Al Salone Internazionale del Libro di Torino abbiamo avuto modo di incontrare Alessandro Perissinotto, scrittore torinese impegnato nella presentazione del suo ultimo libro “Le colpe dei padri”, edito da Piemme. Il suo nuovo romanzo, oltre alla storia principale del protagonista, Guido Marchisio, indaga anche nuove tematiche sociali che non erano presenti nei suoi primi lavori, che si accostavano maggiormente al genere noir e poliziesco. Abbiamo approfittato della sua presenza per fargli alcune domande.
Guido Marchisio è un uomo di mezza età, di successo, con un bel lavoro e una bella donna. Che cosa gli manca?
Innanzitutto gli mancano dei ricordi del suo passato, anche se lui all’inizio non se ne accorge, se non dopo un evento occasionale: dopo un mancato incidente d’auto sente il bisogno di bere qualcosa in un bar che non frequenta mai. Lì incrocia un uomo che gli dice “Guido, sono Ernesto, ti ricordi di me? Giocavamo insieme da bambini”. Lui si risente, perché non è il genere di uomo che può essere confuso con altre persone, soprattutto per il suo aspetto fisico. Ma questo incontro gli scatena molte domande, tanto da mandarlo in crisi.
Che cosa rappresenta Ernesto Bolle per il protagonista?
Quest’uomo che lo riconosce è il suo doppio, il suo alter ego, quello che gradualmente si trasforma nella sua ossessione e che minerà tutte le sue sicurezze. Guido, oltre che un uomo di successo, è anche un cinico ristrutturatore, ma questa ossessione lo porterà a una crisi, oltre che personale, anche professionale ed inizierà a fare molte ricerche su questo Ernesto.
Come nasce la storia di Guido? Qual è stata la sua ispirazione per la scrittura di questo romanzo?
Io credo sempre che l’ispirazione si nutra di fatti e aspetti diversi. Ogni mio libro ha un nucleo tematico e di eventi che permettono di calare il tema nella storia dei personaggi, anche perché, se non ci fossero, non avrei scritto un romanzo ma un saggio. Lo sfondo tematico è quello della disoccupazione e della crisi e per trovare un’ispirazione basta leggere i giornali. L’idea dell’ossessione del mio personaggio dipende dalla volontà di inserirmi in un filone letterario antico, quello del doppio, che parte da Dostoevskij, anche se nella letteratura moderna non è un tema così frequente. È comunque un tema che mi ha sempre affascinato, per questo non mi è servita un’ispirazione nuova.
Nel suo romanzo Torino e le sue peculiarità rivestono un ruolo davvero importante, che cosa rappresenta per lei questa città? E per Guido?
Per me, in questo romanzo, per quanto possa apparire paradossale, Torino è meno importante che negli altri romanzi, è importante come città – laboratorio di nuove situazioni, come la delocalizzazione delle industrie, il declino dell’economia, situazioni in cui Torino ha anticipato le altre città, non solo italiane ma anche europee. Per Guido, almeno per la prima parte della sua vita, Torino non conta molto. Lui è un manager di successo, per lui una città è uguale all’altra per questo, in alcune parti del romanzo, arriva a biasimare i suoi colleghi che non erano soddisfatti del trasferimento. Con la comparsa di Ernesto, però, qualcosa in lui cambia: la ricerca di quest’uomo lo porta alla ricerca del suo passato e, quindi, anche delle sue origini torinesi.
All’inizio della sua carriera da scrittore l’abbiamo conosciuta per una scrittura di genere giallo-noir. Com’è passato alla narrativa a sfondo sociale, come appunto il suo ultimo libro Le colpe dei padri?
In realtà anche nella mia narrativa noir è sempre stato presente uno sfondo sociale. Io ho sempre interpretato il poliziesco non solo come genere di indagine criminale, ma soprattutto sociale. Il passaggio è stato semplice: mi è bastato evitare eventi strettamente legati al genere poliziesco, anche se nei miei romanzi non gialli è sempre presente un omicidio violento. Non credo molto nei generi, in molti casi servono solo per suddividere i libri nelle librerie. Nel giallo sei costretto a seguire certi temi, ma quando rinunci a ogni caratterizzazione ti liberi, anche se io non rinuncio alla parte della ricerca interna dei personaggi che vanno alla scoperta di qualcosa che si determina come rivelazione. Cerco sempre di dare questo tipo di trama al lettore: le tematiche sociali rimangono importanti, ma devono trasmettere nel lettore la curiosità che li spinga ad arrivare all’ultima pagina
Il gruppo editoriale più importante d’Italia, Mondadori, ha scelto lei e il suo libro come candidati al Premio Strega, il più ambito dagli autori italiani. Che cosa significa per lei?
Indubbiamente il Premio Strega, per uno che negli anni Ottanta ha lavorato in fabbrica pensando che il suo orizzonte massimo fosse la direzione di un’officina, è sicuramente un riconoscimento per il lavoro e il percorso fatto fin qui, anche prima di vedere il risultato. La mia soddisfazione risiede già nella candidatura: sarei ipocrita a negare che mi piacerebbe vincere, ma già essere stati scelti come candidati per la Mondadori è una soddisfazione enorme.