Data di pubbl.: 2025
Traduttore: Dario Diofebi
Pagine: 336
Prezzo: € 19,00
“Perciò toccò a me, la freelance Sara Byrne, essere spedita dal vicecaporedattore esteri del Tribune Neil Devereaux dal mio monolocale ingiallito dallo sporco in un seminterrato di Gerusalemme Ovest fino alla stanza 22 del The Beach Hotel…” (p. 16)
Sara ha trentatré anni, vive a Londra, e come giornalista, finora, non ha fatto questa gran carriera finché non viene spedita a Gaza City al posto del corrispondente ufficiale del Tribune, Anthony Harper che non ha alcuna voglia di esporsi per quella ennesima guerra sporca fra israeliani e miliziani di Hamas. Il The Beach Hotel è il quartiere generale della stampa estera, uno dei pochi luoghi della città quasi al sicuro dai colpi di Israele.
No, non siamo nel 2025 e non stiamo parlando dell’attuale guerra, sebbene ogni descrizione letta ci riporti lì. Siamo nel 2012, ma lo scenario è identico: gli attacchi di Hamas, le lotte intestine e le esecuzioni sommarie a Gaza City fra i miliziani delle varie fazioni, i razzi sparati contro Israele, i violenti bombardamenti via cielo e mare dell’esercito sionista, Bibi Netanyahu al governo, gli ospedali cittadini al collasso, i palazzi distrutti, la sporcizia, le macerie, i morti. E nel mezzo di tutto questo l’agitarsi frenetico dei corrispondenti esteri accompagnati in giro dai loro fixers, giornalisti palestinesi ai quali però è proibito esprimersi direttamente in quanto parti in causa nel conflitto. Sara Byrne segue il suo fixer, Nasser, ma lo ‘tradisce’ con il giovane e pericoloso Fadi quando lui si rifiuta di metterla in contatto con un grosso esponente di Hamas che la faccia entrare nei tunnel del terrore. Ecco, questo sarebbe lo scoop che da tempo insegue, quello che consoliderebbe la sua carriera per sempre.
Ma al di là dell’orrore che è chiamata a raccontare e che vede ogni giorno, Sara si porta dietro un passato schiacciante: un padre, morto da poco di cancro, famoso giornalista e scrittore di sinistra, collerico, gran bevitore e incapace di amorevoli e dirette manifestazioni di affetto verso la figlia adorante; una madre un po’ svanita dopo la morte del marito e con la quale Sara ha un rapporto ambiguo; un amante, Michael Frazer, agente letterario di suo padre e molto più vecchio di lei, che per anni l’ha usata senza amarla per poi mollare sia lei che la moglie – da poco guarita da un tumore – e i figli, per una giovane impiegata dell’agenzia con la quale ha anche avuto un figlio.
Sara si agita senza costrutto, anzi facendo danni, nella sua voglia di emergere, quasi volesse dimostrare al fantasma di suo padre che lei non è da meno di quella figura imponente e opprimente con la quale ha dovuto confrontarsi fin da bambina. Si ammala gravemente e vede quel padre trasformato in un uccello – un corvo? un piccione? una chimera informe? – che la segue ovunque, unico a volare spietato e giudicante insieme ai droni, ai razzi e alle bombe israeliane.
Chi sono, allora, gli Avvoltoi? E in quanti modi si manifestano? Padri/padroni, colleghi che ti sfruttano, bambini che sembrano anziani – magnifica la figura del piccolo Jihad – amanti che ti ghermiscono e poi ti buttano via. ‘Persone che si guadagnano da vivere con morti e disastri’, come afferma Michael Frazer a un certo punto. Davvero ‘la funzione di un corrispondente è dar voce a chi non ce l’ha’? E serve forse a qualcosa?
“Ascoltami bene ora, perché voglio che tu lo dica a tutti gli altri giornalisti lì all’hotel. Sono anni che vi osservo, tutti quanti. Venite qui, ci guardate morire, ci guardate piangere, vi prendete le nostre storie e poi ve ne tornate a casa. Poi aspettate un’altra guerra, tornate qui, guardate, vi prendete le nostre storie e ve ne tornate a casa di nuovo. Ma ci aiutate? No. …”. (p. 303)
Questa la terribile e definitiva chiosa di Nour, madre del piccolo Jihad, per un libro tagliente, crudele, oscuro e dolente che non fa sconti a nessuno
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