
À Ninon (1616-1706)
Vit la poète, que l’eau et le rivage
Désignaient, apparemment par eux-mêmes,
Une sorte d’illisible poème
L’élan infime des particules,
Lys d’écume et des minimes pensées ;
Elle s’arrêta tout près d’un tronc craqué
Et fut ahuri du chœur de ces cellules…
Longtemps, elle languit sur cette épave
Ébranchée, elle évoquait alors comment
Fluctuante, le fit la marée quasiment…
Et, morfondue ainsi, voilà donc, la brave
Se figura-t-elle en leurre, n’entendant bien
D’être de même un reste, un bout de rien.
Tra mille titoli tedeschi o romanci esposti nella libreria Wega Bücher via Mulin 4 e che non gli toccavano nessuna corda, per non poter scegliere quindi altro che un solo libro in francese, si era deciso a comprarlo, senza pensarci troppo anzi punto, seccato dalla noia di una ricerca asfittica, ma catturato piuttosto dalla bizzarrìa implicita nel titolo, Enterrements explicites – esplicite sepolture – nonché dall’inverosimile nome dell’autrice, Carmilla come la nel romanzo del gotico inglese Le Fanu (Carmilla,1872), primo nome associato però a un verosimile cognome italiano, Rosini, vuoi vedere se per Rossini e allora forse una discendente, chissà a che titolo, del Gioachino dei tournedos e che in Francia si sa ; Carmìlla Rosìni (1989-), stampato con la vocale della seconda sillaba accentata. Aperto a caso il volumetto di nemmeno cento alla pagina di quel sonetto, À Ninon, lo aveva letto con benevolenza, e sì che fosse scritto non malaccio era se non vero verisimile. La propria capacità di un giudizio fulminante gli era nota e aveva subito richiuso e posato il volume con un per carità tra sé, in mezzo ai piattini e i tovagliolini apparecchiati sul tavolino del caffè Hanselmann, là dove gli piaceva sedersi a fare la sua piccola opera al nero, sgranocchiando dolci al cioccolato ; bella davvero invece ed elegante l’illustrazione della copertina, il motivo per certi versi manifesto dell’acquisto dal momento che, a dispetto del suo essere una persona tuttorecchi, era per altro verso un visivo dall’occhio affilato ; l’illustrazione quella per certo era di un’italiana, una che i suoi nipotini ohi ohi i glapissements de joie, una Guicciardini… erede vi domandate sì erede, lontana alquanto, dell’àvolo Francesco. L’immagine : secondo lui, un’Euridice rovesciata nello specchio di una piscina con l’acqua rappresentata, verbo che indica assai malamente il lavorio delle immagini nella mente, rappresentata da tre fasce orizzontali di differenti pallidi verdi ; due mani giunte calavano dall’alto della cornice al tratto, nera e sottile che racchiudeva il teatro, altra definizione inerte, di quella parabola visiva ; impossibile dire se imploranti o indifferenti quelle mani, forse bizantine renderebbe l’idea ; lo sfondo, sull’asse orizzontale di quella immagine di assoluto rigore non prospettico, suggeriva il dettaglio architettonico di un edificio art nouveau e nell’acqua l’Euridice perdeva una scala per moto contrario di oggettini : un pettinino, una foglia, una brìccica ; trovava quel lavoro risplendente di poesia, il sonetto Ninon invece, oh no signori che gnocco, rifritto nella cucina da campo di un’Arcadia senza fissa dimora tra Montmartre, Passy e Versailles, pensò lui (è ora di far sapere chi pensa qui che cosa) lui, il grande maestro concertatore e direttore di orchestre AC ; versi buoni per una mélodie da fare ululare a qualcheduna di quelle cantantesse strozzate, negate a Verdi e Puccini e perciò stesso inventate specialiste di contemporanea. Ebbè, ne conosceva il maestro AC ; e a chi sarebbero piaciuti, versi di quel genere, era una domanda che gli aveva fatto una breve passeggiava tra una e l’altra sua sinapsi sporgendosi a guardare di sotto dall’alto del ponte di Varolio ; ma per quanto si fosse sporta a scrutare i propri abissi cerebrali la domanda non trovò la luce di una risposta ; lo stesso però, confermò in lui la convinzione che in francese fosse possibile agitare in profondità le acque del niente, cavandone paradossali quanto inspiegabili effetti emotivi. Rimise a questo punto il libro nel sacchetto con impresso il prezioso motto della libreria, verrückt nach Büchern (punto di domanda) – vai matto per i libri, wir haben deinen Lesestoff (esclamativo)-ne abbiamo da farti leggere. Per uno di quei curiosi inciampi, scarti o déclic del pensiero chiamati altrimenti lapsus, lui lesse però, Lebenstoff : tessuto vitale.
