
Al tempo del re Franceso Primo (1494-1547), furono istituiti in Francia dei tribunali straordinari speciali – lasciamo immaginare la giustizia di quelli come degli ordinari senza specialità – concistori intesi a contrastare i crimini concernant l’État et in primis l’eresia ugonotta, cioè luterana, va sans dire, ad maiorem Dei gloriam. Questi tribunali furono noti per il loro allestimento scenico in nero assoluto, rgb 000, le finestre gobbate ossia tappate a full, e per fonte luminotecnica soltanto quella di torce accese giorno e notte ; ragione per cui quelle assise furono definite camere ardenti. È bene precisare che il funerale di Dora sarebbe stato alle tre dopopranzo e che la camera ardente… all’acquisirla per la prima volta da piccino, in occasione della morte della vecchissima nonna della sua vicina di pianerottolo, e suo primissimo flirt, questa definizione aveva suscitato in AC l’idea che a causa di qualche terribile sragione sarebbe stato appiccato il fuoco all’appartamento della vicina con lei il suo petit flirt, la nonna e tutti dentro – la fantasia era stata alimentata dai racconti sulle spose indiane immolate come si sa sulle pire dei consorti defunti – ; nel caso di questa precisa camera ardente invece e con la memoria di quelle francesi, in AC si accese una funebre scintilla d’ilarità e di sarcasmo macabro, al pensare che Dora finalmente, benché in articulo mortis – nello specifico il latino è qui di nuovo più che adeguato – per il suo essersi esposta vita natural durante senza riguardi né veli né peli ; per il suo troppo che stroppiava, per i suoi sciammannati piedi nudi – non si era mai liberato dall’immagine dei talloni di lei che al sollevare il piede nel camminare mostravano la loro pelle grezza e spessa e spesso sporca – adesso era lì, di nuovo esposta ma nell’appropriata sede di giudizio : la camera ardente appunto. Gli mancava però, ad AC, il dono di sintetizzare gli accadimenti in un Witz o motto di spirito che, nonostante giudichi, ribalta la sentenza a sfavore di chi la emette ; in AC invece il giudizio non riusciva a rinunciare a una bella fetta di moralismo, o se vogliamo di un banale zinzìn di cattiveria, sicché si trovò ad aggiungere al novero delle malefatte immaginarie di Dora la tardiva virata di lei alle grazie della grazia, la sua sottomissione alla chiesa di Roma. Pilatus l’amico, nel chiedergli di esserci quel giorno, aveva prevenuto AC e avvisato dell’incomodo che, se voluto, sarebbe consistito nel reggere l’interminabile rito : ché la mamma da molti anni si era trasformata da comunista ugonotta in beghina di bruges e devota del parroco locale anzi lo vedrai sgambettare festoso col suo aspersorio ma sai com’è la vecchiaia è una trappola di cui la morte è l’esca… si fa intravedere ai giardinetti e subito il topolino che noi siamo crede di poterla dribblare su per la cappa di un prevosto… ma tu in chiesa, sta fuori, poi attendi sul sagrato la fine dei giochi e condoglianze condoglianze… aaaamen che non si dica, aveva concluso con un vago sorriso e un mezzo giochino di parole Pilatus. L’atteggiamento di AC con Dora, ancora dopo anni e nonostante la riconoscenza ammessa, aveva un solo movente, l’antipatia, contro la quale non c’è rimedio. È la scintilla di una candela negativa che, ci è capitato di osservare, alla pari con la gelosia si accende spesso anzi soprattutto senza motivo, o per un motivo che la sensibilità rileva ma la coscienza ignora per un po’o per sempre, e che brucia come uno spezzone al fosforo, anche se immerso in tutta l’acqua della rimozione, dell’olvido, dall’acqua riemerge e seguita a bruciare.
