L’ElzeMìro – Mille + infinito – Pietrino

La storia sua è breve e altro di lui non ti saprei narrare… di Pietrino. Era sardo il compagno  Pietro Sini, inteso Pietrino per la Pubblica Sicurezza, règia prima, repubblicana poi, e portava i capelli a spazzola, taglio che i barbieri avevano in punta di forbici. Era uso chiamarlo così quel taglio o anche alla umberta o, secondo la fede del barbiere, alla marines, pronunziato di preciso ma-ri-nes. Pietrino era un bell’uomo ed era una persona meravigliosa, di infinita bontà dicevano tutti di lui, gli amici per esempio e i compagni benché non tutti fossero propensi a tenere una buona opinione del suo tipo di bontà. Una cortesia che avresti detto provenzale, come la lavanda e una sensibilità poetica di chiare fresche e dolci acque ; proveniente da un altrove più che da un’altra epoca o da un chissà quale altro mondo. Niente a che fare dunque né con le virtù teologali né con le cardinali, né con le beghine, né con le volemose bene fradèi ; una virtù senza volontà né senso, un’attitudine : la stessa del gatto che sente se stai male e si accoccola ai tuoi piedi o addirittura lì dove senti male e fa le fusa e tu di pronto ti senti meglio e più sereno, se del tuo male sei preoccupato. Se stavi male, Pietrino prendeva, e in treno, immaginarsi che treno, da dove lavorava, lontano laggiù da Melegnano, landa di nebbia, emigrati e rogge, arrivava a sera a portarti quattro arance, senza saper prima se ti avrebbero fatto piacere ; quel suo era un dono del tutto gratuito e imprevisto. Poi lemme lemme se ne sarebbe tornato alla sua casa, magari ancora più lontana, una casa di ringhiera in via Tortona dove abitavano gli operai, i generici della povertà, due stanze una per lui e la sposa che non era sposata ma sposa era e l’altra, che era allo stesso tempo cucina, e camera da mangiare, e da dormire per la figlia.

Pietrino aveva un occhio meraviglioso e nero e uno meraviglioso e azzurro. Pietrino era nato diseredato prima, poi operaio, era anarchico e, va detto subito, il suo anarchismo, come tutti gli anarchismi, oh sì certo si era nutrito degli Stirner, dei Kropotkin, di Bakunin, Malatesta e di di di,  ma era nella sostanza un idea personale e, ancora più in particolare costituiva per lui un ideale estetico, ossia di sensibilità. Così come si possono educare e si devono educare le persone a trovarsi tali, Pietrino pensava con fervore che anche i popoli nella loro interezza avrebbero dovuto  essere portati a quel grado di innocenza superiore all’infantile e nello stesso tempo di coscienza che li avrebbe resi  capaci di autogovernarsi ; come un sol singolo. Irene, suo figlia quando verrà e che lui si ostinava a chiamare la figlia omettendo sempre quel sua che riteneva inopportuno, fastidioso per lei e odioso agli orecchi altrui, Irene è chiaro che Irene discende dal desiderio della madre e del padre ma  mia è  meno di un mio occhio che è mio ah sì, finché resta nella mia orbita ; e con ciò, si divertiva a roteare una mano intorno alla sua testa a significare il moto di un pianeta ; Irene dunque andrà alla scuola steineriana, gratis perché a Pietrino l’indirizzo pedagogico steineriano garbava, pietrigno nel ritenere la scuola di Stato, così com’era com’è, un feudo della monarchia vaticana, ma non se la sarebbe potuta permettere la scuola laica privata, sicché per grazia della sua direttrice Mondolfo, socialista, la piccola avrebbe ricevuto l’educazione, o per meglio dire quell’impostazione che le avrebbe permesso di scoprirsi e riconoscersi liberata, prima che libera. Pietrino distingueva tra libertà e liberazione con un paradosso arguto, Occorre liberarsi dalla libertà per essere liberi.

Non credeva, anzi Pietrino pietrigno rigettava l’analisi di Marx cui riconosceva il talento argomentativo ma contestava la barba e, d’accordo con Nietzsche, la pinguedine trasandata, segno per lui di cattiva alimentazione, perciò digestione, ossia cattiva educazione. La politica è il proseguimento di grazie, la prego, buongiorno e buonasera con altri mezzi, era il suo motto favorito quanto scherzoso perché Pietrino non era un lugubre asceta, amava ls tavola anche come luogo di discussione ma soprattutto di paella che la moglie Odette, che era di famiglia catalana, pare confezionasse in modo superbo. Ai socialisti concedeva qualche buon senso nel considerare il a ciascuno secondo il bisogno a ciascuno secondo il merito ma, secondo lui lo era nella misura in cui ci si chiariva il distinguo tra bisogno, naturale, spesso reale e desiderio, indotto dal contorno e da una naturale avidità della specie : Pietrino non credeva affatto che l’uomo fosse buono ma che con l’educazione avrebbe potuto arrivare a far propria l’opportunità dell’essere tale. Diceva, Se hai i calzini bucati è naturale che tu abbia bisogno di rammendarli ma se hai già dei calzini buoni chiediti se sei sicuro di avere bisogno di comprarne altri nuovi e simili a quelli del tuo vicino. In sintesi vedeva con i suoi occhi dispari un mondo liberato dal desiderio di possesso. Quindi di potere e voilà l’anarchismo che cos’è. Le proposizioni dei tirannicidi poi, dei Ravachol, dei Caserio, dei Bresci, degli insurrezionalisti, a suo modo di vedere erano il canovaccio di un circo per malati mentali, fanfaroni e banali sanguinari. A chi gli parlava di Io, argomento molto in voga allora come adesso, non replicava che con un argomento, Certo certo anch’ i-hò i-hò ; e faceva con garbo il verso dell’asino. Tutti discorsi che chissà se ti fanno suonare qualche sveglia nella tua testa.

