Autore: Maurizio De Giovanni
Casa Editrice: Einaudi editore
Genere: romanzo giallo
Pagine: 394
Prezzo: 19.00 €
Leggi dentro, nei personaggi, in questo nuovo libro di Maurizio De Giovanni, “Anime di vetro”, nuova indagine del commissario Ricciardi. Leggi dentro di loro come già preannuncia il titolo, perché in questo romanzo ancor più che nei precedenti le anime si palesano nella loro trasparenza. E lo stesso Ricciardi è qui ancora di più uomo prima che commissario, e di lui emergono i dubbi e le paure: paura di rischiare e paura di perdere qualcosa a cui tiene. Con una particolarità che discosta questo eccezionale “Anime di vetro” dagli altri capitoli della “saga” del commissario: questa volta Ricciardi non sente le ultime parole del morto sul cui omicidio sta indagando, peraltro non in via ufficiale ma solo su richiesta della moglie dell’uomo che si è autoaccusato dell’assassinio. Morto da troppo tempo, l’avvocato Ludovico Piro, ucciso nel suo studio di notte tre mesi prima, con attorno un giro di prestiti di soldi ai “nobili” e con tra i suoi “clienti” il conte di Roccaspina con il suo vizio ormai dipendenza assoluta dal gioco. Morto da troppo tempo perché Ricciardi possa captarne le ultime parole, come gli accade con tutti i morti di morte violenta. A chiederle al commissario di indagare è la moglie del conte, ormai di fatto separata in casa da lui, ma convinta dell’innocenza del marito e determinata ad andare fino in fondo perché la verità venga a galla.
Un’indagine non autorizzata che Ricciardi, con il fedele Maione, porta avanti non sapendo a che cosa approderà, soprattutto perché è il conte stesso a continuare a dichiararsi colpevole.
La trama dell’indagine diventa però in questo libro (che ti tiene incollato fino all’ultima pagina) non secondaria, ma di supporto a quelle storie di sentimenti, di paure, dubbi, dolori, a quelle storie di “anime”, appunto, che sono nel titolo.
“Anime di vetro” è il primo libro senza Rosa, la fedele governante di Ricciardi, morta nel precedente. Grande lutto con il quale il commissario è costretto a confrontarsi. È sempre un libro nel quale forti e decisive sono le figure delle donne, ed Enrica e Livia ne escono qui perfettamente definite, così come portanti sono la contessa di Roccaspina e la stessa Nelide, la nipote a cui Rosa ha affidato la cura della casa e di Ricciardi. Ma è anche e soprattutto il libro dei padri e dell’amore del padri. Ed eccolo lì, Giulio Colombo, padre di Enrica, che da sempre più della madre riesce a leggere nel cuore della figlia, confidarle della rinuncia agli studi per proseguire il lavoro nel negozio di cappelli di famiglia. Una confidenza che avviene mentre due bambini giocano con il cerchio per strada, la condivisione del dubbio di aver fatto la scelta giusta. E con Colombo che afferma a Enrica: “ – Sai quando è svanito questo dubbio? Lo sai quando ho saputo di aver ragione? – Enrica sentì gli occhi farsi umidi sotto le lenti. – No, papà, – moromorò; – quando? -. La voce di Colombo si incrinò in modo impercettibile. Fuori uno dei bambini cercava di convincere l’altro a dargli il cerchio. –Quando sei nata tu. Quando ti hanno portata da me e ti hanno messa tra le mie braccia. E ogni volta che ti guardo, come adesso, ogni singola volta che guardo te i tuoi fratelli, ringrazio Dio di aver fatto la scelta giusta. Nessuna filosofia, nessuna classe di studenti, niente avrebbe potuto darmi più gioia di quella che provo in questo istante” (pagina 124). E la confidenza di tutto quell’amore paterno arriva con l’invito “voglio che tu non zittisca il tuo cuore […]. Ma ricorda: finché sono qui, non dovrai mai fare quello che non vuoi. SE fosse così, io avrei fallito nel mio compito di padre” (pagina 124 e 126).
C’è Manfred, il tedesco incontrato nel libro precedente, che vuole avere un posto accanto a Enrica, sempre però innamorata di Ricciardi, che a sua volta la ama a distanza e senza dirlo. C’è Manfred con la cui presenza accanto a Enrica e alla sua famiglia il commissario si trova un po’ a fare i conti.
E c’è Livia, abituata ad avere ciò che vuole, che vuole Ricciardi e che in questo libro manifesta ciò di cui riesce a essere capace.
Ma ci sono anche altre immagini di padri, magari solo accennati, ma ai quali De Giovanni assegna sentimenti forti e magari inespressi. C’è la struggente immagine di un padre che Ricciardi solo immagina, non vede, davanti a due bambini, forse fratellini, che gli appaiono morti annegati abbracciandosi, nel vano tentativo di uno di salvare l’altro. “Pensò al padre di quei bambini, dovunque si trovasse in quel momento, ammesso e non concesso che fosse ancora vivo, che non fosse morto di dolore. Se non l’aspettasse da qualche parte appeso a una corda, o con la schiena spezzata per un salto da un ponte. Si domandò se il suo cuore non fosse stato schiacciato dal rimpianto di non essere stato là, in riva al mare, per salvare i propri figli” (pagina 128).
E c’è sempre la stagione nella quale è immersa questa Napoli degli anni fascisti in cui De Giovanni ambienta i capitoli del commissario Ricciardi: è settembre “ il profumo vince sul domani e su ogni terrore. È settembre, e sembra che la tenerezza della città di mare e cielo e fronde che stormiscono nell’aria fragile non debba finire mai. Sembra che le anime possano restare di vetro, e mostrare quello che hanno dentro senza paura. Sembra. Perché settembre, di notte, ama mischiare il mazzo e dare una carta da scegliere. Una carta che conosce già” (pagina 100/101).
Anche all’anima di vetro di Ricciardi questo settembre porrà davanti il mazzo e una carta da scegliere. E sarà lì che un commissario che, se ancora non ami, amerai sicuramente dopo aver letto questo libro, dovrà fare i conti non solo con quella carta, ma soprattutto con le sue paure di uomo. E con la sua anima.