Un nuovo intenso romanzo, in cui il mestiere di scrivere è mezzo e rappresentazione di temi e sentimenti forti: Gianrico Carofiglio ha raccontato ad un gruppo di giornalisti e lettori nella sede del Corriere a Milano “Il bordo vertiginoso delle cose”, Rizzoli editore, nel quale gli spunti autobiografici, anche se mescolati con l’invenzione letteraria, sono davvero molti.
L’incontro, organizzato da Rizzoli ha preso le mosse dalla visione del breve ed incisivo booktrailer, che è subito sorprendente e mostra le immagini della manifestazione svoltasi a Bari il 30 novembre 1977 per ricordare Benedetto Petrone, un ragazzo ucciso due giorni prima dallo squadrismo fascista del tempo.
Una delle tematiche centrali di questo romanzo poliedrico è dunque la violenza, il suo insinuarsi nella vita di tutti i giorni e la possibilità che sia fatale. Il periodo approfondito è quello degli anni di piombo, quindi lo scontro fisico che da pura inclinazione personale diventa anche politica.
Così Carofiglio ha raccontato che lui l’ha sperimentata davvero, con i rischi e l’ambivalenza della pulsione che porta a lottare e del disgusto che segue una scena di lotta. La fisicità dello scontro rimanda anche al rapporto con la scrittura, vissuta come un impegno faticoso, un corpo a corpo estenuante, “un mestiere da duri”.
“Sono uno scrittore indisciplinato. Riesco a scrivere solo nel caos, in aereo, in treno, nelle interminabili sedute al Senato. Avevo persino comprato uno studio che dava sul lungomare: l’ ho dovuto affittare, tanto lì non riuscivo a scriverci una sola riga. C’era troppa pace”. La sua scrittura dunque vive di tempi dilatati e di momenti di composizione intensi e folgoranti non appena si avvicina la scadenza.
Altra sorpresa di questo romanzo: un punto di vista insolito e coraggioso. Gli abbiamo chiesto come è nata la scelta di scrivere in seconda persona, in un affascinante sdoppiamento del protagonista tra presente e passato. Il tu nella letteratura italiana in effetti è stato usato ad esempio da Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, rivolto però al lettore. Carofiglio invece si è ispirato al romanzo minimalista americano “Le mille luci di New York” di Jay MacInerney e si guarda bene dal nasconderlo: “Ci sono scrittori che affermano di non leggere mentre scrivono per non farsi influenzare. Per me è il contrario, io desidero mostrare le contaminazioni. Il tu significa che quel personaggio è scisso , è amareggiato e non è equilibrato, ha rabbia dentro di sé. Con il tu si può usare maggior cattiveria nel dirsi le cose”
Nel romanzo d’altra parte anche la scrittura è direttamente protagonista: Enrico Vallesi, autore di successo in crisi, per caso legge un nome ben conosciuto su un giornale e si mette in viaggio per un conto da chiudere con il suo passato. La storia dell’iniziazione alla violenza si unisce a quella letteraria e il giovane per hobby scrive gli incipit di romanzi famosi e li conserva. Tutto questo per lui ha un valore preciso. Simboleggia l’inizio di qualcosa di indimenticabile. E poi, ancora una volta, c’è la riflessione sul passato e la sovrapposizione di piani temporali dell’esistenza, che ognuno di noi reinventa quando racconta a se stesso e agli altri.
I suoi personaggi si muovono in un rapporto continuo con il caso, da cui l’autore è dichiaratamente affascinato. D’altra parte si sa, Carofiglio dedica molto spazio al significato profondo delle parole e all’approfondimento filosofico, ma il bello dei suoi romanzi è che i protagonisti vivono tutto ciò nel quotidiano in una identificazione continua di pensiero con il lettore. Infine – ma non è proprio tutto, s’intende – c’è anche l’amore e non manca un finale aperto, anzi apertissimo: “mi piacciono le storie che continuano dopo che il romanzo è concluso” dice l’autore compiaciuto e ci consegna il compito di fantasticare dopo la chiusura delle pagine riflettendo sull’incespicare nelle cose della vita come fanno i suoi personaggi.