La faccenda Armstrong
Ho sempre amato lo sport fin da quando ero bambina. Ricordo un’immagine di me treenne, ancora lillipuziana, che trascino la gonna di mia madre e la imploro di iscrivermi a un semplice corso di ginnastica formativa per imitare mia sorella, più grande di me di quasi cinque anni.
Da allora il movimento ha sempre accompagnato la mia vita, divenendo sempre più ambizioso nelle scelte.
E da una decina d’anni ho scoperto la bici da corsa ed è stato amore a prima vista.
Anzi, a prima pedalata.
Perché la bicicletta ha creato una liaison con il mio mestiere di scrivere.
Vi spiego.
Pedalare è meditazione.
Il passo cadenzato di ogni pedalata è simile all’incedere dei pensieri.
La fatica della salita ti obbliga ad affrontare la tua profondità più intima, senza maschere.
Solo spogliandoti di tutti gli orpelli e le zavorre inutili puoi arrivare in cima.
Pedalare è poesia.
E le ruote della bicicletta sono le sue rime baciate.
Pedalare è farsi avvolgere dal paesaggio circostante e annullare tutto il resto.
Pedalare è eroico.
Perché il ciclista combatte contro se stesso, la sua fatica, ma anche contro la montagna. La rispetta, la teme, ma nel contempo cerca di domarla, di farla sua. Ecco perché spesso i grandi scalatori sono diventati degli eroi. Chi non si emoziona ogni volta che sente parlare di Girardengo, ‘…una storia d’altri tempi, di prima del motore, quando si correva per rabbia o per amore…’?
Chi non si commuove quando rievoca le imprese del Campionissimo?‘Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi’. Quel periodo in cui, tra due ciclisti seppur rivali come lui e Bartali, c’era però una borraccia ad unirli.
E chi infine non ricorda, con una stretta al cuore, le fughe del Pirata, eroe romantico e triste, schiacciato dai suoi stessi fantasmi?
È per questo che, da tifosa di questo sport, mi sono sentita tradita due volte dalla faccenda Armstrong.
Perché lui, il gigante texano, mi aveva illuso di essere un altro grande poeta dei pedali, un altro eroe che accarezzava la strada con la sua superiorità di semi-dio.
Lui non aveva sconfitto solo le montagne. Lui aveva addirittura sconfitto la morte.
Era l’Orfeo delle due ruote, colui che aveva osato combattere contro il Male.
Vincendo.
Una volta tornato a gareggiare dopo la malattia, quando si alzava sui pedali sembrava urlasse al mondo intero ‘Io sono il più forte, perché sono un sopravvissuto’.
E via a vincere l’ennesima tappa, l’ennesimo Tour…
E tu eri felice, perché avevi il tuo eroe da ammirare, l’esempio cui aggrapparti nei momenti bui. ‘Se ce l’ha fatta lui, posso farcela anch’io’.
Armstrong non era solo un ciclista molto forte. Era anche – e soprattutto – un simbolo.
È lo scotto da pagare quando diventi un’icona: se cadi, la tua caduta è sempre più rovinosa di quella degli altri.
Per questo non riesco a perdonarlo.
Lorenza Bernardi. Nata a Ferrara, vive a Milano da quindici anni con il marito e i figli. Dopo aver lavorato all’interno di due importanti case editrici italiane, è ora sceneggiatrice di cartoni animati e autrice di libri per ragazzi.