A tu per tu con…Serge Latouche

11214055_811972912185885_7820220736992100859_nChi di noi può dire di non aver fatto l’esperienza dell’obsolescenza programmata? Lo so, detta così può sembrarvi una domanda provocatoria più che retorica eppure vi assicuro che non sto cercando di mettervi in difficoltà, anzi. In questo incontro con Serge Latouche  ho cercato di chiarire questo concetto e se avrete voglia di leggere fino alla fine sicuramente converrete con me.

L’economista e filosofo francese, noto per la teoria della decrescita felice, ha pubblicato quest’anno la nuova edizione di “Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata” per Bollati Boringhieri ed è stato uno dei grandi ospiti al Salone del Libro.

Prima di entrare nello specifico di questo testo, ci può spiegare in breve i fondamenti della teoria della decrescita felice?

Innanzitutto la traduzione più corretta in italiano è “decrescita serena” e si tratta di uno slogan provocatorio per sottolineare la necessità di porre fine alla crescita infinita, un discorso ideologico imposto dalla società industriale. E’ palese come sia incompatibile con un pianeta finito, ma si continua lo stesso a ragionare in funzione di questo modello non comprendendo che  ormai abbiamo una società impostata sulla crescita dove non c’è crescita.

Il problema più grave è che i governi stessi sono incapaci di fronteggiare la situazione e non fanno nulla per cercare altre soluzioni, piuttosto provano a tenere in vita un modello ormai morto.

L’alternativa  che ci si propone è invece quella di creare una società serena, conviviale ma non legata alla crescita per la crescita. La parola d’ordine è la frugalità, che in sostanza significa anche ritrovare il senso dei limiti.

Ci può spiegare invece brevemente il concetto di fondo del libro che, a grande richiesta, è uscito in una nuova edizione? L’obsolescenza indica il normale invecchiamento tecnologico, ma il controsenso sta nell’aggettivo “programmata”. E’ corretto?

Certamente. Con il progresso tecnico è arrivata anche l’obsolescenza tecnica, che è vecchia come  l’ Homo Faber: gli oggetti di ferro hanno fatto diventare obsoleti gli oggetti di bronzo.

Con la società industriale, però,  questo fenomeno ha fatto registrare un’accelerazione vistosa fino a raggiungere con l’informatica dei livelli impensabili. Il processo di invecchiamento degli oggetti aumenta sempre di più, tanto che nel giro di pochi mesi alcuni di essi diventano superati.  A questo concorre anche una forma di obsolescenza psicologica, legata alla pubblicità e  alla moda. Un oggetto si deve cambiare non perché quello nuovo sia migliore, ma perché quello vecchio non è più chic e questo riguarda non solo l’abbigliamento, ma persino gli elettrodomestici.

E’ la tossicodipendenza dai prodotti, concetto che lei sottolinea citando anche Umberto Eco. In alcune persone è più marcata, ma tutti ne siamo vittime…usa e getta

Proprio così. Per funzionare questo sistema basato sul triangolo prodotto-consumo-rifiuto ha bisogno di tre molle: la pubblicità che ci rende insoddisfatti di ciò che abbiamo e ci fa desiderare quello che non abbiamo, il credito che ci permette di comprare al di sopra delle nostre immediate capacità economiche e, appunto  l’obsolescenza che ci costringe a cambiare un oggetto anche se non ne abbiamo voglia. Tutti ne abbiamo esperienza e tutti ne siamo infastiditi, ma occorre uscire dalla società dei consumi per poterla bloccare.

Siamo nell’anno dell’Expo a Milano, con tutte le polemiche che ne conseguono sul dominio delle multinazionali anche in campo alimentare. Secondo lei si può dire che esiste anche un’obsolescenza del cibo?

In questi termini ovviamente no, perché si tratta di un fenomeno connesso agli oggetti che non si distruggono nell’uso, ma si logorano piano piano. Il sistema della grande distribuzione, però,  si è inventato una forma di obsolescenza attraverso l’uso della data di scadenza. Prima si comprava un prodotto a km zero e lo si consumava in breve tempo.  Ora si va al supermercato dove sono stoccati anche prodotti surgelati per mesi. Il 20 per cento di quello che è messo in vendita non è acquistato e viene buttato. Altro ancora viene eliminato a casa: si calcola che in Italia si spreca in tutto il 40 per cento dell’alimentare. Oltretutto non sappiamo nemmeno esattamente cosa mangiamo perché molti conservanti e trattamenti chimici non sono dichiarati.

Quali libri può consigliare per accostarsi alla tematica della decrescita?

Naturalmente ci sono autori che hanno affrontato il tema più o meno direttamente, ma tre anni fa in Francia abbiamo deciso di pubblicare una collana che contenesse vari autori di riferimento del passato. E’ stato così che ho scoperto che, salvo alcuni importanti pensatori che esaltano il progresso come Victor Hugo, nella maggioranza dei casi ci sono voci critiche.

Autori e filosofi prima della modernità hanno elaborato teorie molto vicine alla decrescita, così abbiamo dedicato volumi a Lao Tse, Epicuro, Diogene e presto pubblicheremo Gandhi.  Poi ci sono intellettuali che hanno criticato aspramente sin dall’inizio la società industriale e uno di essi è Tolstoj, che ha ispirato proprio il Mahatma.

Cosa vi avevo detto? Chi non ha mai buttato un cellulare o una lavatrice prima del tempo? Per non parlare dei vestiti e delle scarpe e dell’impossibilità di ripararli perché non ne siamo più capaci. Ma questa è un’altra storia, o forse no.

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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