L’indole del tarlo – Luca Crastolla

Titolo: L'indole del tarlo
Data di pubbl.: 2025
Pagine: 109
Prezzo: € 12,50

Luca Crastolla è un poeta meridiano. Tutta la sua poesia nasce dal Sud e scaturisce da quella sensibilità artistica e letteraria radicata nell’area del Mediterraneo.

Nei versi di Crastolla il pensiero meridiano con i suoi squilli di rivolta e indignazione (tanto caro a Albert Camus) è ovunque e trabocca a dismisura.

L’indole del tarlo, il nuovo libro del poeta pugliese, si può leggere come un inventario del Sud ed è una summa di tutta la vitalità deflagrante del pensiero meridiano.

Emanuela Sica nella postfazione scrive la poesia di Luca Crastolla scaturisce da uno zenit di sacralità e sofferenza: questo Sud ferito (in tutte le sue latitudini), stanco, capovolto paesaggio in cui la storia non si depone mai del tutto, ma resta a fermentare sotto le zolle, come una lingua sconvolta che continua a mordere assenze, partenze e silenzi.

Luca scava e attraversa il suo Sud con una poesia – schianto che non conforta e non consola (proprio come quella del suo amato Bodini che è il punto di riferimento del libro): c’è il sangue dello spaesamento, la carne lacerata che appartiene allo scirocco, il miraggio e le macerie che appartengono alla calce bianca e viva.

In ogni poesia Crastolla è testimone di un affondo. Lui prima di essere un poeta è un uomo del sud che ha a cuore l’umanità degli ultimi e come Alfonso Gatto racconta la loro storia di vittime leggendo l’inquietudine tra le crepe del sud, che è terra di frontiera e disperazione, mondo che contiene un «idioma lavico e delirante / limbica pronuncia di minimi comuni divisori».

Il poeta scrive per attraversare il Sud e ne L’indole del tarlo è il paesaggio la metafora che meglio esprime tutto il pensiero meridiano che Crastolla si porta dentro.

Troviamo Bodini, il poeta sortito alla luce amara e folle della sua vita che torna all’origine davanti alla caverna platonica (Oreste Macrì) che nella Luna dei Borboni ci racconta il Sud dalle case di calce da cui si usciva al sole come numeri dalla faccia d’un dado.

Nella poesia di Luca Crastolla c’è tutta la linea meridiana della poesia italiana del Novecento.

Tra le righe insieme alle suggestioni della controra e alle cicale che muovono l’aria sulle sassicaie infuocate, alle masserie erose di tutto, persino dei loro nomi, i nostri battesimi di fatica, troviamo le voci di Antonio Verri, Raffaele Carrieri, Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro, Carmelo Bene e il clamore eretico di un pensiero e di una poesia meridiana che ancora oggi è una «sinfonia radicale dei calcari».

L’indole del tarlo per Luca Crastolla, che oggi rilegge la sua poesia su carta, è una stranezza: «Se da un lato pesa un sud sacrificato e desertificato, dall’altro i versi compiono pagine assai popolate. Non solo dai fantasmi personali, dalle figure care o dalle mie letture, ma anche e soprattutto dagli incontri fortuiti o voluti con cantastorie, musicanti, altri poeti della voce e altri restanti».

Il poeta arrischia con una grande umanità parole per il suo Sud, terra desolata e vociante: «Diciamo sud / ogni volta che bussando non otteniamo voce».

Ed è proprio quando la voce del Sud non si sente che la poesia meridiana (spavento della pelle) esplode, dice e non si arrende.

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