Alla fine di un buon libro qualche perplessità rimane sempre. Solo lo scrittore può sanare quella sadica curiosità che si insinua nel lettore pagina dopo pagina. Questo l’incipit che ha dato il via all’intervista che abbiamo proposto ad Alessandro Maiucchi, autore di Ossa, thriller edito dalla Arduino Sacco editore di Roma, da me recensito su queste pagine. Ecco cosa ci ha raccontato.
Alessandro Maiucchi, benvenuto sul nostro giornale di approfondimento letterario Gli amanti dei libri. Partiamo subito con una domanda secca. Perché un libro come Ossa.
Ho scritto Ossa perché ce lo avevo dentro. Sembra una risposta assurda ma è così. Tra la fine del 2000 e l’estate del 2001 mi si è formata in testa una collezione di immagini, di scene, di personaggi. Ricordo che li sognavo pure. Avevo un block notes sul comodino per scrivere le idee, non l’avevo mai fatto prima e credo di non averlo più fatto dopo. Nella primavera del 2001 ho cominciato a buttare giù questo “delirio” di informazioni in quattro o cinque documenti word, dando senso al tutto. Poi ho cominciato a spostare scene in avanti e indietro, addirittura da un foglio all’altro. A fine agosto avevo scritto una buona parte della storia (ricordiamo che a quel tempo Ossa era parte di un romanzo molto più complicato intitolato Basta!, dal quale sono usciti anche Snuff e l’imminente Marionette). Il 5 settembre raccontai le basi di quella storia a un mio collega. L’11 settembre quello stesso collega venne da me a chiedermi se per caso avessi doti di preveggenza. La sera del 15 settembre 2001, mentre cercavo informazioni sugli attentati che avevano sconvolto il Mondo, mi imbattei negli Skull and Bones. Da allora tutto è cambiato. Il romanzo, e prima ancora il suo autore.
Come spiega stesso lei a margine del libro, Ossa è il primo di una trilogia concettuale, che trova in Snuff (da poco uscito sempre per Arduino Sacco editore) e il prossimo Marionette il suo completamento. Ci parli dell’incipit di questo esperimento letterario.
L’esperimento letterario nasce proprio quella sera del 15 settembre. La nebulosa chiamata Basta! era ancora un calderone infernale di personaggi, luoghi ed eventi. Sapevo cosa facevano, ma non sapevo perché lo facevano. Poi la rivelazione. I Teschi e gli Illuminati. Ero già appassionato di misteri ma non mi ero mai imbattuto in quel genere di storie. A quel punto scoprii un altro mondo, legato agli Illuminati, quello del controllo mentale. Marionette è abbastanza slegato dagli altri due proprio perché buona parte della sua storia nasce in quella seconda fase. Le scene c’erano già, quella di apertura mi perseguitava dalla due giorni trascorsa in Pennsylvania. La strana comunità degli Amish mi stava facendo venire in mente qualcosa che apparentemente non c’entrava col resto, qualcosa che tuttavia scrissi per non perderne le tracce. Quando scoprii l’esistenza della programmazione mentale e i suoi metodi, spesso applicati in piccole comunità ristrette. Sono momenti di pura magia, quando riesci ad applicare al mondo reale le idee che ti frullano per la testa, in un modo che sembra naturale ma che è inquietante, come se fossero sprazzi di preveggenza. A distanza di tempo capisci che magari la preveggenza non c’entra nulla, che è quella macchina meravigliosa che abbiamo tra le orecchie a miscelare informazioni parziali per farne un quadro completo, però all’inizio è davvero impressionante.
Morte, sangue, orrore, perché tratta questi argomenti?
Probabilmente per esorcizzarli. Stephen King dice di essere un fifone e che è per questo che scrive storie di paura. Nel mio piccolo, per me è lo stesso. Quando vedo il sangue rischio di svenire, quando vedo un film “de paura” la gente guarda me, i salti che faccio sulla sedia, le smorfie che non riesco a fermare. Anni fa andai a vedere Blu profondo, un film di squali assassini. Alla fine l’amico che era con me mi ha detto “guarda che sono finti”, prendendomi in giro. Io gli ho risposto “sì, lo so… ma mi sono divertito molto più di te!”, anche se avevo sollevato le ginocchia diverse volte nelle scene più spaventose, come se i piedi fossero in pericolo sotto la poltrona. Forse il segreto è questo, vivere le storie. Se non fanno paura a te non possono farla agli altri.
Scrivo perché mi piace, scrivo perché ho queste storie dentro e sono curioso di sapere come vanno a finire. Non le so raccontare a parole, quindi le metto su carta. Anche su questo sono in buona compagnia. Il solito King ha detto di non essere bravo a raccontare storie ai figli, anche se l’inventiva non gli manca. Probabilmente è che mentre scrivi vai in una specie di trance, il corpo si trasforma nelle dita che battono sui tasti. Se dovessi usare la bocca per parlare forse non sarebbe lo stesso.
Che idea ha della malvagità e della natura umana, visto che le indaga nelle loro sfaccettature più cruenti?
La natura umana è spaventosa. Sempre. Non credete a chi dice di essere una persona calma e tranquilla. Sono persone senza fantasia, incapaci di trovare il proprio punto di rottura. Dentro ognuno di noi alberga un mostro spaventoso. In alcuni è legato più o meno saldamente, in altri è abbastanza libero e quindi paradossalmente poco represso. Abbiate paura della furia dei buoni, perché è la più terribile di tutte.
Vita da esordiente, vita da cani?
Vita da esordiente? Tremenda. Tremenda perché non ti godi niente. Quando pubblichi il primo libro hai un sacco di idee sbagliate in testa, e ci metti mesi a farle uscire. Poi pubblichi il secondo, ma sei sempre esordiente, perché a meno di miracoli non hai cambiato molto la tua condizione. A questo punto sei più smaliziato, ti attendi di meno ma allo stesso tempo una parte di te pensa che le cose potranno essere diverse. Sbagliato, perché se la mole della casa editrice che hai alle spalle non è sostanzialmente diversa, ti attende una storia simile a quella che già conosci. Però a questo punto scrivi molto meglio e magari sei più obiettivo e dopo un po’ hai questo nuovo manoscritto, questo bambino da far vedere in giro. E ne sei un po’ geloso, perché a te sembra così bello. Ma ai giardinetti ti dicono che potrebbe essere più bello. E, miracolo, a casa hai un laboratorio del dottor Frankenstein in cui il bambino può diventare più alto, più biondo e chissà quante altre cose. Poi ricominci a spedire il manoscritto agli editori e vedi che succede, sperando che questa sia la volta giusta.
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Un messaggio? Leggete. Tutti. Devono leggere gli scrittori, perché è l’unico modo per migliorare. Devono leggere i lettori, perché i libri più belli sono quelli meno conosciuti. Devono leggere gli editori, perché gran parte dei successi nasce dal fiuto. Dal loro fiuto.