“…non è fatta per le lezioni di letteratura, né per i pastiche stilistici, né per le dissertazioni brillanti, né per la routine, le regole, il mestiere, il metodo, i dogmi, né per nessuno di quegli insegnamenti che inculcano nelle scuole. In una parola non è disposta a sottostare ad alcun potere.”
“Sette pazze. Alle quali vivere non basta.” Inizia con queste parole “Sette donne” di Lydie Salvayre, autrice francese già Prix Goncourt, che Prehistorica Editore ci permette di leggere, nella traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala.
Le sette donne del titolo sono in realtà otto nel contenuto del libro. L’autrice si unisce a loro, svelando una ad una le loro incredibili biografie e arricchendole con la sua personale scrittura, con il suo essere scrittrice pazza anche lei e non solo aggiungo io, ma anche “istigatrice”, “untrice”, che scatena, fomenta nei suoi lettori la stessa letteraria pazzia.
Si incontra per prima Emily Brontё, con la sua numerosa famiglia, e si mostra fin da piccola restia ad essere ingabbiata in regole, paletti, obblighi e tutto ciò che la confina in percorsi prestabiliti. Questa sua ricerca d’altro, la porta gradualmente a ritrovarsi sola, isolata in un paese isolato, ma tutto questo si rivelerà un bene per ciò che più le interessa e senza cui non saprebbe vivere: scrivere. Lotta, contro tutto e tutti, e pur tardivi, di molto, arriveranno grandi risultati.
“…quando scende la notte, quando ogni cosa è immersa nel silenzio, quando Tabby va a letto e suo padre prega, Emily si ritira in camera sua dove un orologio scandisce il triste scorrere delle ore, e allora comincia un’altra vita.”
Questo passaggio è a mio parere eccezionale, e conferisce uno slancio immediato al libro. L’affiancamento del “triste scorrere delle ore” , a “comincia un’altra vita”, ci annuncia che il testo di Lydie Salvayre sarà esplosivo. Questa miscela di eventi negativi, faticosi, e di slanci, prospettive, e obiettivi ambiziosi, viene innescata ad arte dall’autrice. Aguzziamo la vista, leggiamo con attenzione perché più di una volta incontreremo magnifici fuochi d’artificio come questo.
La seconda delle “otto” donne pazze, che l’autrice ci presenta è Djuna Barnes, nata nel 1892 nello Stato di New York, ed è una delle due che, ahimè, non conoscevo fino a pochi giorni fa. L’altra è Ingeborg Bachmann. Non vi tedierò certo con dei brevi riassunti di ognuna di loro. La scrittura ammaliante e stimolante di Lydie Salvayre è ciò di cui dovete godere. Condivido invece alcuni aspetti che mi entusiasmano nei libri che parlano di libri e di chi li scrive, come “Sette donne”.
La conoscenza di nuovi autori, in questo caso autrici e di nuovi titoli che un libro come questo permette, allarga l’orizzonte dei lettori, infonde loro speranza, consolida l’entusiasmo e invita a proseguire l’esplorazione del mondo delle lettere attraverso questo strumento formidabile che ci fa viaggiare in ogni dove e in ogni tempo, stando nel luogo preferito, nella posizione e con la temperatura più gradita. Ma sempre possibilmente soli, credo ci direbbe proprio Emily Brontё. Altro aspetto, frutto della conoscenza prima citata, è il desiderio ardente, a volte utopia a volte speranza certa, che secondo me germoglia, cresce e alberga in tanti lettori, che si trasforma leggendo, in una sprone feroce ad imbracciare penne matite e fogli.
Poi, dal dire (leggere) al fare (scrivere) c’è un mare in mezzo, di duro lavoro, ma fermarsi o esitare, può essere più pericoloso che lanciarsi. A me dice questo Lydie Salvayre, con le sue puntuali riflessioni.
Come succede quando si legge un libro di racconti, viene quasi automatico dire o pensare “Mi è piaciuto di più questo” e dopo averlo letto tutto attentamente, conosciute le vite incredibili di Emily Brontё, Djuna Barnes, Sylvia Plath, Colette, Marina Cvetaeva, Virginia Woolf e Ingeborg Bachmann, colei le cui opere occuperanno presto il mio tempo, è Marina Cvetaeva. L’ho già detto, più volte, tutte queste “otto” (insisto) scrittrici sono matte da legare, ognuna di loro come è naturale che sia, ha le sue peculiarità e, a nessuna dovremmo rinunciare (non a caso tra le prime cose Lydie Salvayre ci informa di aver letto tutto di loro) e tutto ci farebbe un gran bene, ma in me lascia un segno più profondo Marina Cvetaeva.
“Si chiamava Marina Cvetaeva e la poesia, diceva chi l’ha conosciuta, scaturiva e sgorgava da lei come l’acqua fresca dalle fontane. Una poesia di nascita e di prima della nascita. Che emanava dall’intima sensazione di essere un’esiliata, una sensazione che le faceva dire; sono ebrea, tutti i poeti sono ebrei. Con in più una brama di verità che non poteva né voleva stemperare la violenza. << E vi confesserò una delle mie orrende passioni, scrisse una volta a Pasternak: tentare la gente (metterla alla prova) con una sincerità eccessiva, senza precedenti… La tentazione della verità. Chi riuscirà a sopportarla?>>. Solo pochissimi riuscirono a sopportarla e forse quella fu la sua sventura. Come si fa a sopportare una voce così libera e spietata da smascherare senza colpo ferire la commedia di chi non abita realmente le proprie parole?”
“La commedia di chi non abita le proprie parole”, è un altro potente e luminoso fuoco d’artificio. Non credete?
Concludo il mio palese elogio di questo testo, esprimendo la più grande ammirazione per la scrittura nitida, senza vie di fuga, di questa brava ottava pazza, citando un passaggio, non certo l’unico, che caratterizza senza ombra di dubbio la sua pazzia, la sua libertà.
“Avrei potuto chiudere gli occhi di fronte a questo aspetto di… La stima incondizionata che nutro per lei avrebbe potuto indurmi a negarlo, indispettita. E avrei potuto sostenere, con una malafede di cui sono assolutamente capace, che con quelle parole… non voleva affatto dire quello che stava dicendo. Sarei stata una sconsiderata. Perché avrei rinnegato proprio quello che … mi insegna o mi fa rimparare, ossia che gli esseri umani hanno un cuore complicato, pieno di traffici illeciti, che i moti della loro anima sfuggono alla ragione, che le loro discordanze interiori sono spesso misteriose, che strazianti sono i paradossi che li opprimono, e labirintiche le associazioni della loro mente.”
Leggete! Nutritevi a questa fonte preziosa!
Claudio Della Pietà.