
Data di pubbl.: 2025
Traduttore: Federica Niola
Pagine: 86
Prezzo: € 14,00
Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura 2010, è un grande romanziere e lo resterà sempre anche adesso che se n’è andato.
Lo scrittore peruviano con le sue straordinarie intuizioni narrative lascia nei suoi libri un’eredità con cui la letteratura deve fare i conti.
La sua narrativa tiene insieme la critica sociale, l’introspezione e una capacità non comune di dare voce attraverso i suoi personaggi a un grande affresco umano e storico.
Per Vargas Llosa la letteratura è un dono e un modo di scavare nella realtà, il tentativo di cogliere e rappresentare i traumi della Storia.
Per il grande scrittore il romanzo è lo strumento per mostrare i mali della società.
A pochi mesi dalla sua scomparsa esce da Einaudi I venti, un romanzo breve con cui il grande scrittore si congeda definitivamente dai suoi lettori con l’intenzione di lasciare a modo suo una sorta di testamento spirituale e politico.
I venti con le sue ottantasei pagine è un romanzo politico in cui l’antimoderno Llosa demolisce il nostro tempo in cui spadroneggia una falsa idea di progresso e la cultura è stata definitivamente spazzata via dal cambiamento involutivo e massificato di un’omologazione che rincretinisce le menti.
Il protagonista del romanzo è un inguaribile conservatore che somiglia molto allo scrittore, un quasi centenario che ha fatto il giornalista per tutta la vita. L’uomo vive a Madrid e sta partecipando con il fedele amico Onorio a una manifestazione per la chiusura del cinema Ideal.
Ovviamente l’evento interessa poche persone e alle nuove generazioni, rincretinite dalla cultura digitale, non interessa la scomparsa di un cinema o la chiusura delle biblioteche e librerie.
A un certo punto il protagonista perde la memoria e non riesce più la via per tornare a casa. Inizia a vagare senza meta per Madrid, confuso, smarrito in compagna solo dei suoi terribili venti inopportuni.
Passeggiando si guarda intorno, non riconosce più il proprio e inizia a divagare in un monologo disperato e pessimista sull’epoca che sta vivendo, ormai alla deriva, distrutta dall’avvento della tecnica, dalla derisione del pensiero, dall’annientamento delle coscienze.
Lui afferma che la vita sena biblioteche è una vita morta. Non si trova affatto bene in un mondo in cui nonostante i tanti progressi, non siamo riusciti a eliminare le guerre, né gli incidenti nucleari, per quanto sia progredito il mondo, da un momento all’altro potrebbe scomparire.
Non si ritrova più in un mondo in cui la cultura è diventata mero intrattenimento e quello che in passato chiamavamo arte e letteratura non è più frutto della fantasia e dell’abilità di singoli creatori, ma è prodotto da laboratori.
«Sarà che la cultura non ha più alcuna ragion d’essere in questa vita? Che le sue funzioni di un tempo, acuire la sensibilità, l’immaginazione, far vivere il piacere della bellezza, sviluppare lo spirto critico delle persone, per gli esseri umani di oggi non contano più, perché la scienza e la tecnologia sono in grado di sostituirli al meglio?».
Solo e smarrito, in preda alle sue flatulenze (queste sono i venti), il narratore smemorato si ritrova nella sua Madrid a vivere un incubo surreale, ragionando sulla deriva morale di questo nostro tempo e del mondo, in cui si vive nella menzogna e dove abbiamo soltanto l’illusione di essere liberi.
«Uomini e donne sono diventati ignoranti, manipolati quasi completamente dalla scomparsa della cultura o, per meglio dire, della sua trasformazione in mero intrattenimento. In altre parole siamo schiavi più o meno felici e contenti della nostra sorte.
Di fatto abbiamo perso la libertà senza rendercene conto, e il peggio è che siamo contenti e ci crediamo persino liberi! Che idioti!».
Alla fine il narratore centenario di questo romanzo in compagnia dei suoi pensieri pettinati, disincantati e pessimisti riesce a trovare la via di casa, ma perderà per sempre se stesso in un mondo che va avanti spedito verso la dissoluzione «e che quel coglione di Osorio, lo chiama progresso».