Data di pubbl.: 2024
Pagine: 100
Prezzo: € 16,00
Quale ruolo ha la poesia nella ricerca del bene? Questo è l’interrogativo che si pone Antonella Vairano in Il bene profondissimo.
La poetessa costruisce un labirinto di versi, entra con le sue parole nella dinamica del mondo, scrive, riflette e osserva, cerca di costruire attraverso la poesia un sillabario di significati per questo nostro mondo minacciato dai crolli umani.
Ed è proprio dalla collisione con l’umano che scaturisce il ragionamento di Antonella Vairano.
Una collisione che contiene un grido e la poesia senza un grido si perde nel chiacchiericcio di parole che non portano da nessuna parte.
«Se la poesia è necessaria come il pane / dove andrò quando resterò con una parola sola?».
Ecco il punto di domanda fatale che Antonella Vairano si pone in questa disperata e difficile ricerca del bene profondissimo con le parole.
Davanti alla tortura di un freddo esistenziale che non abbandona le cose, la poesia ci suggerisce una cioraniana tentazione di esistere che è l’unico modo per attraversare il deserto della condizione umana.
Antonella Vairano scrive una poesia concreta, sempre attenta alla fisicità delle cose. Con i suoi versi tocca i dilemmi del creato, e noi che la leggiamo sentiamo sulla pelle i segni che lasciano le ferite.
«Perché questo dedalo di vita / è il morso della fame che mi prende / quando alla bocca dello stomaco / vorrei piegarmi».
La poesia di Antonella Vairano appartiene alla sua epoca e soprattutto ha delle ragioni e queste ragioni non le nasconde.
Una poesia che mette in questione il mondo, una poesia carica di mondo che sta sempre nelle cose e nelle persone.
«Ci sono voci / di cui tremano le cose / che parlano per ultime ora o più tardi/ Nelle retrovie / io non sono io, né posso avere casa».
Paul Celan scrive che la poesia sta e spera sulle proprie macerie. Antonella Vairano in Il bene profondissimo scava nella cosalità ultima delle macerie del mondo e con la sua poesia che trova l’uso del grido entra nelle viscere del vuoto con una chiarezza espositiva, non si nasconde dietro le parole ma le lancia deflagranti nella mischia.
Il poeta abita nelle sue parole e senza illusioni conficca il pugnale nella carne, come gli suggerisce di fare la coscienza: «… lo sbigliettamento al confine è solo per un dio povero / che ancora non beve assenzio».
La poesia ha sempre un senso ultimo, o non è poesia.
Antonella Vairano si pone domande e non cerca risposte e non sa se la poesia riuscirà un giorno ad abbracciare in presenza di tutto questo male il bene profondissimo. La sua poesia è legata a quello che non riesce a capire. La poesia è tentazione di esistere.
La poesia resta lo sguardo da intercettare in questo naufragio da cui non si torna salvi.