A tu per tu con… Robert Seethaler

img_robert_seethaler_14124180281226Robert Seethaler è uno scrittore (ma anche attore e sceneggiatore) austriaco che oggi vive a Berlino. Lo abbiamo incontrato al Salone di Torino, dove presentava “Un vita intera”, edito da Neri Pozza, il suo secondo libro pubblicato in Italia dopo ”Il tabaccaio di Vienna”.  Ha  ottenuto  un grande successo in Germania, dove è stato decretato «libro dell’anno» dai librai e selezionato da Der Spiegel come uno dei romanzi più importanti del 2014, accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico.

Nelle risposte alle nostre domande emerge l’intensità di questo romanzo, di cui non possiamo non consigliare la lettura.

La nascita della sua carriera di scrittore è legata ad una ragione profonda e personale. Ce la vuole raccontare?

Ho una grave malattia agli occhi e da bambino ho frequentato la scuola per ipovedenti. Ho vissuto la condizione dell’oscurità, con grandi zone di ombra e di buio. Credo che sia questo il motivo principale per cui ho sviluppato moltissimo le doti di immaginazione e di fantasia. Oggi la scrittura per me non è soltanto un divertimento e un piacere, ma soprattutto la necessità di descrivere queste immagini che mi compaiono davanti agli occhi .

Leggendo il suo libro in effetti ho notato come ci sia una forte presenza del paesaggio, decritto anche attraverso pochi semplici aggettivi che hanno però una grande forza evocativa.

Io descrivo pochissimo, in modo molto sintetico: descrivo la realtà così com’è. La descrizione deve essere limpida e per esserlo non servono tante parole e questo vale anche per lo sguardo del protagonista: non ci sono delle sovrastrutture o delle interpretazioni preconfezionate. C’è quello che vede.

In effetti il libro, che rappresenta la vita normale di Andreas Egger, un contadino austriaco vissuto nato alla fine dell’Ottocento, è fatto di attimi semplici e fatali che si susseguono come accade in ogni esistenza umana…

Il segreto, anzi l’origine vera di questo libro è il silenzio, che è quello delle montagne ma anche del personaggio e dell’uomo in generale. Il silenzio ci permette di vivere sensazioni di grande meraviglia e stupore, ma anche di grande paura.

Il romanzo ci immette sin dall’incipit nel cuore delle tematiche che intende affrontare attraverso una scena drammatica in cui Andreas si carica sulle spalle il corpo in fin di vita di un pastore di capre. Come mai questa scelta?

E’ una scena arcaica, potente e diretta. Ci mette subito in relazione con i grandi temi della morte e della sopravvivenza. Nel libro c’è anche una figura che rappresenta la morte ed è stata chiamata “la signora del freddo” non a caso. E’ una figura femminile che ci fa paura, da cui vogliamo fuggire, ma al tempo stesso ci riaccoglie. In essa alla fine troviamo pace.

Sono sempre affascinata dal sapere come nascono le storie e la curiosità aumenta quando si è di fronte a vicende che hanno questa carica vitale.

Sulle montagne sono nato e mi porto dentro questo ambiente sin da bambino. Le montagne possono essere inquietanti e c’è un’esperienza in particolare a cui faccio riferimento. Quando si scia capita spesso di sprofouna vita interandare nella neve e provare una sensazione di totale silenzio. Quella è la situazione principale da cui è nata questa storia. Devo dire però che non esiste un’ispirazione univoca, ma esistono tante esperienze che diventano ispirazione come tanti ruscelli che scendono a valle e confluiscono in un singolo fiume. Non un solo evento ci porta ad avere l’ispirazione, ma tutto ciò che viviamo.

Buona parte delle vicende si svolge nel periodo delle due guerre mondiali. Anche il suo precedente romanzo, “Il tabaccaio di Vienna” , era ambientato nella stessa epoca. Qual è il fascino che riveste su di lei questa fase drammatica della storia europea?

Quel periodo segna l’annientamento della civiltà occidentale e ha rappresentato una ferita, una rottura profondissima, dalla quale però è nato il mondo come oggi lo conosciamo e lo viviamo. Quindi è un periodo cupo della nostra storia, ma molto interessante.

Il protagonista poi attraversa questa fase e va oltre, dato che vive più di ottant’anni.

E’ il racconto di un’esistenza normale che passa attraverso diverse vicende avvenute in  momenti storici differenti, che è ciò che accade in molte vite in realtà. I nostri diretti predecessori hanno vissuto cambiamenti inimmaginabili: mia nonna in Boemia era nata in una fattoria senza corrente elettrica ed è morta nell’epoca dei computer.

A questo proposito che importanza attribuisce al progresso? Il suo protagonista si trova a lavorare per la costruzione di una funivia, opera che cambia il volto della montagna.

Andreas Egger cerca di non giudicare. C’è una differenza sostanziale tra avere questo atteggiamento al contrario lasciarsi sopraffare dagli eventi. Lui cerca di gestirli, osservarli e trarne qualcosa di positivo: non idealizza il passato, ma ha un approccio aperto al cambiamento.

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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