L’imperatore di Portugallia – Selma Lagerlöf

Titolo: L’imperatore di Portugallia
Autore: Selma Lagerlöf
Data di pubbl.: 2017
Casa Editrice: Iperborea
Genere: Romanzo
Traduttore: Adamaria Terziani
Pagine: 280
Prezzo: € 17,00

Svezia, metà dell’Ottocento. Jan Andersson conduce un’esistenza da bracciante analfabeta nelle remote vallate dell’Askedalar. Vive in una casupola che il padrone delle terre, Erik di Falla, gli ha assegnato con un gesto di liberalità. Il lavoro nelle campagne piega i contadini, mentre i pochi ricchi si possono permettere agi, non da nababbi, ma comunque guardati con stupore dai più umili. L’ordine sociale è garantito dalla chiesa protestante: l’educazione è in mano ai sacrestani, mentre i pastori custodiscono l’ortodossia e si spingono ben oltre il perimetro delle chiese, per interrogare i singoli membri delle famiglie nelle loro stesse case, in esami annuali di religione e di morale.

Cosa potrebbe incrinare un sistema così consolidato? Quale inattesa novità trasformerebbe mai l’animo di Jan, incarognito dalle dure condizioni di vita? Quando sua moglie Kattrinna partorisce una bambina, in lui qualcosa cambia. La dura scorza, a contatto con il fagotto cullato tra le braccia, si sfalda e il cuore del bracciante comincia a battere, o per meglio dire, è la prima volta che Jan avverte di avere un cuore che batte nel petto. I coniugi si pongono un problema: come chiamare la neonata? Kattrinna suggerisce al marito di portare con sé la piccina sull’uscio di casa, di attendere la prima donna di passaggio e di chiedere a lei il nome con il quale battezzarla. Quel giorno, nessun essere umano si inoltra fin là. Padre e figlia passano le ore sotto un cielo grigio, finché «il sole si aprì uno squarcio tra le nubi e fece cadere i suoi raggi sulla bambina». Jan interpreta il segno come la volontà del sole di farle da padrino. Klara Fina Gulleborg è il nome scelto. Chiara, bella, dorata. Da quel momento, nella vita di Jan irrompe la gioia.

In sintesi, è questo il contenuto dei primi due capitoli de L’imperatore di Portugallia, romanzo di Selma Lagerlöf (1858-1940), scrittrice svedese molto apprezzata da Marguerite Yourcenar che arrivò a definirla la più grande dell’Ottocento, e prima donna a vincere il Premio Nobel per la Letteratura. Il testo è tradotto, per i tipi dell’impeccabile casa editrice Iperborea, da Adamaria Terziani, alla quale dobbiamo anche una postfazione, utile a comprendere alcuni aspetti storico-sociali dell’ambientazione, nonché i nessi tra biografia dell’autrice e descrizione della geografia del territorio. Fantasia e realtà si confondono: la regione dell’Askedalar è il Värmland dell’infanzia della scrittrice trasfigurato dalla lente dei ricordi; molti personaggi, non ultimo “l’imperatore”, sono quasi certamente uomini e donne conosciuti da Selma Lagerlöf, di professione maestra elementare, esordita con La saga di Gösta Berling e presto letta in tutto il mondo. Ne L’imperatore di Portugallia affiorano le sue inquetudini spirituali e la sua fede nel meraviglioso, chiavi di accesso ad una realtà che non si riduce al piano fisico.

Jan brucia d’amore per la piccola Klara Gulla. È raffinata, intelligente, acuta, vispa. In lei, tutti vedono una promessa di riscatto per l’intera famiglia. Un commerciante di tessuti le regala una stoffa rossa per un vestito che, esibito un giorno sul sagrato della chiesa, ne mostra la bellezza accecante ai mesti compaesani. Accade, però, che Erik di Falla, padrone comprensivo, muoia schiacciato da un albero. A lui succede il turpe genero Lars Gunnarsson. Poco dopo, Lars si presenta da Jan e Kattrinna con un bottegaio suo compare, per chiedere la restituzione di duecento scudi, in pratica il valore del terreno su cui sorge la casa maggiorato di alcuni debiti accumulati. Una cifra enorme. Klara Gulla, impietosita, si offre di andare a lavorare a Stoccolma per guadagnare la somma necessaria. Il padre nicchia. Jan è affezionatissimo a quella figlia baciata dal sole, il suo arrivo lo ha rinnovato interiormente. A malincuore, i genitori accettano la proposta.

