Abbiamo incontrato in occasione del suo tour italiano Yeng Pway Ngon, giornalista, poeta e romanziere di Singapore. Uno dei suoi ultimi romanzi, L’atelier, ha avuto parecchi riconoscimenti internazionali (Asia Weekly l’aveva inserito nella top ten dei migliori libri asiatici del 2011) e per il lettore europeo è una lettura interessante, che svela molto sulla storia dei paesi che come Singapore, vivono accanto al gigante cinese. La trama del romanzo si sviluppa attorno al nucleo centrale, un atelier per aspiranti pittori a Singapore negli anni’70, e da qua si dipana in tante storie parallele, attraverso oltre un ventennio di storia e vagando tra molti paesi.
Il suo romanzo mescola tra loro molti temi e molte storie ma la prima protagonista della storia è Singapore, una città stata in continua evoluzione e di difficile definizione. Perché ha scelto di dare tale peso nella storia a questa città e può descriverci il suo rapporto con essa
Ho vissuto e vivo a Singapore, è la mia città. Per questo è tanto importante per me, la vivo come se fosse la mia Itaca, dal quale tornar sempre alla ricerca d’ispirazione.
Nell’atelier del maestro Yan Pei, pittore di grande talento che ha consacrato la vita all’arte ma che non ha ancora ricevuto i meritati riconoscimenti, si avvicendano molti allievi, di diversa estrazione sociale. Sulan che dipinge per fuggire da un matrimonio infelice, Sixian e Ningfang, che si amano ma si perderanno di vista per trenta anni, Jianxiong che desidera unirsi alla guerriglia nella giungla ed altri ancora. Quale storia ha amato di più raccontare? Quale gli è costata lo sforzo maggiore?
Un personaggio che mi è molto caro è la figura del maestro, che descriverei come parzialmente autobiografica. Anche io come lui ho vissuto i dolorosi momenti della malattia e credo di avere una sensibilità vicina alla sua. Però, mentre anche andavo avanti con la stesura del romanzo mi sono accorto che il personaggio e la storia che ho più amato scrivere è stata quella di Jianxiong, il ragazzo che fugge nella giungla per unirsi alla resistenza. Quella è una storia di assoluta finzione che mi ha appassionato scrivere. Il personaggio che mi è risultato più difficile costruire è stato quello di Sulan perché sono un uomo e non è stato semplice rendere sul foglio l’emotività di una donna. Ma so che i miei lettori lo hanno apprezzato, ciò significa che sono stato capace di interpretare anche lo spirito di una donna.
Nel libro Li, il maestro di Yan Pei dice che “I grandi artisti non sono tali solo per la loro abilità tecnica e il talento innato, ma sopratutto per la capacità di sentire e pensare. I sentimenti e i pensieri di un pittore traggono origine dalle sue esperienze, dal suo vissuto e anche dalle sue letture”. Immaginando che L’ATELIER sia un quadro cosa del suo vissuto e delle sue letture sono finiti in questo romanzo?
La parte che si riferisce al mio vissuto è grande: come il maestro ho vissuto i mesi di pena della malattia e come lui sono stato un prigioniero politico. Ma gli spunti biografici sono molti: per esempio la figura di A-Gui assomiglia molto a un mio amico d’infanzia.
Nel libro si mescolano molti temi: arte, amore, amicizia, passione, politica e lotta sociale. Seguendo le vite dei protagonisti attraversiamo trent’anni di storia, dagli anni’70 alla fine degli anni’90 e il suo è un grande romanzo che ricorda i migliori Dickens e Dostoevskij. Posso azzardare a definire questi scrittori come suoi modelli o sono altri i suoi maestri?
Conosco e ho letto Dostoevskij e posso dire di conoscerlo meglio del Barba nel mio libro ma se devo scegliere un maestro di scrittura allora quello è Saul Bellow per me.
Sono venuta a sapere che è sua moglie la sua traduttrice in inglese. Può raccontarci come è il processo di traduzione e se la sua signora le dà consigli o correzioni in fase di ideazione e stesura dei suoi libri?
Noi abbiamo fatto due carriere separate per tutta la vita, lei è stata a lungo una reporter. Non faccio leggere niente di quello che scrivo a mia moglie fino a che non ho terminato la prima stesura. Solo allora lei può leggero e darmi i suoi consigli. Anche quando lei è impegnata nel lavoro di traduzione dei miei libri gli scambi tra di noi non sono troppo frequenti.
Lei oltre che scrittore drammaturgo e poeta è anche proprietario di una libreria. Può descriverci l’ambiente della sua libreria e l’aria che vi si respira?
Di ritorno da Hong Kong, 19 anni fa, ho deciso di aprire una libreria perché mi ero accorto che quello che mancava a Singapore era una libreria letteraria. Ma sono stati anni molto impegnativi e alla fine lo scorso luglio ho deciso di metterla in vendita. Per fortuna se la sono presa un gruppo di ragazzi appassionati del luogo e decisi a preservarlo.