
Autore: Baricco Alessandro
Casa Editrice: Feltrinelli
Genere: Pièce teatrale
Pagine: 108
Prezzo: 10.00
Un volumetto agile, poco più di cento pagine che scorrono veloci tra le dita e racchiudono tutta la bravura di Baricco nel giocare con le parole, piegarle al proprio volere e trasmettere tramite esse un messaggio che arriva nell’intimo delle persone, in quella parte tanto nascosta e profonda del nostro io che forse non vogliamo neppure conoscere.
Pochi personaggi si muovono sul palco di questa piece teatrale. È proprio di questo di cui si tratta, un testo in cui non trovano posto solo i dialoghi serratissimi e a volte surreali dei protagonisti, ma tutte le indicazioni che l’autore vuole dare al regista: come immagina che i personaggi si muovano, parlino, la velocità delle loro azioni e delle loro parole. Piano a piano le figure emergono dalla carta, modellate dallo scrittore e dall’immaginazione del lettore che si pone come vero e proprio spettatore degli eventi.
Non sempre fila tutto liscio e se il ritmo della scrittura diventa mano a mano più incalzante non mancano momenti meno scorrevoli. Lo stile ironico e nel contempo drammatico di Baricco emerge nella descrizione della precarietà dei giorni degli interpreti e nella scelta dei loro nomi, a cominciare da Tom Smith, inventore e metereologo le cui ricerche strappano ben più di un sorriso e Jerry Wesson, incaricato di ripescare i corpi di coloro che si gettano dalle cascate del Niagara, splendido sfondo del racconto ambientato nei primi anni del Novecento. A loro si aggiunge Rachel, ventenne aspirante giornalista che decide di prendere in mano la propria vita proprio mettendola a rischio lanciandosi dalle cascate chiusa in una botte di birra, con l’aiuto di Smith e Wesson, o Tom e Jerry se preferite.
Un lancio nel vuoto che da letterale diventa filosofico, un modo per riconoscersi e farsi riconoscere vivi e interpreti del mondo: << Wesson: Allora glielo dico io. E’ quello che voglio, essere me stesso. Capisce cosa voglio dire? Rachel: Certo, E’ quello che vogliamo tutti, signor Wesson, Esistere.>>
Il gran finale è come il rombo delle cascate: forte, atteso eppure improvviso, inevitabile; ed è come sprofondare nelle acque più profonde, nella folle speranza che la loro forza si plachi e ci permetta di riemergere vittoriosi, lasciando entrare nella botte la luce e, forse, il sorriso di un volto amico.
Il senso è tutto qui. <<Le avrei dovuto dire che tanti saltano nello stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi. Avrei dovuto dirle che tutti lo fanno chiusi nelle loro paure, chiusi dentro la botte mefitica delle loro paure. Un posto piccolissimo, molto nero, dove sei solo, e fai fatica a respirare. Non c’è nulla che si possa fare per cambiare le cose e già si è fortunati se qualcuno ha avuto per noi l’attenzione di mettere una piccola musica, là dentro; o se capita di avere un amico ad aspettarci in un’ansa del fiume per riportarci a casa, in una qualche casa.>>