L’Elzemìro – Lazzaro, Proust e l’identità del singhiozzo

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È poco noto che il signor Lazzaro, non quello riluttante all’idea di rimettersi in piedi dal suo comodo sonno eterno a beneficio delle folle, fu un grosso commerciante imperiale; soffriva di un suo speciale singhiozzo patologico e di sua moglie, del tutto uguale a lui, ovvero con occhi globulosi e sporgenti al pari del loro pechinese, mostricino querulo dalla linguina rosa sputata in fuori e quanto la padrona sempre affannato a chiedere attenzioni. Il signor Lazzaro del suo salotto era il soprammobile più importante in mezzo agli altri scelti con il gusto di un ufficiale delle dogane turco e di un commesso di pasticceria armeno sfuggito al turco ma riconciliati dal far cinema sotto le stelle di Hollywood. Un bimbone divano* il signor Lazzaro circondato da poltrone babbe e mammi con opportuni salva braccioli di merletti e intarsi di rose rosa e blu cielo, sempre risorgente egli dalla fumisteria azzurra di certe sigarette femmine dal bocchino dorato, dalle mollezze di lokum** candidi e verdi e di centinaia di tazze di tè rosso mogano; e centritàvola, e tavolini intarsiati sotto i centrini suddetti, e servitori muti, pensati per quantità cospicue di ospiti assetati di tè anch’essi e di Proust. Il signor Lazzaro parlava di preferenza in francese, dell’italiano stirava il plissé alla Bernini, dominava l’arte combinatoria del tedesco, dell’inglese il continuo tuffarsi nel concreto, dello spagnolo il torcersi pugnali nel cuore, del greco la grecità, del turco l’affilatura morbida; padrone di tante nobili identità, di così tante lingue salvate, una soltanto dunque non gli sarebbe bastata a definirsi in un modo o nell’altro se non attraverso la sua ossessione; il signor Lazzaro aveva fatto di Proust il suo oggetto e di quello possedeva tutta l’opera in molteplici edizioni e tutte le opere critiche sul più grande di tutti, come ne avrebbe detto Saramago, custodite in due librerie Biedermeier*** chissà se autentiche o rifatte, ma si sa che il signor Lazzaro si forniva da un falegname di Beirut con il raro talento di rendere autentica qualunque copia di qualunque stile. Questo lo definiva; privato di questa devozione di lui sarebbe rimasto un rutto. La morte ne fece un postumo nella memoria dei posteri, una figlia e un fratello sterili. Ci sono persone che si consacrano alla loro ossessione, è l’invenzione che nutre il loro dèmone, che lo placa lasciandone traccia, in questo caso, col singhiozzo. Sintomo e farmaco.

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*Bella parola divano, dall’arabo diwan, divan in persiano e turco, ad indicare il consiglio di stato che come molti organismi politici doveva prendersela comoda; poltrone insomma.

** Lokum,  antichi, XV sec., dolcissimi dolci turchi di amido e zucchero, variamente aromatizzati

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***Biedermeier, lo stile di arreda-mente borghese della prima metà del XIX secolo

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Alberto Savinio – Poltrobabbo e poltromamma, i miei genitori – Allemandi 2006

Marcel Proust – À la recherche du temps perduAlla ricerca del tempo perduto – Gallimard-Newton Compton

Stefan Zweig – Il mondo di ieri – Mondadori

Victor Eskenazy – Grazie per la gita in calesse – Allemandi 1994

Jean Renoir – La grande illusione – https://www.youtube.com/watch?v=64Z-Wt8U4ps

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Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

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