Autore: Toni Morrison
Titolo: A casa
Editore: Frassinelli
Pagine: 182
Anno pubblicazione: 2012
Prezzo: 18,50 euro
Il ritorno rappresenta uno dei grandi temi americani. L’America, in senso lato, è una terra cui si arriva – se la vediamo dalla prospettiva europea – ma anche una terra cui si ritorna. Ricordo il piccolo gioiello della scrittrice native american Leslie Marmon Silko, Ceremony (pubblicato in Italia da Quattroventi nel 2007 con il titolo Cerimonia), e non ho difficoltà a trovare un nesso attraverso una “sindrome del ritorno” alla stessa terra. L’America vigliacca, che ti spedisce lontano a decidere della vita di altre persone, a infliggere tormenti a te stesso prima che al prossimo, a perdere la tua identità, smarrendo la strada.
Frank è un alienato: lo era prima di partire, in quel buco-del-culo-del-mondo che probabilmente rappresenta l’Ohio natale di Toni Morrison, presente in tutte le varianti possibili nei romanzi del premio Nobel 1993; e continua a esserlo dopo l’esperienza in Corea, per una delle tante guerre USA del Novecento. Il viaggio verso casa avviene “a year after being discharged from an integrated Army into a segregated homeland”: l’America, casa dolce casa, così brava a produrre veterani, così meschina nel farli sentire fuori posto, estranei, outcast.
Frank Money (cognome che gli merita le più becere canzonature) fa ritorno a Lotus, piccola cittadina dalla quale prima della guerra aveva fatto di tutto per fuggire; e vi torna insieme alla sorella Ycidra, Cee, che come lui aveva promesso di lasciare per sempre i luoghi d’origine. Ma storie d’amore fallite (il marito di Cee la molla fuggendo con la Ford del nonno, mentre Frank è cronicamente incapace di rivolgere il proprio affetto verso la compagna) ed esperienze traumatiche (per lui la guerra, per lei la crudeltà di esperimenti medici improbabili) li riportano, insieme, a casa dei nonni, Salem e Miss Lenore. Un’ammissione di colpa, dunque, effetto della disperazione e dell’emarginazione in cui sono piombati. “A segregated homeland”. Abbandonare la casa, come per ‘Ntoni nei Malavoglia di Verga, equivale a condannarsi per sempre, perdere la propria identità e gli affetti veri. Nel finale, “casa” sembra ritrovata: ma tutto è diverso, gli amici sono morti (in guerra, al fianco di Frank), tutto è inospitale e freddo. Solo i ricordi scavati nel passato (qui la scena finale del ritrovamento delle ossa umane sepolte dai due fratelli durante l’infanzia, che chiude il cerchio narrativo tra il primo e l’ultimo capitolo), possono ricreare un simulacro di intimità, condivisione, affetto.
Un romanzo potente, costruito su sapienti rimandi testuali, una scrittura che va dritta nel profondo della coscienza del lettore e del paese, una coscienza americana che i personaggi sembrano tradire e che invece incarnano fino all’estremo. Con Home, Toni Morrison continua nella propria crociata contro l’America felice e spensierata degli anni ’50 e ’60, anni luce lontana dalle rappresentazioni nostalgiche della cultura ufficiale, ingabbiata fra guerre che non si chiamarono guerre e inchiodata a una cronica assenza di casa.