Ci sono festival e festival, serate in biblioteca, presìdi del libro, minuscoli gruppi di persone che si trovano nelle librerie dopo cena. C’è insomma l’Italia delle presentazioni, e non è piccola. Si sveglia alle sei del pomeriggio. Porta con sé un ritaglio di giornale, un romanzo pieno di segni a matita, a volte perfino una macchina fotografica. I più si fanno bastare lo smartphone, se c’è da immortalare Fabio Volo. L’Italia delle presentazioni di libri impegnati è seria, concentrata, qua e là anche incazzosa. L’Italia delle presentazioni dei bestseller è più simpatica, frivola, si prende poco sul serio, per fortuna. Poi c’è l’Italia delle presentazioni dei libri d’esordio, di quelli pubblicati a pagamento, di quelli di poesia – e spesso è tesa, sudaticcia, a tratti malinconica e autoreferenziale. Mentre fate pilates o la spesa al supermercato, dormicchiate sull’ultimo Ken Follett tornando dal lavoro, da qualche parte della vostra città, alle sei della sera, c’è una presentazione. Voi magari non lo sapete, ma c’è. Dentro una libreria, un oratorio, un teatro, un’aula magna, una cantina, qualche fila di seggiole di plastica allineate aspetta un pubblico che spesso tarda ad arrivare. “Sono le sei e un quarto, le sei e venti, possibile che non arrivi nessuno?”. L’Italia delle presentazioni, se è snob, disdegna l’Italia dei festival («una moda», dice con la bocca storta). L’Italia dei festival è fatta anche di snob. E anche di quelli che corrono a vedere Augias e Vespa, ma non comprano il loro libro (magari fanno bene). E anche di quelli che corrono a vedere Paulo Coelho, perché, se ha un attimo, imponga loro le mani. Però con i libri tutto questo c’entra davvero? Gli Editori adesso hanno cominciato a sentirlo, a capirlo. Allora se li chiami per invitare Tizio, dicono che sì, verrà, ma quante copie comprate? E poi non vuole domande, mi raccomando. Se li chiami, dicono sì, ma solo se c’è un compenso per l’autore e un tot assicurato di copie vendute. Oppure dicono: «Dipende dal contesto». Intendono dire: «Ma la gente viene? Quanta gente viene? Siete sicuri che venga?». Perché gli Editori (e gli Scrittori, soprattutto) lo sanno quanta tristezza provoca parlare davanti a tre persone. E sentirsi poi elencare dall’Organizzatore una serie di scuse anche improbabili: «A Genova, quando si alza il vento, la gente non esce di casa»; «il mercoledì, sa, è un giorno difficile». Tutti i giorni sono difficili, fratello. Allora le presentazioni più belle sono quelle che non sono presentazioni. Dove l’autore non è troppo star e le persone sono allegre. Dove parla a ruota libera, dimenticandosi un po’ di sé, del proprio ruolo, del proprio ultimo libro. Se è un esordiente, è una star per le mamme, le zie e i compagni di calcetto. Ma deve ri-vendere le 200 copie che l’editore gli ha fatto acquistare, e allora va bene tutto.
PAOLO DI PAOLO (Roma 1983) è autore tra l’altro dei romanzi Dove eravate tutti (2011, Premio Mondello e Premio Vittorini) e Mandami tanta vita (2013, finalista Premio Strega). Di Indro Montanelli ha curato per Rizzoli La mia eredità sono io. Pagine da un secolo (2008), Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita (2012) e Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era (2014).