
Autore: Dyer Claire
Casa Editrice: Frassinelli editore
Genere: Romanzo sentimentale
Traduttore: Claudia LIonetti
Pagine: 275
Prezzo: 18.50 €
Fern ed Elliott sono matricole universitarie quando si incontrano ad una festa. Tra loro è subito passione, passione forte e selvaggia, che non guarda in faccia niente e nessuno. Si amano, si fanno promesse, convivono, e poi tutto finisce tra le gambe di Meryl, la mora e prosperosa novità che si infila a tradimento nel letto di Elliott.
Fern ed Elliott sono due distinti londinesi di mezza età, quando la vita li fa scontrare sulle banchine della stazione di Paddington. Fern è una moglie amata e innamorata, la madre di due figli che oramai stanno lasciando il nido, una quasi suocera con tanta nostalgia del passato. Elliott è un ex marito per quella stessa Meryl che mai ha amato, figlio di una madre morta e di un padre con l’Alzheimer, padre di una figlia che ha preso la separazione dei genitori come un’offesa personale.
Prendono un caffè insieme, Fern ed Elliott, promettendosi di rivedersi ancora ed è questo che dà l’incipit al romanzo.
Un romanzo fatto di non detto e di ricordi, ambientato durante una sola giornata in cui in realtà non accade nulla, almeno nulla di fisico, dato che, nella loro mente, entrambi i protagonisti si trovano a rivivere i momenti salienti non solo della loro relazione, ma dell’intera loro esistenza. Attraverso i vari capitoli, saltiamo dai pensieri di Fern che, a un corso di ceramica con la sua migliore amica, non riesce a far altro che riflettere sul passato, su quanto il marito sia meraviglioso, su quanto sia cambiato il rapporto con i figli, quei ragazzi che una volta teneva per mano e dei quali ora ha quasi paura, su quanto la sua vita potrebbe essere diversa.
Dall’altro lato, un Elliott perso nella sua solitudine vaga per i luoghi della sua giovinezza, dalla casa dei genitori a quella villa di Love Lane in cui, adolescente, ha regalato la sua verginità ad una donna molto più matura, all’ospedale dove il suo primogenito mai nato ha perso la vita.
Un romanzo estremamente lento, quello della Dyer, ma non per questo non godibile. Fern ed Elliott sono due vincenti agli occhi della società, due persone che hanno avuto tutto dalla vita e che se hanno perso qualcosa, come Elliott ha perso la moglie, lo hanno fatto solo per un errore di calcolo. La colpa, in questi casi, è loro, non del destino.
Tuttavia, la Dyer riesce a mostrarci, con una delicatezza degna del mondo della poesia, da cui ella proviene, come basti un incontro fortuito, una singola briciola di un passato che pareva dimenticato, per sgretolare tutte le certezze del presente. E così, una donna che fino a qualche attimo prima era convinta di avere la miglior vita che si possa desiderare, di colpo si ritrova a mettere tutto in dubbio e quasi a desiderare di distruggerla, quella vita, per dare un’altra possibilità al suo grande amore.
Un romanzo delicato ed estremamente realistico, anche se a volte non perfettamente scorrevole per i periodi un po’ troppo lunghi ed articolati, che riesce a trasmettere al lettore la fugacità della gioia e della stabilità. Non è difficile immedesimarsi nei due protagonisti, “inscatolati” in maschere che si sono costruiti addosso e dalle quali uscire è difficile. Maschere che nemmeno sono sicuri di volersi togliere. E così Elliott è il padre-fattorino, pronto a tutto per riconquistare la stima della figlia, mentre Fern non riesce a strapparsi di dosso l’idea di essere, ormai, nulla più che una moglie e una madre.
“Come rispondergli? Come condensare tutti quegli anni, le settimane, i momenti che aleggiano tra loro? Forse dovrebbe raccontargli che ieri è stata una mite giornata primaverile, che si è chinata piano sui cespugli di acero in giardino e ha ammirato le loro foglie schiudersi come le manine di un neonato? O forse dovrebbe raccontargli di come quella mattina Jack le abbia sfiorato il braccio prima di andare al lavoro, che sapeva di dentifricio e che l’aveva osservato mentre attraversava la cucina, e che la camicia nei pantaloni l’aveva fatta tornare con il pensiero a quando l’aveva stirata per bene, quella domenica? E i ragazzi? Come descrivergli quel legame che la unisce ai figli, quanto le piace assaporare lentamente la bellezza, gli attimi di puro terrore nel pensare che potrebbero rimanere vittime di qualcosa di terribile? No, non esiste modo, perciò si limita a rispondere: -Sto benone, grazie, va alla grande” (pag.8).
Sebbene incarnino alla perfezione un uomo e una donna nel pieno della crisi di mezza età, i personaggi non sono mai stereotipati, costruiti con un’ottima introspezione psicologica, soprattutto, a mio avviso, per quanto riguarda Elliott. Le figure di contorno, invece, come l’amica Jules o i figli di Fern, sono tratteggiati molto più sommariamente, ma ciò non stona, considerato che l’ambientazione principale del romanzo sono i ricordi e i pensieri dei due protagonisti.
Il romanzo della Dyer è perfettamente leggibile ed apprezzabile, soprattutto dagli amanti del genere introspettivo, che troveranno qui pane per i loro denti. In conclusione, un buon esordio nel mondo della narrativa per Claire Dyer, che si presenta come ottima esponente del romanzo realistico/introspettivo, che non si lascia catturare da esagerate romanticherie ma mantiene intatta quell’amarezza che spesso la vita ci presenta in gran quantità.