
Autore: Barbara Giangravè
Data di pubbl.: 2016
Casa Editrice: Autodafè
Genere: letteratura contemporanea
Pagine: 198
Prezzo: 15,00 €
La penna della Giangravè scivola senza sbavature. Puntuale sa unire la fantasia alla realtà. Quella che ci propone è una storia amara, ambientata nell’entroterra palermitano. Acremonte è la Macondo della nostra autrice. Si tratta di un paesino distrutto dai tumori, causati dalla presenza di rifiuti tossici interrati nelle campagne. Protagonista della vicenda, Gioia, una giovane ragazza che dopo esser stata licenziata decide di trasferirsi da Palermo nel borgo che le ha dato i natali.
Ma Acremonte è terra matrigna. Qui Gioia ritrova i suoi parenti e i suoi ricordi peggiori. In questo borgo abita il suo amore adolescenziale ma sono sepolti anche i suoi genitori. Fatto sta che qualcosa spinge la protagonista a ritornare nel proprio paese di origine, un ingarbugliato senso di appartenenza che si mostra pagina dopo pagina. Quando Gioia comincerà a notare che troppi giovani sono morti o affetti da tumore, scatta in lei una molla e inizia a indagare. Mette in dubbio anche il fatto che la morte dei suoi genitori sia stata accidentale, ma come inizia le ricerche si scontra con l’omertà e la paura.
La trama è quindi ben confezionata. Ce n’è abbastanza per rimanere con il fiato sospeso e per leggere con gusto questo romanzo. Poi vengono le considerazioni e infatti chi recensisce un libro deve far spiccare il carattere dell’opera, altrimenti ci limiteremmo a trascrivere superficialmente la quarta di copertina. E allora partiamo con l’analisi.
Questa è la prima opera della Giangravè. Un esordio vibrante, da subito interessante. È una giornalista e lo si capisce dalla puntigliosità della scrittura che sa essere sintetica e corrosiva, giungendo subito al dunque. Un cronista che si rispetti infatti è il peggior nemico dello “spreco della parola”. Ma qui c’è anche la delicatezza di chi conosce bene il mondo letterario. In questo caso la parola serve per esprimere vibranti emozioni, poesia e musicalità. La prosa della Giangravè infatti è molto musicale. Si accorda a quel sentimento di riscatto che c’è in ogni giovane del Sud.
Difficile spiegare questo concetto a chi non affronta certe tematiche. Anch’io sono un giornalista e abito in Calabria, so bene cosa vuol dire “infilarsi” in certi argomenti, sperando che l’opinione pubblica si svegli. In una società quale quella del Mezzogiorno, abituata al silenzio e tirata su secondo i principi del “familismo amorale”, gli assetati di giustizia e di verità sono spesso considerati eroi da strapazzo. Ebbene, Gioia non appare così ai nostri occhi. La sua battaglia è tenace ma finirà con un punto interrogativo. Non con un lieto fine, tanto meno in tragedia, termina semplicemente in un modo inaspettato. Quanto basta per far riflettere.
Ma andiamo alla parte letteraria. Inerti è prima di tutto un romanzo. Non siamo davanti al libro di una giornalista frustrata in cerca di consensi o che vuole scalare le vette della cronaca nazionale. La Giangravè ha saputo costruire un’opera in grado di unire attualità e letteratura. La protagonista cerca prima di tutto se stessa e poi la verità che salvi gli altri. A far da cornice al tutto è una Sicilia moderna ma rispondente ancora a quelle “categorie del pensiero” spiegate e rese visibili al mondo dagli isolani Pirandello e Sciascia.
L’alone di mistero che avvolge l’intero romanzo è quello che ancora oggi sovrasta quest’isola affascinante e la Giangravè non ha paura di aggiungere anche un pizzico della sua personalità e del suo estro. La sua scrittura infatti mostra, impressiona e colpisce. Insomma, un esordio con i fiocchi per questa giovane autrice. E siamo, come detto, solo all’inizio.