Se, fino alla partenza di Klara Gulla, il romanzo di Selma Lagerlöf è una splendida storia d’amore tra un padre e una figlia, il resto del racconto è pura poesia. Il primo di ottobre, data di scadenza del debito, Klara Gulla non torna. Jan e Kattrinna aspettano invano al pontile. Più tardi, al culmine della disperazione, un deputato consegna loro un’ambasciata ricevuta dalla ragazza, con una parte dei soldi richiesti. Purtroppo la giovane dovrà restare a servizio di una misteriosa donna, finché avrà risparmiato il totale preteso da Lars. Klara Gulla ha diciotto anni appena compiuti, e ne trascorreranno altri quindici prima che ritorni nel borgo natìo. In questo lasso di tempo avviene la metamorfosi di Jan. La scrittrice svedese, nel descriverla, compie un miracolo di introspezione e di leggerezza stilistica. Ogniqualvòlta un battello attracca, Jan si reca sul molo, tendendo lo sguardo verso i passeggeri sbarcati. La figlia non spunta mai. Il pescatore Ola, amico di Klara Gulla, cerca di consolare il padre con una storia inventata di sana pianta, un incontro immaginario tra la ragazza e una ricca signora che l’avrebbe aiutata con generosità; l’orologiaio-vagabondo Agrippa è la prima persona a dire una mezza verità, ovvero che la ragazza sarebbe andata a finir male. Chiacchiere e insinuazioni si diffondono. Le parole suscitano in Jan un’incredibile reazione (e convinzione). Ci dev’essere, lontano dai monti dell’Askedalar, un luogo del bene chiamato Portugallia, dove regna Klara Gulla, imperatrice. E se lei è imperatrice, il padre cosa può essere, se non imperatore?

L’abbigliamento di Jan si conforma alla dignità acquisita. Selma Lagerlöf è eccezionale nel tessere una trama di fatti, in cui ogni elemento va a incasellarsi in un quadro dominato da salvifica follia e proprio per questo dotato di una sua intima coerenza. Quando la vecchia signora di Falla consegna a Jan, pardon, Johannes di Portugallia, il cappello ed il bastone appartenuti al padre per sottrarli al viscido genero Lars, ecco che il neoimperatore ottiene i suoi paramenti. Le stelline che Ingborg la Scema gli offre in dono sono le sue decorazioni regali. Ogni avvenimento è letto da Jan come un messaggio cifrato proveniente da Klara Gulla, compreso il traumatico evento della detronizzazione, dovuto sempre alla tracotanza di Lars, scintilla che fa scattare nell’imperatore temute doti di preveggenza. Jan si fabbrica un’identità nuova di zecca per resistere al dolore, ribaltando in arma contro l’infelicità il senso del ridicolo suscitato da un alienato nei cosiddetti sani.

«Il signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, così che non veda quello che non sopporterebbe di vedere». Kattrinna non crede che il marito sia matto. Più che un viaggio nella psicopatologia, L’imperatore di Portugallia è un profondo trattato sull’amore e sulla pietà. A suo modo, è anche un piccolo saggio che gira attorno a temi cari alla filosofia, un’illustrazione, ironica e lucida, della distanza che corre tra un fatto e un’interpretazione, e del rapporto sempre mobile tra il significato e i significanti. Resta, a lettura finita, l’impronta di Jan, figura quasi soprannaturale, sospetta, derisa e poi rispettata dai potenti locali. Selma Lagerlöf esibisce il suo estro nella carrellata di personaggi minori, straordinari, e in varie incursioni nel folklore scandinavo, tra pietre magiche e alberi-troll. Il finale è un inno commovente alla forza dell’uomo. Il ritorno di Klara Gulla, diventata in città una donna cinica, spenta e anaffettiva, è una denuncia del potere corruttivo della modernità. Il salto nel vuoto di Jan, provvidenziale, simile a un sacrificio, pareggia i conti e riporta i piatti della bilancia in una posizione consona agli universali sentimenti di giustizia. La magnificenza del libro sta, anche, in tanti altri dettagli qui non rivelati. Ai lettori il compito di trovarli.

Alessandro Vergari

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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