Fuori, sul lato della strada opposto a quello dove si trovava, nel dehors dell’Hanselmann, si avvide che lo osservava un tipo, un giovanotto mondano, celato dietro la propria mirata meccanica dentro una Porsche Cayenne intonata a quello sguardo e ferma in lampante divieto di sosta ; dell’est il tipo, a giudicare dagli zigomi alti e puntuti, dai capelli di un biondo quasi bianco ; e pieno d’oro, le dita inanellate aggrappate al volante e un viluppo di bracciali vistoso ad oltranza e che colava, si potrebbe dire, dal polso sinistro ; al polso destro, soltanto un orologio al quale, però, chiedere che misurasse il tempo e solo il tempo, chi lo sa se sarebbe stato opportuno e non, al contrario, pericoloso tanto era solido, e nero come un guardaspalle in Armani. Il ragazzo pareva guardasse proprio in direzione di AC come a giudicare, soppesare, calcolare, magari non solo lui ma l’universo mondo e con l’occhio addestrato, pareva, al compito quotidiano di selezionare gli abili al tipo di realtà che si era andata tessendo fino a questi ultimi anni ; le povere appendici di un’altra epoca o inattuali come AC, gli Unzeitgemäße alè oh oh, tutti in fila per una punturina di fenolo ; questa era la sua sensazione, sensazione che per la verità tutto il paese di Sankt Moritz con i suoi commessi in tailleur, gli proiettava addosso e non solo adesso che aveva raggiunto l’età che lui definiva certa, non una certa età ; mica ci veniva spesso né volentieri ma, negli anni, aveva sviluppato una dipendenza dai dolci di Hanselmann e dal museo Segantini, maestro la cui pittura, beh la cui pittura… si immagini come completare la frase. Quel ragazzo lì, quel principe consorte di sé stesso, per dargli un titolo appropriato, nel suo trono di latta e benzina, a lui, al grande AC dava fastidio ; nonostante la vetta sociale conquistata, la sua anima d’ombra per natura, mai si era adattata del tutto al fatto che fossero liberi di circolare tali e tanti richissimes rappresentanti di una tribuna di plus quam richissimes, di patrizi usi a un glamour oh quante volte oh quante più posticcio del diversamente posticcio, culto coltivato, inebriato dalla lirica, circonfuso di sublime dell’arte ; AC si era arreso all’evidenza che tutta la magnificenza della creazione d’arte non fosse dissimile da un extension di parruchiere ; né poteva dimenticare che da piccolo, prima di essere silurato dalla musica aveva detto a sé stesso che da grande avrebbe fatto il chirurgo, di preciso il neurochirurgo. Per aggiustare umani.
Seduto ora in quel caffè, era seduto come cantava una canzone di un gruppo che nei tardi ’60 ebbe successo e ci guadagnò, l’Equipe 84 che a lui, mentre stava completando i suoi rigidi studi di composizione col dubbio di doversi adattare dopo a un vita di stenti, nonostante piaceva, piacque molto : seduto in quel caffè io non pensavo a te guardavo il mondo che girava intorno a me poi d’improvviso lei sorrise e ancora prima di capire mi trovai sottobraccio a lei stretto come se non ci fosse che lei . Aveva avuto una giovinezza costretta, AC, alla disciplina dello studio e di una dieta domestica frugale non tocca ancora dal benessere o dopo dalla ricchezza che, sia chiaro, si era conquistato in grazie di quelle doti che aiutano la fortuna a decidere per il suo prediletto del momento, tenacia, determinazione, aggressività, furbizia tutte ben modulate ; il resto del lavoro lo avevano compiuto il suo mostruoso talento e la genialità del suo ingegno. Da Milano via Varesina, alla chesa in Engadina i passi erano stati lunghi e tanti gli abbonamenti tranviari consumati. Quello lì, che lo guardava con quello sguardo assassino in contumacia da dentro il suo carro di ferro nero, lo infastidiva quanto e più di quanto lo avrebbe infastidito per strada solo la vista di una banda di latini, ma in modo molto più sottile e corrosivo gli dava noia sapere che lo valutava e svalutava. Che in quella mente giovane ruggivano le fiamme del forno crematorio. Al brusio della strada si mescolò la memoria della quinta di Mahler, delle sue trombe apocalittiche, degli sforzando degli archi, dell’arpa, del glissando al numero 3 dell’adagetto ; come sempre gli accadeva, non la smetteva di centrifugargli la memoria, non lo lasciava riposare adesso che la stava ristudiando, per l’ennesima volta, in quei gironi d’estate, caldi anche a quelle altitudini. Del resto il ghiacciaio del Bernina di questi tempi è ormai un gelato precipitato sull’asfalto dalle mani malaccorte di un bimbo.