Si era sposato a Parigi, nel senso che aveva eletto per propria sposa una sarta, l’Odette, quella della paella. Un po’ di più che sarta, Odette era salita su per tutti i gradi della sartoria da imbastitrice, a tagliatrice chéz madame Vionnet fino a première da Balmain. Vionnet e Balmain, ti chiedo se sai, ma lo so che non lo sai come rispondere, perché non sai nemmeno come si scrivano e se li vedessi scritti, nel tuo inglese da nesprèso-uotèls, diresti vàionet e bàlmin con l’accento sulla à, ché dello ieri tu hai perso oggi la cognizione e vivi un’attualità che è attualismo ma dentro il set di un commercial di merendine nella loro pratica confezione apri-e-chiudi ; la società occidentale in sintesi. Odette era divenuta la maggiore di un battaglione di sarte, quella che dalla discussione sul figurino e sui problemi di taglio e cucitura con il signor Balmain, aveva la responsabilità di dirigere la fabbrica dell’abito. Anche Pietrino era un po’ più che operaio. In Francia si era fatto valere coi suoi modi urbani e perché era bravo, aveva una mano per il disegno, un occhio per le misure e per le geometrie e uno per i materiali ; era infatti stampista, cioè colui che realizzava gli stampi per la fabbricazione di ogni genere di componenti in metallo senza saldature, la pressofusione. Pietrino per via del Duce-buce era emigrato, cioè scappato dall’Italia, dove gli fu chiaro già nel 1920 che lo aspettavano anni di persecuzioni, alla Francia e poi nel 1935 o giù di lì in Spagna ; qui aveva combattuto per la Repubblica, aveva sfiorato l’aura di Lister e visto bene negli occhi la morte nell’interminabile battaglia dell’Ebro. ¡Ay Carmela! ascóltatela. Non si può dire che avesse conosciuto Capa ma è una fantasia nel regno del possibile. Tu anche di Carmela e di Capa e di Lister non sai niente e uffa che noia la storia e ‘stu fascismo, datemi il mio kinderbueno, dici, che sto buenissimo, dimmi se non è così. Tornato in Francia, la Francia fu sfondata dai tedeschi e Pietrino aveva aderito a una formazione di partigiani, di maquisards anarchici e combattuto tedeschi e fascisti francesi. Anche di tutto ciò tu, magari non ne vuoi sapere, e non è una domanda. Pietrino fu alla riconquista di Parigi.

Perché avesse poi deciso di tornare in Italia, credo nemmeno il dio, che non conosceva, ne era informato e del resto fu evidente che non se ne informò. Era tornato in Italia Pietrino, perché c’era da ricostruirla sì, e soprattuto salvarla, levarla di mano ai cattolici, ai fascisti mai morti e detto per inciso anche ai comunisti che in Spagna, lui lo aveva vissuto, avevano fatto più danni che cose. Per la verità Pietrino aveva un fratello minore e minatore a Carbonia, uno stalinista che sperava di convertire Pietrino. Ma Pietrino si era fermato a Milano e di Sardegna e carbone e di Stalin non ne volle sapere, così che con altri due compagni operai aveva messo in piedi una minuscola officina di stampi. Per la verità  non era felice ; non lo era perché vedeva in quella sua attività, volta solo a campare, un’accettazione embrionale e sotterranea di un sistema perverso, allora come oggi chiamato capitalismo. Ovvero del vivere per lavorare e possedere per vivere. Senza bagno in casa, il gabinetto comune in fondo al ballatoio, Pietrino lo stesso era pulitissimo, erano pulitissimi lui, Odette e Irene la figlia ché si lavavano alla perfezione ma dentro una tinozza di zinco con un foro tappato da un sughero sul fondo, in modo  da svuotarla agilmente nel lavandino della stanza che serviva da cucina, e salotto e cameretta per Irene.