Il funerale sarebbe stato celebrato con rito cattolico nel neobarocco tardivo della chiesa di Santa Maria Segreta (1924) in piazza Tommaseo, brutta piazza nello stile senza stile che caratterizza tutta la città al punto che questa assenza di stile è il suo stile e per molti versi il motivo per cui in tanti ci si buttano con foga, senza Ponti alle Grazie né Lungarni, stante che le molteplici chiare e fresche e dolci acque cui pure la città si abbeverava furono tutte con metodo devastate e coperte dai milanesi. La piazza tuttavia non è nota per la chiesona ricca di volute e santi in atto di benedire ma soprattuto per la brutta mole che la imbruttisce dell’istituto delle suore Marcelline, insieme che ha sì echi di correzionale per malamènte e reclusorio per sciabordìti, ma è storico incubatoio per pie libbre di pie lombate, fatto su apposta in stile eclettico dall’architetto Cecilio – santo cielo ce-ci-lio – Arpesani (1853-1924). Punto. Per tornare al fuoco, la camera ardente era nella grande casa di un qualche liberty dove Dora era deceduta, in via***non lontano, per chi non conoscesse Milano e il suo liberty accatastato, tra le vie Tasso, Gioberti e Revere delle case Donzelli. Con ciò sono da ritenere esauriti gli obblighi di verosimiglianza con luoghi e miti geografici ché, per quanti non conoscono Milano, quella è una delle zone della città dove a suo tempo si installò la meglio borghesia cittadina, la de quo abbiamo detto per eccesso. AC era sbarcato alla stazione di Centrale da un bel convoglio moderno prodotto dalla ditta Alstom, poco dopo mezzogiorno con il ritardo antico di venti minuti, ritardo, questo, normale per le Ferrovie Nord titolari, come ognun sa, del traffico tra Milano, Tirano e Chiavenna, e fabbricate con il preciso scopo di non arrivare, di non funzionare proprio, affermano infatti non pochi viaggiatori se interrogati in proposito : o che un masso infatti si scaraventa dai gioghi prealpini sui binari, o che un passaggio a livello viene divelto da un autista ubriaco o che qualcuno vi parcheggia il furgone cinque minuti bevo un caffè e vado via , o che, e non così di rado, un rettifilo sia scelto da certi disperati che attendono il treno ma per buttarvisi sotto e allora doppo sarà tutto un andirivieni di polizie e carabinieri e ambulanze e giudici per le indagini preliminari che hanno da accertare, interrogare, stendere verbali, scattare fotografie e, come sempre succede con la burocrazia, attendere. La burocrazia è nata per attendere e far attendere e le ferrovie nord assai di più ; stante che da Lecco in su verso la Valtellina i convogli viaggiano per un unico binario posato nel 1894, e attendono e si fanno attendere in determinate stazioni, ovvero incroci, dai treni che viaggiano in senso opposto, e se a questi incroci un treno non arriva on time per uno dei motivi appena descritti, e persino per l’insipienza, nell’opinione di anziani ferrovieri, di chi compone orari e convogli a tavolino, ossia oggi al piccì, ignorando la realtà ferroviaria del viaggio, succede che l’altro treno si fermi e aspetti che il Fato scenda dai monti a benedirlo e lo lasci proseguire. Di ciò ovviamente AC non era al corrente e venti minuti di ritardo erano venti minuti di ritardo, un tempo non goduto, messo sotto azoto, dal momento che era abituato ai pochi secondi che poteva perdere un treno svizzero al rallentare prima di una stazione, per poi recuperarli sul primo rettifilo a portata.
Tutto questo sembrerà senza dubbio un girare in tondo in un inseguirsi di dati e circostanze senza un senso che con misteriosa espressione cinofila qualcuno che legga potrebbe definire un menare il can per l’aia così da manifestare il proprio disappunto fronte all’assenza qui di di un’azione vera e propria che sia causa o effetto di una situazione ossia, per usare un termine risalente immaginarsi su per giù ad Aristotele, di quella peripezia che, si legge nel Tommaseo, è s. f. gr. Περιπέτεια, inopinato accidente, per cui dallo stato felice all’infelice, o da questo al contrario passando, cangian faccia le cose segnatam. nel senso drammatico. Rincalza il De Mauro, che nella tragedia greca, si intendeva p. il trasformarsi di una situazione nel suo contrario, spec.in maniera imprevista o per estens., lo svolgersi di una vicenda, spec. in quanto superamento di una situazione intricata, come elemento costitutivo di una trama letteraria. Eccoci dunque giunti allo snodo : soprattutto d’ora in avanti e fino allo sciogliersi previsto di qualsiasi accenno di intrico, pensiamo che qui non faccia, né abbia per niente fatto capolino la letteratura, intesa come incrocio di trame e orditi ; anzi pare proprio che qui la letteratura sia al capolinea di un tram che si arresti nel nulla, tra campi brulli di qua, anzi senza nemmeno una piccola indicazione che aiuti a definirli campi, e condomini più che brutti sgretolati dai tempi oppure, e a volersi riferire proprio alla letteratura, che dalla fermata Bastiani porti dritto al deserto dei tartari ma in versione sovietica, per chi sa ancora che cosa vuole significare sovietico nell’ambito del deteriore. Però con questo preavviso o sintesi, secondo di come lo si voglia intendere, noi proseguiamo imperterriti.
