Oltre la penna, la mia penna che ha scritto il libro “Ignoranti”, pubblicato da Chiarelettere, ci sono le speranze per un sussulto. Dietro c’è un interrogativo che si ripete cento, mille, infinite volte: com’è possibile? Com’è possibile che l’Italia, paese fra i più sviluppati al mondo, stia smarrendo se stessa? Anche senza voltarsi indietro, per esempio verso il 1088 probabile anno di nascita a Bologna dell’università più antica del mondo, com’è possibile che l’Italia non coltivi più il sapere? Cosa fa la classe dirigente? E le istituzioni? Ero partito dall’osservazione di alcuni brutti dati sulla preparazione di grandi e piccoli. Poi ho trovato laureati bocciati in blocco agli scritti dei concorsi. E autori di quiz per le prove che ne sbagliano una su cinque. Così via via ho raccolto (e racconto) episodi incresciosi ed esilaranti. E ho scoperto una collezione di ultimi posti in un’infinità di classifiche internazionali. “Ignoranti” documenta purtroppo che l’Italia è sempre in coda nelle classifiche per l’istruzione e la cultura. E l’economia arretra: dal 1999 la crescita del pil è la più bassa d’Europa. Vecchi e nuovi analfabeti affollano l’Italia. Sono analfabeti non per l’incapacità totale di leggere e scrivere ma per la mediocre capacita di esprimersi e il ridotto bagaglio di conoscenze. L’Italia e un paese che, dati alla mano, studia poco. Che disprezza con inflessibile continuità la scuola, l’università, la ricerca. Che stenta ad arricchire il proprio sapere. Che non ama imparare dopo gli anni giovanili.
Il discorso non risparmia nessuna fascia di età, né i giovani né gli adulti. Del resto la classe dirigente non legge. Ed esiste un nuovo analfabetismo: il 26,7% delle famiglie considera internet inutile. Il 45,2% ha al massimo la licenza media (contro il 27,3% dell’Europa). Solo due italiani su quattro sono diplomati contro tre inglesi su quattro.
L’Italia è ultima nell’Unione insieme alla Romania per numero di laureati: il 14,9% fra i 25 e i 64 anni. Pochi perfino in Parlamento: soltanto il 61,8% rispetto al 91,4% (negli Usa 94%). Pur essendo pochi i laureati, c’è il fuggifuggi dall’università: dal 2003 le matricole sono continuamente in calo.
I pochi laureati stentano a trovare lavoro e non hanno adeguato riconoscimento economico. Studiare è sempre più costoso: esiste una sorta di tassa sullo studiato che come l’antica tassa sul macinato tocca un alimento fondamentale. L’università di Pavia è stata addirittura condannata dal tar a risarcire gli studenti per le tasse oltre il livello consentito. Ma non è l’unica a forzare la legge.
L’Italia è avara: è ventiduesima per la spesa pubblica destinata all’istruzione in rapporto al Pil. E al peggio non c’è mai fine per l’onda lunga dei tagli dell’era Berlusconi, ma anche per la scarsa sensibilità del governo tecnico di Monti. Nemmeno i privati si salvano. Finché gli ignoranti occuperanno la politica non potrà esserci un reale cambiamento e un ritorno allo sviluppo. Solo il sapere può dare la scossa.
Roberto Ippolito, giornalista professionista, ha curato a lungo l’informazione economica per il quotidiano «La Stampa». Organizzatore di eventi culturali in tutta Italia, è dal 2010 direttore scientifico del festival letterario «A tutto volume. Libri in festa a Ragusa». È stato editor e responsabile degli incontri con l’autore del Festival dell’economia di Trento. Ha ricoperto gli incarichi di direttore della comunicazione di Confindustria e delle relazioni esterne dell’Università Luiss, dove è stato anche docente di Imprese e concorrenza alla Scuola superiore di giornalismo. Tra i suoi libri più recenti, Evasori. Chi come quanto. L’inchiesta sull’evasione fiscale (Bompiani 2008) e Il Bel Paese maltrattato (Bompiani 2010).