Pietrino viveva in sordina, senza rancori, senza risentimento. Vedeva da clinico la malattia della società in quanto tale ma fidava appunto nel lavoro pedagogico : Pietrino non proclamava le sue idee in circoli autoreferenziali ma le proponeva al fornaio, alla vicina di casa a chiunque poi lo avrebbe di sicuro mandato al diavolo. Non credeva nell’organizzazione e non amava i compagni che ne cercassero una, ma la Nuccia e il Bruno, la Giovanna e l’Attilio, e il Joseph e la Gilda nel gruppo Solferino sì ; animato in casa sua da una ricco aristocratico, Giuseppe Bracciaforti  re della serrature a Milano. Nonostante la sua ricchezza, Bracciaforti viveva però in una casa vuota, piena solo di pacchi di giornali che servivano da sedili e un tavolo in cucina con quattro uniche sedie di legno ; in gabbanella da lavoro grigia soprammessa all’abito blù e con una papillon sulla camicia bianca, un calibro e dei lapis nel taschino del grembiale, stava tutto il giorno in officina, al tornio e alla morsa e alle frese con gli operai, mangiava con loro, discuteva con loro, ne era messo alle strette : erano tutti P.C.I, con Togliatti. Certo che Bracciaforti beneficiava dei plusvalori e aveva preso soldi dallo Stato per le serrature della terribile prigione di San Vittore. Questo era, fu un segreto e chissà mai come venne alla luce ; fu un cruccio che solo il cancro più avanti nel tempo avrebbe acquietato.

Pietrino non era felice, lavorava, aveva guadagnato abbastanza da pagare alla figlia il liceo classico e i libri di greco e guadagnava abbastanza per i libri dell’Università, filosofia via Festa del Perdono. Odette e Irene, nonostante tutto, erano vestite come principesse perché Odette tagliava e cuciva tutti i giorno tutto i giorni per sé, per Irene e per tutto il quartiere. Ma Pietrino vedeva bene con i suoi occhi spaiati, la condizione e il percorso del paese che aveva pensato fosse suo dovere portare all’educarsi, alla coscienza, al rifiutare le circonvenzioni come se fosse un incapace : bè era uno Stato incapace di liberarsi da una scrittura notarile come il concordato con la chiesa e scappava al Sud in estate in colonne di Fiat 600. Pietrino non aveva ancora ammesso il telefono nel suo bilocale. Il Parlamento, di cui Pietrino disconosceva la potenza era il potente strumento di potere di una delle più bieche borghesie d’Europa. Pietrino aveva coniato il motto, È più facile conversare e discutere con un borghese cattolico francese d’altri tempi che con un rivoluzionario o un comunista italiano di questi. La sua rinuncia a stare comodamente in Francia a vantaggio del proprio ingrato paese a tentare la lotta verso un destino radioso – All’infinito verso l’anarchia, proclamò un manifesto concepito dal Bracciaforti in occasione di qualche tornata elettorale – vedeva trionfare i nemici di sempre,  e i comunisti, come era loro consuetudine, perdersi in questioni più che dottrinarie, burocratiche : vestivano sobriamente in uffici sobri e noiosi quanto un libro di partito doppia. Puntualizzavano e detenevano una ragione. Parziale sì ma Pietrino non era felice. Pietrino era a disagio.

Una sera tardi sua figlia Irene, creatura che avresti detto fata tanto era bella e agile, prese la circonvallazione 90/91 da via Tortona– chi è di Milano sa di che periferia ovest si trattava allora, ed era un viaggio da lì, dove adesso caravellano le fighette del design arrivare a Via Oltrocchi, nella periferia est, dove suonò alla porta dell’amico fraterno di Pietrino e compagno,  l’ex gappista, quindi comunista, ma passato all’anarchismo, Roberto Aldieri. Nome di battaglia, in battaglia, ma che gli era stampato addosso tanto bene che a pochi e male era noto il suo nome di anagrafe ché tutti lo chiamavano ancora Roberto. Sulla porta, Irene disse, Papà è uscito ‘stamane come al solito ma non come al solito non è ancora tornato. Allora Roberto Aldieri che possedeva una Volkswagen, un maggiolino bianco comprato usato da un compagno meccanico, perché era un po’ più benestante di Pietrino, Roberto, e aveva trovato un lavoro stabile dopo anni traballanti, via in macchina dunque a cercare Pietrino, cercarlo qui cercarlo là, tutti gli amici allertati a quel bisogno e ahimè la polizia. All’alba del giorno appresso, Pietrino si trovò : un’Ofelia sarda a mollo in una roggia dalle parti di Chiaravalle (se sei milanese almeno questo suono ti suona). Suicidio, ovviamente. Pietrino era un tipo sommesso e si sommerse senza gnanca un plissé, modismo milanese che traduce il : senza fare confusione per la scala del balcone presto andiamo via di qua, del Rossini, quello del Barbiere, di Siviglia ; mai sentito credo dalle tue orecchie. Non chiese, non pretese Pietrino : al buio, d’inverno, in mezzo ai campi senza cappotto, una boccata d’acqua in una roggia del Lambro e via. Per ottenerne la cremazione fu necessario superare sguardi obliqui e una burocrazia perplessa e sospettosa. Per Roberto e per tutti i compagni, la Nuccia e il Bruno, la Giovanna e l’Attilio, per il Giuseppe e per il Joseph e la Gilda anche, fu un colpo, al cuore appunto. Bella storia, non è così?

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

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