
Data di pubbl.: 2024
Pagine: 90
Prezzo: 10 €
Nell’eterna diatriba tra “opinione” e “verità”, filosofi e sofisti, imbonitori e rigorosi difensori della razionalità, ecco che Perelman, filosofo di origine polacca morto nel 1984, ritornò all’ermeneutica e alla retorica, rivalutando ciò che da Cartesio in poi venne accantonato, ossia tutti quei discorsi che non erano oggettivi, in quanto non basati sull’evidenza scientifica.
Perelman parte da una domanda semplice: esiste un uomo universale che in un colpo solo sia capace di dimenticare la propria cultura e la propria esperienza, per argomentare secondo la fredda evidenza? La risposta è “no”, perché ci sarà sempre una parte di noi che tenderà a cedere alle lusinghe del proprio vissuto o del proprio modo di pensare, in quanto determinato dal contesto sociale in cui ci si è formati.
Ecco perché la retorica, quella che faceva tanto arrabbiare il Socrate di Platone, non è l’errore, ma la logica conseguenza di questa irraggiungibile condizione di oggettività da parte dell’uomo che, prima di tutto, è soggetto tra altri soggetti plasmato dalle inclinazioni del proprio sentire e dalle interpretazioni personali che dà ai fatti di cui è protagonista.
Infatti, per Perelman ogni opinione è parte del discorso universale. Anche perché, se ci si basasse solo sull’oggettività, che non avrebbe bisogno di ulteriori spiegazioni in quanto si mostra nella sua totalità, ogni “presunta” verità apparirebbe come un atto di imposizione e prevaricazione; soprattutto in un campo come quello morale ed etico, in cui costumi e idee subiscono l’influenza del tempo.
Per questo motivo, Perelman parte proprio dall’applicazione della “giustizia”, in quanto il diritto è legato alla sua “dimensione storica”. Infatti, cosa sarebbe la giustizia se essa venisse applicata solo in base alle norme vigenti? Cosa diventerebbe nel momento in cui anche gli eventi della storia personale di un imputato, o le sue inclinazioni, non venissero tenute in considerazione? Invece, ogni discorso intorno a ciò che l’uomo tocca, vede o immagina diventa importante perché rivela qualcosa sui meccanismi del pensiero umano, nonché sulla sua evoluzione.
Stefano Cazzato, in questo lavoro sintetico, estremamente chiaro e capace di dare risalto a uno dei filosofi più influenti del Novecento, non smentisce la sua vena da “divulgatore”, disseminando nel libro interessanti riflessioni.
L’opera di Perelman, che influenzò anche un giurista come Norberto Bobbio, ripropone una pagina chiusa da troppo tempo da parte della filosofia, ossia quella della disquisizione aperta, messa all’angolo in favore di un rigorismo scientifico e logico che è anche stato, a suo modo, terreno fertile per i totalitarismi.
Il raggiungimento dell’uomo universale, privo di soggettività e al quale la verità doveva essere chiara e lampante, in quanto rintracciabile in un ragionamento razionale, è stata forse la più massiccia forma di “segregazione” del pensiero e della fantasia. Perelman scardina tutto ciò, in favore di un ritorno alla genuina disquisizione, che non è dialogo qualunquista che ammette la prepotente ignoranza, ma una forma di compenetrazione nelle cose in quanto frutto di contraddizioni.