Insolvenze – Francesco Cagnetta

Titolo: Insolvenze
Data di pubbl.: 2024
Pagine: 59
Prezzo: € 12,00

«Accettare la verità, il passare del tempo / farsi scudo della macellazione».

Per Francesco Cagnetta la poesia è una voce nuda che senza finzione e nello schianto mette in evidenza la nostra forte tendenza all’insolvenza.

Insolvenze è un libro potente e Francesco è un poeta che sta sempre nell’accadere dove tutto si frantuma «per ogni nostra dannata omissione».

È il diario spietato e sincero di una caduta nel tempo, la nostra che avanza sul filo dell’avvenire o di un precipizio.

Un libro che ha una parola deflagrante che sa osare e che contiene tutte le cadute e gli inverni di ogni esistenza.

È il poeta stesso nella quarta di copertina a dirci che con questo libro ha provato a dare uno spaccato del percorso di vita di un quarantenne e, forse, di gran parte della sua generazione.

Nella sua poesia si avverte un forte smarrimento esistenziale che ci riguarda tutti.

La caduta nel tempo è scandita dal singhiozzo degli orologi: ci sono ferite e crepe nelle parole di Cagnetta che parla del fallimento della sua generazione come un fallimento di stile.

Il poeta abita le stanze vuote ed è consapevole che oggi nessuna casa è un luogo sicuro.

Si lega alla vita e scrive poesie. Questo per lui conta: la poesia diventa l’unico modo per lasciare una testimonianza, per avanzare di un passo mentre il baratro spalanca sotto i piedi il suo inferno.

«La poesia non muta nulla. / Nulla è sicuro ma scrivi». Cagnetta si cuce addosso la lezione del suo amato Fortini, fa suoi i versi del poeta e scrive mentre muovi i passi verso la caduta.

Tra l’oscuro dire di Paul Celan e il paradosso filosofico esistenziale di Giorgio Caproni si muove la poesia della precarietà di Francesco Cagnetta: «Il mio nome nello specchio / mi ha fatto spiga nella spiga. / Vieni fuori Francesco / da questa tela/ mai iniziata»; «Deducibile come il tempo perduto / che ci perde per mano e ci introduce / nel buio primordiale dei chi siamo. / Deducibili come noi che ci moltiplichiamo / per sottrazione, nella falsa illusione / di bastare a noi stessi». Cagnetta taglia la gola alle parole, questo deve fare un vero poeta.

Aveva ragione Celan quando scriveva che i poeti sono i gli ultimi custodi delle solitudini.

Nella poesia di Francesco Cagnetta ogni parola cerca nuovi nessi: insolvente per vocazione, da poeta e da uomo, scava nel lucido buio, guarda negli occhi le cadute e gli inverni che lo (e ci) aspettano.

Con la scrittura guarda e contempla il disastro della fine che «è qui / e ci accade» ogni giorno sotto i nostri occhi assuefatti al vuoto e al male.

Davanti all’oscurità che ci sta mangiando troppo in fretta, nella dimensione dell’io assente, il poeta rivolge lo sguardo al paradosso della luce nera dove lo zero mette in risalto l’universale e forte è la tendenza all’insolvenza.

Nel tema delle insolvenze la metafora chiara di una poesia che chiama per nome l’incompiutezza che non ha una risposta.

Finalmente un poeta che non si nasconde dietro le parole e che manda in frantumi questo nostro modo di esistere.

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