A tu per tu con…Roberta Corradin

Durante i giorni del Salone del Libro di Torino 2014 è venuta a salutarci al nostro stand Roberta Corradin, che ha appena pubblicato per Chiarelettere un libro-ricettario davvero particolare: “La repubblica del maiale. Sessant’anni di storia d’Italia tra scandali e ossessioni culinarie” che ci conduce a riscoprire la storia d’Italia attraverso la pancia e il piatto degli italiani. L’abbiamo intervistata per voi.

Le ha iniziato ad occuparsi di cibo quando non era ancora di moda e parole come foodie e food writer non erano ancora state inventate. Qual è il motivo di questa scelta?

Nel ’95 è uscito il mio primo libro: “Ho fatto un pan pepato, ricette di cucina emotiva”, in cui ad ogni racconto segue una ricetta, come tessere di un puzzle da comporre. Se chi lo legge ama cucinare vedrà le ricette, altrimenti leggerà in esse gli stati d’animo che accompagnano le diverse età della vita. Il libro è stato poco “filato” dai critici letterari, ma ha colpito quelli gastronomici che mi hanno contattato per lavorare nel loro settore. Ho collaborato con Paolo Marchi, l’ideatore di Identità Golose e con D di Repubblica.

“Mia mamma cucinava molto bene, ma non ha mai condiviso i suoi segreti. Sono andata via di casa a quindici anni, con il braccio il Talismano della felicità e la certezza che non avrei mai potuto vivere di surgelati: si mangia perché è buono, non per riempire la pancia”.

Il suo libro è una cavalcata di decennio in decennio che racconta la storia gastronomica e politica del nostro paese, basata sul binomio “alta cucina e bassa politica”. C’è un decennio in cui è più evidente questo rapporto?

Purtroppo è sempre più evidente e la voglia di riderne è passata. La parola non risolve più la realtà e non c’è limite al peggio.

Oggi siamo ossessionati dalla provenienza di ciò che mangiamo, vogliamo sapere come è stato alimentato il maiale di cui stiamo acquistando il prosciutto, eppure siamo indifferenti alla cosa pubblica. Come siamo arrivati a questo punto?La-Repubblica-del-maiale_Corradin

La tracciabilità è una sciocchezza incredibile, fa ridere questa ossessione se poi scopriamo che dalle polpette esce un nitrito. Siamo in una situazione surreale in cui se un ristoratore apre delle bustine di olio d’oliva proveniente da chi sa dove i NAS non hanno nulla da ridire, ma se offre ai suoi clienti un olio DOCG del territorio per far loro scoprire i sapori locali rischia la galera, così come uno chef che vuole proporre ai suoi ospiti una mozzarella realizzata nella stalla vicina. Oggi la legislazione è fatta ad hoc per le multinazionali, ma andrebbe diversificata per valorizzare le ricchezze gastronomiche  dei piccoli produttori locali. La colpa è anche nostra: lasciando le campagne a favore delle città abbiamo lasciato l’agricoltura nelle mani delle grandi aziende che l’hanno modificata in base alle proprie esigenze e ai loro profitti. La vera tracciabilità è produrre da sé il proprio cibo, riscoprendo in questo senso il lusso della povertà; è quello che fanno gruppi come Genuino Clandestino.

Oggi quando scopriamo qualche realtà sulla nostra Repubblica capiamo che avremmo preferito non sapere e così sublimiamo al ristorante.

Quale piatto o moda culinaria può rappresentare questo 2014?

Sicuramente la ribollita, con la differenza che la ribollita, quella vera, più la cuoci e più è buona mentre quello a cui stiamo assistendo ora peggiora con il tempo: sembra di assistere ad un sequel del Gattopardo, cambiano i nomi ma in fondo resta tutto uguale. Una speranza c’è e riguarda il parallelismo della Repubblica con il maiale. Finché è vivo il maiale non serve a nulla, anzi è solo un costo perché va nutrito; va una volta ammazzato il maiale invece si fa festa, si invitano gli amici e i vicini per condividere e conservare quello che si può ricavare, senza buttare via nulla. È evidente, noi italiani abbiamo fallito nel governare e dovremmo dedicarci alla cucina, al design e alle arti, che invece ci riescono benissimo.

Questa ossessione per il cibo passerà come una moda o lascerà qualcosa?

È espressione della decadenza della società, una sua “Masterchefizzazione” molto simile a quella che ha caratterizzato gli ultimi anni dell’Impero Romano; quando una società è troppo attenta o maniacale il suo destino è segnato, vediamo cosa verrà dopo!

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