Autore: Baresani Camilla
Casa Editrice: Bompiani
Genere: Romanzo
Pagine: 179
Prezzo: 17.00 €
Il sale rosa dell’Himalaya è qualcosa di cui Giada in realtà non avrebbe bisogno. Esce a comprarlo, cosi, per abbellire un po’ una cena da cui dipenderà molto del suo futuro. E invece quella cena non ci sarà mai. Il suo sale rosa sono due balordi rumeni che la rapiscono in un’anonima sera di febbraio.
A Giada, da qui in avanti, non resterà nulla. Nemmeno il ruolo di protagonista; in un’assenza totale di figure positive, Camilla Baresani passa in rassegna uno per uno tutti quelli che potrebbero approfittarsi di un’episodio del genere. Il poliziotto che vuol gigioneggiarsi con la stampa, il giornalista che insegue la notizia solo quando fa notizia, l’avvocato che punta a rimpinguare finanze già corpose, persone comuni che lottano per un pezzo di telecamera o una comparsata in TV.
Fango attorno alla baracca dove viene sequestrata, fango gettato a sua insaputa dalla “gente”, nell’accezione più negativa che questo termine può avere. Giada resiste, mentalmente e fisicamente. Ma per resistere si aggrappa a pensieri altrettanto esecrabili: come sfruttare la faccenda, come ottenerne fama, come rapportarsi con la datrice di lavoro, come continuare una carriera che per nessun motivo vorrebbe interrompere con quel sequestro. Nemmeno il lettore in fondo ha voglia di compatirla, a dirla tutta.
Quando scompare una ragazza che abita sola e non è drogata, non è malata di mente, non è in fuga da creditori, non ha grane sentimentali, non ha disturbi alimentari, non è nemmeno particolarmente corteggiata perché è un tipo che fa abbastanza paura agli uomini e comunque se ne ha voglia li corteggia lei, quando sparisce una trentenne di questo genere, si pensano le cose piu’ strane. Alcuni fanno finta che non sia successo, altri non se ne accorgono, altri ancora fanno illazioni spesso sbagliate, quasi sempre malevole. (p. 62)
Non c’è cattiveria nella descrizione che la Baresani fa della Milano da bere che circonda Giada; più che altro, una sorta di apatia generalizzata e diffusa, nessun dolore e nessuna emozione, tutto coperto da un velo grigio uniforme che abbraccia l’arrivismo e l’indifferenza. Vien da chiedersi davvero chi sia “la gente” che ci circonda. Ci vogliono 160 pagine per trovare i primi barlumi di umanità che, in ogni caso, non vengono da persone che Giada ben conosce, e che comunque ormai nel lettore lasciano l’idea che ci sia un secondo fine, che debba esserci necessariamente qualcosa di negativo dietro.
Il punto è che l’occhio gettato sulla società è di denuncia, non di giudizio. Il giudizio è a noi lettori; “considerate se questo è un mondo”, sembra di sentire a fine lettura. Si rimane senza parole, perché alla fine del libro ci si sente vuoti. La Baresani ha il merito di individuare verità che ognuno di noi almeno una volta avrà pensato, e di sbattercele in faccia senza critica, cosi da farci pensare ancora una volta “ma no, se fossi io non mi comporterei certo cosi”. Vago ricordo degli ignavi danteschi. Nessuno la uccide, nessuno la salva. Giada è sola, ma è tutto il mondo che la circonda ad essere un insieme di persone sole.
“…le altre persone che conosceva, a cui era legata per affetto o per lavoro, e che adesso facevano proprio il motto cui tutti ricorrono pensando ad altri e mai immaginando che riguardi anche loro: Nessuno è indispensabile” (p.105)
Il romanzo è molto particolare, per quanto detto sopra e per la sensazione di “mutismo” che davvero lascia addosso la lettura. Lo stile è fresco e tiene sempre all’erta l’attenzione; anche la particolare divisione in capitoli e la metodicità della rassegna degli “amici” di Giada fa sorridere e strappa un applauso. Le uniche pecche sono una certa ripetitività, voluta fino all’ossessione dalla Baresani proprio per appiattire questo clima di non-emozione (in un intero libro basato sul sesso non c’è quasi la minima traccia di amore), e il colpo di scena finale, che si intuisce ben prima. Ma se volete “non-provare” un’emozione tutta particolare, allora si, fa proprio per voi.