A pochi mesi dall’uscita del pregevole thriller finanziario L’ultimo cliente, abbiamo incontrato l’autore Pietro Caliceti per fargli qualche domanda sul suo romanzo.
Il libro, pur essendo una storia unica, è suddiviso in tre sezioni, ciascuna chiamata con nome diverso. Perché?
Quando ho riguardato la storia con un certo distacco, mi sono accorto che era possibilissimo dividerla in tre parti. Questa suddivisione non era solamente temporale ma anche psicologica.
La prima parte, che ha nome stanstill, tratta non solo dell’incarico che permette al protagonista di tornare a fare il suo mestiere, quello dell’avvocato, ma vuole anche trasmettere la situazione di partenza del protagonista ovvero la stasi e l’angoscia che prova un uomo, arrivato al culmine della sua carriera professionale che si trova senza lavoro, senza clienti e senza soldi. Non c’è una caduta, non un evento tragico che spezza la vita ma un lento e inesorabile nulla che avvolge tutto. La seconda parte, Foreign affairs, mostra cosa succede al giorno d’oggi. Ci troviamo in un momento in cui una generazione è costretta a fare come i nostri bisnonni e cercare la fortuna all’estero, spesso reinventandosi per nuovi lavori e quello dell’avvocato è uno dei mestieri più difficili da reinventare perché ogni avvocato è legato al proprio paese, conosce le legge del proprio paese e sa muoversi lì, non come un chimico o un fisico che possono lavorare ovunque nel mondo perché abili in materie “universali”. L’ultima parte recita un motto latino che rappresenta allo stesso tempo una caduta e una conclusione. Il significato di quella frase significa che quando si stringe un patto “immorale” chi lo contrae non è tenuto a rispettare tale patto appunto perché immorale.
Nel suo libro, l’avvocato Pugliatti parla di molte leggi e regolamenti con tanto di spiegazione “per i non addetti”. Potrebbe spiegare meglio cosa significa Standstill?
Standstill è un termine che, letteralmente, significa “stare fermi”. Nel vocabolario italiano esiste una parola corrispondente che è “moratoria”. Nello Standstill c’è un accordo tra debitore e creditore. Il creditore prende atto che il suo debitore è in default e non può al momento ripagare il debito e si impegna, per un certo periodo di tempo, a non procedere alla riscossione del credito o, in questo caso, all’esproprio.
L’elemento familiare ha un ruolo centrale all’interno della storia. Luca Pugliatti è molto preoccupato per le figlie, per la moglie e resta molto colpito dalle vicende famigliari del suo cliente. Quanto ha giocato il fattore famiglia per lei nella stesura di questo romanzo?
È stata importantissima. Il libro è quasi una sorta di testamento spirituale che nasce da un periodo di grande crisi professionale. Io, mi permetto di dirlo, ho lavorato a livelli altissimi continuando a crescere sia sul piano professionale sia su quello della clientela. Poi improvvisamente mi sono ritrovato senza nessun cliente, senza lavoro a causa della crisi. Era una brutta sensazione, come se mi stessi avvitando su me stesso, come se la vita avesse smesso di continuare e si avvicinasse al baratro. Ho avuto paura per la mia famiglia, di non riuscire a mantenere le mie figlie. Ho fatto il possibile per tenere al riparo la mia famiglia da questa angoscia così devastante, chiedendo comunque dei cambiamenti all’interno di casa mia. Il pensiero di non farcela è stato terribile e per anni ho avuto molta difficoltà a ridere o a trovare un momento di serenità. Scrivere mi serviva per lasciare alle mie figlie un resoconto di quello che stavo vivendo, da cosa le proteggevo così che un giorno, quando sarebbero state grandi abbastanza avrebbero potuto capire il perché di tante cose.
Nel libro c’è un personaggio particolarmente molesto, se possiamo usare questo titolo, ed è la dottoressa Biancardi. Volevo chiederle come nasce questo personaggio?
Non è il ritratto di una persona reale, se è quello che mi sta chiedendo. Mi sono appellato alla mia fantasia anche se ho messo insieme alcune caratteristiche di alcune persone che ho avuto modo di incontrare nella mia vita professionale.
All’interno della storia lei affronta un argomento di grande attualità, ovvero la crisi libica. Ha voluto parlare di quel paese per un motivo particolare? È d’accordo con le parole di un suo personaggio che lo definisce “un paese giovane, ricco, proiettato verso il futuro”?
Ho scelto la Libia per un motivo molto particolare. Volevo parlare di qualcosa che conoscevo oltre che di qualcosa di attuale e quando ho iniziato a scrivere la Libia stava vivendo una stagione particolare. Io stesso ho assistito di persona al tentato colpo di stato che c’è stato in Libia all’epoca ed è stata una esperienza dura e difficile essere lì e non sapere cosa stesse succedendo. Quando ho messo in bocca quelle parole al mio protagonista, sì ero convinto di cosa stessi dicendo. Tutti immaginano la Libia come un paese con case semidistrutte, povero, con donne che girano completamente velate e dove il progresso non esiste. In realtà la Libia è molto diversa. La capitale, Tripoli è una città che non ha nulla da invidiare alle grandi metropoli europee. Ci sono negozi, ci sono grandi magazzini equivalenti al nostro “Rinascente” che ospitano le più famose marche internazionali. Le donne libiche fanno spese, si truccano. Poi ovvio che ci sono zone più rurali.
Nel suo romanzo si parla molto della Speranza. La speranza di Pugliatti di salvare la sua famiglia dalla miseria, speranza di tornare a lavorare, speranza di Galli di non fallire…sembra che la Speranza sia il motore della storia. Cosa ne pensa lei a riguardo?
Penso che sia vero. Penso che sia importante continuare a cercare la Speranza e che la sua perdita sia la cosa peggiore che ci possa capitare. È necessario sempre trovare la speranza, è necessario avere speranza.
Nascita di un libro. Ci racconta la sua storia editoriale?
Come le avevo detto prima il libro in origine era solo un esercizio privato, una sorta di sfogo personale per quello che stava accadendo. Era il giugno del 2014 quando ho iniziato a scrivere. A Luglio dello stesso anno avevo già scritto una trentina di pagine e siccome anni fa avevo incontrato per altre ragioni Michele Dalai della casa editrice Baldini&Castoldi l’ho contattato e gli ho chiesto un parere. Dopo qualche giorno mi ha telefonato lui dicendo che il lavoro gli piaceva, che era interessato e che sarebbe potuto uscire un buon libro. Ci siamo incontrati, mi ha chiesto cosa avessi in mente, come proseguiva la storia e quando glielo ho detto ha scommesso sul mio libro.
Adesso che è un autore affermato, cosa è diventata per lei la scrittura?
La scrittura è diventata per me molto importante. Non è solo un qualcosa di liberatorio, che mi diverte e che mi piace fare è qualcosa di profondo. Ho quasi terminato il mio secondo libro e sto mettendo mano a un terzo ma non le dirò di più per non rovinare la sorpresa ai lettori.
Ultima domanda. Lei è un avvocato esattamente come il suo personaggio. Ora Pietro Caliceti incontra Luca Pugliatti. Cosa gli direbbe?
Gli direi che è stato fortunato. Alla fine lui ha avuto una possibilità che io non ho mai avuto. Tuttavia, se devo essere sincero, non saprei cosa dirgli perchè ho messo molto di me in Pugliatti. Sono felice di come sia uscito e penso che noi autori abbiamo il controllo del nostro personaggio solo fino a un certo punto. Poi occorre lasciarlo andare e non stare troppo a pensare a cosa fa o cosa avremmo voluto fare.