Data di pubbl.: 2023
Pagine: 480
Prezzo: € 19,50
Marina Marazza, scrittrice, traduttrice e curatrice editoriale, riporta in vita con questo impeccabile romanzo, finalista al Premio comasco Scritture di lago 2023, la seconda moglie del Manzoni, Teresa Borri, vedova del conte Decio Stampa. Figlia di Marianna Meda e di don Cesare Borri, discendente da austriaci, Teresa era nata nel 1799 a Brivio sull’Adda e aveva due fratelli, Giuseppe e Giacomo. Vedova ricca, grazie alla fortuna ereditata dal marito – fortuna per la quale aveva dovuto combattere contro la suocera oltre a vedersi costretta a salvarla da suo padre, poco accorto amministratore delle proprietà di famiglia – Teresa ottiene attraverso l’amico di famiglia Tommaso Grossi una delle prime copie de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Affascinata dalla storia, ma soprattutto dalla complessità dei personaggi e dalla profondità dei risvolti psicologici, Teresa capisce di essersi innamorata dell’autore, mai incontrato e al tempo sposato con Enrichetta Blondel. Alla morte di costei, a dicembre del 1833, avviene il loro primo fugace incontro in occasione delle visite di prassi alla salma. Sarà lo stesso Grossi, benché a sua volta disperatamente innamorato di Teresa, a creare l’occasione per un successivo incontro che avverrà tre anni dopo nel palco della contessa Maffei al teatro milanese Alla Scala. “Il vostro idolo è qui.” le dirà Grossi ritirandosi in buon ordine. Teresa e Alessandro si sposeranno a gennaio dell’anno seguente e, nonostante l’amore e la dedizione di lei, non saranno tutte rose e fiori.
La Marazza lascia che sia Teresa a parlare in prima persona fino al giorno della sua morte, il 23 agosto del 1861. Ne scaturisce il sontuoso affresco di un’epoca: la dominazione austriaca nel Lombardo-Veneto, le guerre d’indipendenza, le cinque giornate di Milano, la sconfitta di Custoza, la caduta di re Carlo Alberto e i proclami di Pio IX, le epidemie di colera e persino un paio di terremoti. E appaiono tutti i principali personaggi che hanno reso quegli anni indimenticabili e indimenticati: d’Azeglio, Rosmini, Federico Confalonieri, la principessa di Belgiojoso, Cavour, il patriota Amatore Sciesa e il suo ‘tiremm innanz’, il medico Luigi Sacco e, naturalmente, la madre di Manzoni, quella Giulia Beccaria, figlia di Cesare – estensore del famosissimo Dei delitti e delle pene – la quale, ottenuto il divorzio dal conte Manzoni, aveva vissuto a lungo a Parigi come compagna di Carlo Imbonati. Una donna emancipata, certo, ma anche una suocera implacabile che mal sopporta la nuova nuora di pasta ben diversa dalla precedente, tutta dedita alle preghiere e alla procreazione fino alla morte (la Blondel ebbe ben quindici gravidanze). Ne scaturisce anche un ritratto non molto lusinghiero del Manzoni, un grandissimo scrittore, certo, pignolo e puntiglioso, ma un uomo incapace di affrontare la vita quotidiana con i suoi problemi anche economici, le malattie delle figlie che muoiono una dopo l’altra spesso senza il conforto della sua presenza, convinto che se di un problema non si parla, quello smetta di esistere e infine che si adombra di fronte a questa moglie tenace e intelligente che lo vorrebbe più reattivo, ma che, nonostante tutto, lo accompagna adorante come amante, segretaria e madre sostituta della sua numerosa prole.
Belle le parole pronunciate da Marianna, madre di Teresa, prossima alla morte, una donna che ha, come si dice, l’occhio lungo:
«Promettimi che se ti renderai conto di stare troppo male te ne andrai. Senza chiasso. Te lo puoi permettere, sei una donna agiata e indipendente. Se ti renderai conto che stare con lui ti dà più sofferenza che gioia, tu te ne andrai, ti allontanerai da lui.»
Ero un po’ stupita da quel ragionamento. «Io sono la moglie di Manzoni, mamma.» Provavo sempre un sussulto d’orgoglio dicendolo. «Non credo che verrà mai quel giorno…»
«Lo spero anch’io, ma non si sa mai. Me lo prometti, Teresin? Perché noi donne siano così sciocche, a volte. Permettiamo che il nostro cuore ci divori. Che i nostri amori diventino velenosi.” (pag. 249)
Un monito che in tante dovremmo rammentare. Sempre. Un gran bel libro da assaporare pagina dopo pagina.