
Data di pubbl.: 2022
Pagine: 125
Prezzo: € 15,00
Ernest Hemingway sosteneva che non ci vuole niente a scrivere. Tutto ciò che si deve fare è mettersi davanti alla macchina da scrivere e sanguinare.
Verissimo, ma per fare questo ci vuole molto coraggio e chi scrive non si deve porre il problema di piacere a tutti, ma deve lasciare libero il pensiero e mettere sulla pagine parole senza alcuna mediazione.
Essendo il dentro un fuori infinito, il nuovo libro di Mariasole Ariot, sanguina dall’inizio alla fine.
La scrittrice si muove all’interno della realtà psichiatrica e dà consistenza al grado zero della disperazione dei folli e del loro disagio mentale e con una lingua che batte nel cuore feroce delle cose affida la parola a tredici disperati che raccontano i propri cortocircuiti mentali.
«Questo libro – scrive Helena Janeczek nella postfazione – parla dal dentro della sofferenza psichica: la fa parlare, quella sofferenza, talvolta, con una disperazione annichilente, ma senza rassegnazione. C’è un “io” che prende la parola e un “noi” che, a differenza di quello montaliano, indica un preciso gruppo di persone; quelle che condividono con chi parla l’esperienza di quel dentro».
Nella scrittura estrema di Mariasole Ariot ci sono i sanguinamenti di Artaud, i vacillamenti di Cioran, le follie visionarie di Dino Campana, ma c’è soprattutto quel coraggio di cui parlavamo all’inizio: non sottrarsi alla prosa che sanguina e che racconta nella carne la follia, che è la sorella sfortunata della poesia.
Quando si entra nella galleria dei disagiati e ci mettiamo in ascolto dei loro racconti, siamo letteralmente presi dall’abisso delle loro storie e nel loro disperato mondo interiore stiamo come in un labirinto.
La prosa di Mariasole Ariot non concede scampo, è un’ascia e scuote la coscienza di chi legge. È inevitabile non sanguinare insieme alla sua scrittura che vibra con una volontà di potenza che non fa prigionieri.
«Mi chiedi di non ascoltare, di tapparmi le orecchie, di bloccare con la cera gli ingressi non voluti. Ma un pozzo nell’esofago che si prende cura dell’incurabile: ho un posto scuro che non può non dire».
Ogni racconto è uno squartamento, un approdo su un pianeta sospeso nel vuoto. In ogni pagina la disperazione è raccontata nel suo grado zero con una lingua oscena che ci dilanierà fino a ribadire con lo scandalo della poesia «che lo zero non esiste. Che siamo sottozero, che non siamo».