Per questa intervista Gli Amanti dei Libri hanno contattato Viola Ardone, scrittrice napoletana che è appena uscita in libreria con il suo primo romanzo intitolato “La ricetta del cuore in subbuglio” edito da Salani. Ecco le domande che le abbiamo posto:
La protagonista del romanzo è Dafne, che appare nel sia nelle vesti della donna in carriera, sia in quelle di bambina: quale Dafne ama di più, la donna o la bambina?
Dafne bambina e Dafne adulta sono due angoli complementari, per usare una metafora cara al personaggio. Si completano a vicenda e, aggiungerei, ciascuna ha in sé un po’ dell’altra: la piccolina a volte deve misurarsi con problemi da grandi, che affronta con gioiosa maturità, mentre l’adulta è rimasta un po’ bambina, soprattutto dal punto di vista emotivo e affettivo. Direi, comunque, che questo romanzo è un atto di amore verso il bambino “interiore” che ognuno di noi porta dentro di sé anche da adulto. Sarebbe bello se, come fa Dafne, anche a noi fosse data la possibilità di tornare indietro nel tempo a incontrare questo bambino, prenderlo per mano, consolarlo e rassicurarlo.
La struttura del romanzo riflette in un certo senso lo sdoppiamento del personaggio di Dafne: il libro infatti alterna capitoli in cui si narra la storia di Dafne architetto a capitoli in cui si raccontano episodi del passato di Dafne. Perché ha scelto di presentare il personaggio protagonista sotto questi due aspetti: la bambina e la donna? Perché è importante l’alternanza tra presente e passato?
I due personaggi si trovano idealmente collocati su una stessa linea, un sottile filo di memoria che li lega e li slega facendo riaffiorare pian piano i ricordi perduti (o meglio rimossi) della Dafne adulta. Anche dal punto di vista visivo le due parti, quella narrata in prima persona dalla bambina e quella raccontata in terza persona dalla grande, sono contraddistinte da due caratteri tipografici differenti. Ho fatto questa scelta non per agevolare la lettura, in quanto le due voci sono marcatamente diverse, ma perché nella lingua italiana, curiosamente, la parola “carattere” viene usata, con esiti semantici diversi, sia per indicare il font grafico sia per designare gli elementi che costituiscono la personalità di un individuo. Quindi, nel presente e nel passato, Dafne presenta un diverso “carattere”, pur essendo, naturalmente, la stessa persona.
Il manuale di geometria sentimentale di Dafne accompagna i lettori durante tutta la storia e credo possa essere considerato la chiave di lettura della sua mente. Come mai i sentimenti, che per definizione sono qualcosa che va oltre la razionalità, sono descritti matematicamente, come fossero del tutto calcolabili?
Dafne ha elaborato una scienza “potenziale”, come quelle inventate dai membri dell’Oulipo (Perec, Queneau…), di cui è l’unica teorica e cultrice al mondo e vi si dedica con zelo straordinario. Credo che sia un altro nascondiglio che la protagonista ha escogitato per sottrarsi alla “manutenzione” degli affetti, a quel quotidiano confrontarsi con sentimenti, pulsioni, dolori, gioie. Dafne è affetta da una sorta di “analfabetismo emotivo”: non riesce a decodificare le emozioni proprie e altrui, le confonde, anzi, le fraintende, così come quando si getta nell’improbabile salvataggio di un suo ex. Quindi pensa che se, avesse sottomano un manuale di “Geometria sentimentale” da poter consultare quando si trova in difficoltà, tutto sarebbe più facile. Ogni incognita avrebbe una e una sola soluzione. Non ci sarebbe possibilità di errore.
Un altro manuale viene citato nel romanzo, si tratta del ricettario di una nonna napoletana che contiene ricette speciali in grado di alleviare i mali e risolvere i problemi: questo ricettario è frutto della fantasia o ha qualche legame con dei rimedi che si possono trovare nella realtà?
Credo che Napoli, per certi aspetti, si trovi alla stessa latitudine delle grandi città del Sud del mondo: Salvador de Baia, Cuba, Città del Messico, una umida e densa metropoli sudamericana, piena di incongruenze ma anche un po’ magica. Quindi la nonna che presta la ricetta al titolo somiglia a una di quelle “grandi madri” archetipiche che si incontrano nei romanzi latinoamericani che trasformano in ricetta le lacrime, i sorrisi e, perché no, anche i cuori in subbuglio!
