Emmanuelle de Villepin è una scrittrice francese che al 1988 vive stabilmente a Milano con il marito e le tre figlie. Dal 2006 è vicepresidente della fondazione Dynamo e dal 2011 è presidente dell’Associazione Amici di TOG (Together To Go), un Centro di eccellenza dedicato alla riabilitazione di bambini colpiti da patologie neurologiche complesse. Il suo ultimo libro La parte del diavolo, edito da Longanesi, è una storia familiare che attraverso il punto di vista della nonna Christine, 86enne dinamica e anticonformista, e il legame con la figlia Christine e la nipote Luna, viene raccontata con delicatezza e ci induce a riflettere sulla vita e i legami che in essa si creano.
Mi ha incuriosito molto in questo libro l’idea di approfondire la dinamica relazionale di tre generazioni: trovo che sia una tematica molto attuale, in un’epoca in cui stiamo attraversando dei cambi generazionali repentini.
Ogni generazione tende a reagire a quella che l’ha preceduta e di solito a fare il contrario. E’ una sorta di spirale. Questo tema ad esempio viene trattato nel libro “Le correzioni” di Franzen. Mi divertiva uscire dal cliché della madre conservatrice noiosa e della figlia per forza trasgressiva e ribelle. Secondo me non è sempre così: ci sono figli che hanno l’esigenza di essere più inquadrati e questo può essere faticoso per il genitore anticonformista.
Credo sia un libro da consigliare a chi ha bisogno di fare chiarezza nei rapporti familiari.
Io scrivo soprattutto perché mi piace, ma ho sempre il desiderio di trattare qualche tema che a me sta a cuore e che credo possa interessare il lettore. In questo caso l’idea era di raggiungere appunto queste zone buie che ci sono nel rapporto madre e figlia, perché si tratta della forma d’amore più radicale. Le zone d’ombra ci sono in tutte e due i sensi, come ci insegna la psicanalisi: la figlia deve “ammazzare” la madre, ma a sua volta la madre tende a soggiogare la figlia. L’idealizzazione dei rapporti non è più possibile: ci sono lucie e ombre. La fiaba di Shrek, da questo punto di vista, è geniale, perché racconta la rivendicazione di un amore possibile al di là dell’idealizzazione.
L’aspetto difficile spesso è però proprio quello di accettare le zone d’ombra.
La mia protagonista elabora le sue relazioni su due binari: il primo prevede che non ci sia la necessità di esternalizzare, di saper tutto l’uno dell’altro, anche perché se sai tutto inevitabilmente sei ferito e deluso dai lati dell’altro che non ti piacciono. Occorre coltivare un po’ di mistero per vivere delle relazioni sane. Detto questo, non bisogna chiedere troppo all’altro, perché anche lui ha sulle spalle il peso della realtà quindi non può essere un principe azzurro.
In questo libro ha anche inserito dei riferimenti alle teorie e al personaggio di Rudolf Steiner, come mai questa scelta?
Volendo inserire un aggancio storico al mio discorso sulla trasgressione ho deciso di rifarmi alla figura di questo scienziato che un secolo fa, negli anni Venti, in un periodo di grande conflittualità e al tempo stesso di potenzialità artistica ha elaborato un pensiero dirompente, in grado di far saltare gli schemi.
Il romanzo è incentrato sulle donne, ma ci sono anche interessanti figure maschili. Degli uomini che cosa ha voluto mettere nel romanzo?
“La parte del diavolo” riguarda proprio loro: è un lato più facile da affrontare per un uomo che per una donna, perché sull’universo femminile ci sono delle aspettative pesantissime. Basta fare un semplice esempio: se l’uomo parla delle sue avventure amorose è simpatico, se lo fa la donna è da censurare.
La fedeltà è un miraggio?
E’ l’aspetto più difficile di una relazione, perché volersi bene è facile ma non guardare la donna o l’uomo del vicino non lo è altrettanto! Christiane distingue il desiderio dall’amore, che sono antitetici: il primo ha l’esigenza della distanza invece il secondo della vicinanza e quindi combaciano per poco tempo, non per tutta la vita. Per lei essere tradita non vuol dire non essere amata. Io però capisco anche Catherine, perché essere tradite non piace a nessuno…
La protagonista a un certo punto dice che non bisognerebbe mai tornare sui propri passi, mentre in realtà sta ripercorrendo la propria vita: che rapporto ha con il passato?
In questo caso Christiane è ambigua, perché raccontando la sua storia ci spiega che ogni azione ha avuto conseguenza, mentre in questa frase quello che intende dire è che non bisogna mai farsi prendere dall’autocommiserazione. La mia protagonista non lo farà mai: a un certo punto quello che è stato è stato occorre guardare avanti o almeno al momento.
Le ambientazioni sono molto curate e suggeriscono un’atmosfera rarefatta e serena. Sono riferimenti autobiografici?
Sono in effetti le ambientazioni della mia infanzia: alla fine ogni autore cerca di descrivere un mondo che conosce. Naturalmente poi la distanza che si crea nel tempo dà un tocco di distanza e di dolcezza. Io sono un po’ retrò come scrittrice e ne vado fiera…
Ci dia allora qualche consiglio di lettura, sia classico che moderno…
Un libro che mi ha molto appassionato tra le ultime uscite è quello di Ian Mac Ewan “La ballata di Adam Henry” in quanto tocca un tema forte come l’eutanasia. Poi adoro i romanzi di Romain Gary, “La vita davanti a sé e “La promessa dell’alba”. Per i grandi classici consiglio di leggere in generale gli autori russi e come italiano “La coscienza di Zeno”.