per tutti l’imperativo era stato di riprendere in mano le proprie esistenze.

Laureata in Scienze dei Beni Culturali, giornalista pubblicista, da sempre grande lettrice: a sei anni prima ancora di andare a scuola grazie alla nonna sapevo già leggere e scrivere, a 8 anni ho scritto il mio primo racconto su un mago che perde il suo libro di incantesimi. Spero un giorno di vedere sugli scaffali il mio libro, nel frattempo cerco di imparare dagli altri il più possibile e spero di consigliare i nostri lettori condividendo con loro le mie sensazioni.

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