Per fortuna, con quei colpi di remo che la memoria applica impennandosi sui propri scalmi senza preavviso, finalmente tornò il nome Plumbago, il nome della pianta che da due giorni rincorreva. Plumbago, ne aveva ammirato un folto ricchissimo, dilagante in un giardino privato in una delle chese vicino alla sua, con intorno un giardino così curato e colorato che… Segantini. Con l’età si era mostrato a sé stesso molto sensibile alle piante. A dire la verità, dei fiori aveva sempre ammirato tutto, senza badare di ricordarne il nome, se non per i brevi istanti in cui, da un fioraio, ne sceglieva con l’intento di farne dono a qualche amore o alla madre di qualche amore. L’omaggio florale per tanto tempo era stato l’arma segreta dei suoi corteggiamenti. Cioè, lui la riteneva un’arma segreta, convinto che una Strelitzia regina potesse beccare con i suoi becchi il cuore di una bella e ignaro del fatto che spesso… bah con Freud era d’accordo che non si sa che cosa vogliono davvero le donne. Il tipo di donne cui lui faceva riferimento, le tre che aveva sposato, con cui aveva avuto tre figli ; delle accadute senza rapporto con niente, solo con immagini al tramonto su un lago e con i figli che gli avevano dato… Plumbago. Una Bmw della polizia cantonale scivolò con calma di fianco alla Porsche Cayenne del ragazzo biondo, passò e si fermò giusto davanti. Due gendarmi sbucarono dall’abitacolo, uno andò dritto verso il ragazzo, l’altro si fermò davanti alla Porsche. Il ragazzo sporse la testa, si vide che diceva qualcosa con un quid di concitazione. Il gendarme lo guardava, poi disse qualcosa, ritirò la patente che il ragazzo fu costretto a mostrare e la porse al collega che tornò alla BMW, si trattenne pochi istanti, poi ritornò reggendo in mano la patente e un fogliettino di pochi centimetri di lato. Il fogliettino e la patente passarono da quelle alle mani dell’agente fermo accanto al ragazzo che quasi strappò patente e fogliettino al gendarme. Il ragazzo parve ringhiare. I gendarmi però stavano già risalendo nella loro auto che ci mise un nulla a scivolare via. Si vide che il ragazzo pigiava il pulsante start/stop sul tunnel centrale della sua Cayenne che rombò il proprio disappunto, le frecce di destra si accesero. La grande Cayenne nera come una peste partì, via da dove si era fermata in divieto di sosta.
AC pagò lo sproposito che doveva per il suo caffè e i suoi dolci da hanselmann; cioccolati H, un’esperienza deflagrante, sua la dizione ; nonostante fosse ricco, il prezzo da pagare lo colpiva ogni volta, una freccetta di quelle che si conficcano in un bersaglio di legno con un tonfo attutito ; non che ci fosse in lui l’ombra del rimpianto o della commiserazione, del come eravamo ; è che non poteva evitare la ricordanza dei suoi di anni di galera, quando, col suo primo amore, Anita, allieva di violino che finirà suonata, ad alleviare il peso di fugaci depressioni o malinconie o a coronare la gioia degli esami superati, dei compleanni talvolta, si permettevano di andare in una trattoria toscana infilata in un chiasso che dalla via festa del perdono giravoltava fino al corso di porta romana, accanto al chiesone metrocubico di San Nazaro ; lì, lui sceglieva con metodo il minestrone con la pasta o con il riso, ma vi aggiungeva tutto il pane che una piccola cameriera rotonda dalla bella parlata marchigiana portava loro in tavola ; poi senza vergogna, quasi tutta la ciotola di formaggio grattato ; talvolta, lo stesso accadeva con i maccheroni al sugo, mangiava pane e maccheroni anche se un po’ scotti, ma unti, rossi e intesi succulenti. Con la violinista Anita, fu il primo matrimonio della sua storia, a Venezia, in occasione di uno dei suoi primi concerti. Lei però aveva il tic ingenuo di occhieggiare qualsiasi uomo la incuriosisse, vi si abbandonava non curante non tanto del giudizio quanto delle sensibilità altrui, di AC nel caso specifico, prima da morosa, da giovane sposa poi ; e benché a lui fosse alieno il pensiero che una donna, che un uomo, che chiunque, potesse essere una sua proprietà – più tardi dei tre figli fece sempre una terribile fatica a dire i miei figli – la bella Anitafu dapprima motivo di uno scontro duro con un amico d’infanzia, DM, regista d’opera : come si suol dire, questo personaggio la sedusse ovvero si sedussero a vicenda ma nel camerino di AC mentre lui sul podio dirigeva il secondo atto di Otello, un Otello di provincia al comunale di Treviso – i due ebbero tutto il tempo che ci volle per darsi al buon tempo –. Il malanimo del momento, più che altro per via del luogo e dell’occasione, il conflitto inevitabile con Anita, lo scazzo per usare un termine più recente, si sciolse tra lacrime e perdoni e rimandi, batti batti oh bel Masetto la tua povera Zerlina, ma poi, come s’è detto, lei deragliò nel girone dei dannati, alternando psichiatri e terapie, tra ricoveri e dimissioni : una disperazione ; lui, sì l’amava ma doveva anche amare sé stesso o si sarebbe perduto al proprio successo di critica e di pubblico, per asfissiare in un matrimonio tossico. Quest’amore è un camera a gas, cantava la Nannini in quegli anni. Divorziò e della violinista finirono per occuparsi i genitori di lei.
Fine della prima parte