Dafne ha origini napoletane e la sua famiglia, come molte al giorno d’oggi, ha affrontato una separazione, ma nonostante l’allontanamento dei genitori riesce alla fine del libro a riavvicinarsi. La famiglia napoletana per tradizione è considerata accogliente, gioiosa e numerosa, mentre quella di Dafne non è proprio così… sintomo dei tempi che cambiano?
Tolstoj dava inizio alla storia di Anna Karenina con una frase di incredibile densità semantica: “Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Credo che questa frase contenga un grande elemento di verità, ma che, curiosamente, sia vero anche il contrario, e cioè che ogni famiglia felice possa essere felice a modo suo. La famiglia di Dafne, nonostante sia stata toccata dal dolore, riesce a trovare un suo modo per essere felice. Una famiglia, dunque, disfunzionale, disunita, ma felice. L’istituto familiare va certamente ripensato, reinterpretato in relazione a cambiamenti che sono già in atto nella nostra società: penso alle famiglie allargate, alle famiglie arcobaleno, a quelle composte da persone dello stesso sesso, ai single, che decidono di scegliersi la famiglia nelle amicizie. Bisogna riflettere sul concetto di famiglia affinché ciascuno provi a reinventarla in modo nuovo, al di là dei retaggi della tradizione.
Dafne è un personaggio molto fragile ed insicuro, si circonda di uomini spesso sbagliati e teme di innamorarsi. Qual è il personaggio maschile più importante per lei: il fratello, il padre o il collega e poi compagno Martini?
Dafne ha un’affettività bambina, soprattutto nei confronti degli uomini. Nel romanzo gli uomini che per lei rappresentano un riferimento affettivo non hanno un nome proprio, ma vengono chiamati con un pronome (Lui), un nome comune (l’Ingegnere) o soltanto con il cognome (il Martini). Questo è spia del suo timore di stabilire relazioni emotivamente compromettenti e di lasciare sempre uno spazio siderale tra sé e il maschile. Credo che una figura maschile di riferimento per Dafne sia quella del fratello David, in cui lei vede compendiate tutte le caratteristiche che vorrebbe possedere e di cui crede di essere carente. Fino però a scoprire che anche David è minato da una grande fragilità.
Dafne è in cura da una psicanalista perché non ricorda nulla del suo passato ed è emotivamente molto impacciata: una mente brillante come quella della protagonista ha bisogno di aiuto per trovare il suo posto nel mondo. Chiediamo all’autrice se lei crede che la psicanalisi e la terapia possano fornire un valido aiuto in casi come quello di Dafne?
Credo che la psicanalisi possa essere la risposta che si sceglie di dare a un problema. Una delle risposte possibili, ma pur sempre una risposta. E che quindi possa aiutare, in casi come questi, a ricollocarsi al centro di se stessi.
Le ultime pagine del libro lasciano aperte molte porte: la conclusione è da interpretare come un lieto fine? Cosa si augura l’autrice per il futuro di Dafne?
I libri possono avere un finale tragico o un lieto fine, la vita no. Cioè, dipende da dove il narratore decide di interrompere il racconto, in un momento gioioso o disperato per il protagonista. Esemplare è a tale proposito il finale del film di Mike Nichols, “Il laureato”, con Dustin Hoffman. I due giovani protagonisti, dopo mille peripezie, riescono a fuggire dalla chiesa dove lei si è sottratta a un matrimonio non desiderato, corrono fino alla fermata dell’autobus, salgono a bordo, lei con il velo e i fiori in mano, lui trafelato dopo la lunga corsa per impedire le nozze. L’autobus parte, si sentono le inconfondibili note della colonna sonora di Simon & Garfunkel. È il lieto fine. Salvo che, dopo qualche secondo i due smettono di sorridere e guardano in camera, perplessi, come a dire “e ora? che succede ora che inizia la vita vera? è veramente un lieto fine? cosa ci aspetta? è davvero quello che volevamo? siamo felici? lo saremo? Auguro a Dafne di restare a bordo di quell’autobus il più a lungo possibile, senza farsi troppe domande sul dove la porterà…
Leggi anche la nostra recensione de “La ricetta del cuore in subbuglio” di Viola Ardone
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