AC spinse il ferro della grata che proteggeva la grande vetrata di cristallo smerigliato dell’ingresso e fu dentro la casa di Dora ; una casa propriamente detta che tra giardino e piano terreno, primo piano e basement superava eccome i cinquecento metri quadri, ma nel suo ricordo di ospite adolescente per AC era tuttora un oltre all’infinito di metri con quattro bagni, cinque considerando uno stanzino di servizio, un’immensa cucina con dispensa e lavanderia e stenditoio tutti al piano sotto ; era stato la dipendenza in un comprensorio a giardino che occupa ancora un intero isolato : dentro, un’edificio principale molto voluminoso tra il neoclassico e il coloniale, bianco di marmo, breve scalinata di accesso con corrimani di ottone, nato per una sola famiglia ma oggi trasformato in condominio di lusso ; la dipendenza era stata concepita invece solo per alloggiare ospiti e non in poco numero ; verso l’inizio del ventesimo secolo l’intera proprietà era stata divisa per motivi di realizzo, e venduta in due lotti comprensivi ciascuno di una porzione del giardino ; fu il nonno. o forse il bisnonno di Pilatus a comprare la dipendenza e vi si era installato dopo mesi di lavori per ribaltarne l’assetto interno, chissà se po’ troppo semplice, per suo gusto di ricco borghese – produzione di tele cerate per usi industriali. Prima di sposare il babbo di Pilatus, Dora infine aveva fatto fare altre opere, ricavato, scavato, cavato altre diverse soluzioni. Intatte per necessità catastale, solo le mura del perimetro, con le loro lastre di pietra che a chi passava per la strada potevano ricordare ben poco palazzo Pitti e molto certe fattorie fortificate di cui oggi solo si vedono resti rimaneggiati ma che un tempo, si sa, erano il canone di strutture agricole difensive dalla Valchiavenna a scendere con i confini di quella che fu la repubblica di Venezia, dalle Orobie a giù sull’Adda. Già a qualche decina di metri dal traguardo AC intravide dei conoscenti che, arrivato a loro portata, salutò ma con una modulazione della lingua di cortesia tale che coloro intendessero bene il suo scarso, anzi nullo desiderio di riannodare la trama di conversazioni interrotte magari anni o mesi prima, e meno che meno di attaccare i discorsi da funerale, dove si sa che per chiunque, anche dei disgraziati che crepano a cento anni si intona il, chi lo avrebbe mai detto eppure stava così bene. Questo salutare senza zelo venne interpretato come compunzione, rispetto ossequioso del luogo e della morta, accolto come tale e rispettato ma col morso alla bocca. Lui era una celebrità ma si rallegrò del fatto che nessuno dei presenti, che in misura maggiore o minore conosceva o ricordava di avere sfiorato in qualche occasione, nel riservargli il loro migliore sorriso intendesse così mettersi a parlare di musica, magari di un concerto diretto da un suo collega, più giovane, anzi giovane senz’altro di cui il qualcuno fosse lì per offrirne in olocausto la demolizione, con l’intento sotterraneo di vellicare la sua vanità ; in ogni simile occasione lui rispondeva che no, non aveva sentito dirigere né il tale né l’altro, chiunque potessero essere : versare vetriolo sul lavoro altrui mai era stato né era di suo gusto. Gli dispiaceva, ma non per bontà o per un qualche tipo di non ragioniam di lor ma, ma perché riteneva l’ignorare preferibile a qualsiasi commento caustico se tale avrebbe dovuto o potuto essere. AC trovavainutile, uggiosa, fuori di luogo qualsiasi conversazione su un tema specifico come la musica con i non musicisti o, come si usa dire per estensione, con non addetti ai lavori. Non disconosceva la funzione dei salotti, delle conversazioni su Sanremo, ma riteneva che un artista dovesse invece ignorare le arene televisive, rispondere alle domande dei giornalisti, i pubblici domini, in sintesi conosceva bene il termine che definiva il suo modo di essere : aristocratico, attenzione non nobile ma a-ris-to-cratico, eurocentrico, au-dessus de la mêlée, così aveva imparato a scandire da piccolo e proprio da Dora che il francese lo gorgheggiava piuttosto bene ; detestava, ecco questa è la parola corretta, detestava i dilettanti, saccenti per solito, quelli che io-anch’io-lo-sa, quelli che lo faceva Raffaello ma il mio è più bello, nella convinzione verificata che la musica e le arti in ogni loro manifestazione, non sono diletto ma mestiere, lavoro meccanico e spesso da meccanico e che come tale va preso, con senso di responsabilità e coscienza di artigiano, benché questa parola non restituisca appieno un’immagine del vero ; ai non pochi allievi di direzione d’orchestra, durante i frequenti corsi estivi che teneva, cantava subito in chiaro che, non ti devi dilettare tu, devi dilettare chi ascolta, quello è il dilettato sicché, con questa cautela ti puoi chiamare tu dilettante, perché ti diletti del dilettarsi altrui. Ma per carità, stare alla larga da chi suona la chitarra senza esercitare la professione, l’arte dello strumento. Sedicenne, aveva provato un fastidio molto simile ma diverso da quello che già allora provava per Dora, per un ragazzo della sezione D, figlio di padre magistrato, tale Colombo, appartamento fastoso in largo Augusto, a settecento metri dal Duomo tramite via Cavallotti, e madre come spesso succede non solo ricchissima ma egualmente fastosa ; un tipo, il ragazzo, che ai tempi cazzeggiava come tutti, beveva molto gin, prendeva ottimi voti e durante la ricreazione girava per le altre sezioni a suonare e cantare con piglio sartoriale De André ; al momento opportuno si era iscritto a giurisprudenza, divenne giudice istruttore. È vivo, ha un blog dove immette video di sé stesso, suonando come dice lui, alla buona, cioè come appare, alterato dall’alcool ; sempre De André.
AC notò con piacere che, nel gran folto di condolenti ignoti e generici, al vederlo da vicino, senza frack, senza l’aureola di luce sul podio, nessuno che non fosse molto fisionomista lo riconosceva : la sua immagine sulla copertina dei dischi e in spotify risaliva a una decina di anni indietro. Lo riconobbe invece il professor Principe, o fu il contrario e il passato remoto è il tempo del modo che meglio descrive il fatto ; molto più vecchio di lui ma simile a sé stesso come pochi sanno restare, le orecchie vampire, lo sguardo imperituro, tranciante di un crematorio il professor Principe e Ac si salutarono con il calore che il professore soprattutto gli riservava da sempre, dai tempi in cui insegnava al liceo, prima di approdare alle vette della sua sapienza di esegeta della musica e dell’arte e del mondo in generale ; monumentale suo malgrado, egli conosceva tutti e di molti era ancora il vezzo, o divenuto il gioiello di una corona di virtù immaginarie ; non parlarono di Dora, non parlarono di niente. Il professore sembrò ad AC non meno assorto di quanto sembrava lui stesso a sé. Vagolante nel disagio di quell’occasione molto simile a un salotto, all’improvviso AC lo perse di vista ma così bene da credere di aver sognato a occhi aperti ; di avere visto un già visto : come quando un attore che fu una star ed è morto, ci riappare per pochi fotogrammi in modo molto distinto alla memoria ma non sappiamo dirne il nome, né il titolo del film, eppure ne ricordiamo la battuta che di quell’immagine è il senso. L’apparizione del Principe, se in questo modo vogliamo parlarne, gli resuscitò una sua frase antichissima, del professore, ma detta en passant, senza intenzioni peculiari, sulla quinta di Mahler, una chiosa proprio circa l’adagietto : nell’esordio osservi come richiama l’inizio orchestrale dell’Ich bin der Welt abhanden gekommen… io sono ormai perduto per il mondo, il terzo sa dei Rückert Lieder.
AC si scosse dal mezzo torpore del primissimo pomeriggio, nel traffico di persone avrebbe volentieri trovato un angolo appartato per pisolare e gira gira lo trovò, nello studiolo di Dora si accomodò in una poltrona, cavò dalla tasca del soprabito il volume della Rosìni e lesse
Clouées toutes à ses croix, à ses pierres, à ses choix
Langues d’une demi-teinte pornographique ;
Silence résilient, tranchant, du crématorium,
Absence sacrée de la parole… personne.
Poi si addormentò.
Fine della quarta parte


