Antonio Soler, nato a Malaga nel 1956, è scrittore, giornalista e autore televisivo. Una delle voci più interessanti della narrativa spagnola contemporanea, le sue opere hanno ottenuto numerosi riconoscimenti e sono state tradotte in sette lingue. In Italia sono usciti Gli angeli caduti (il Saggiatore 2000), vincitore del Premio Herralde de Novela e del Premio Nacional de la Crítica, e Il nome che ora dico (Marco Tropea Editore 2003), vincitore del Premio Primavera de Novela. El camino de los Ingleses, che ha ricevuto il prestigioso Premio Nadal in Spagna, ha ispirato il film omonimo diretto da Antonio Banderas e presentato al 57° Festival internazionale del cinema di Berlino. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e di rivolgergli qualche domanda.
In Spagna, in questo momento di fioritura letteraria, mi sembra di percepire un forte legame tra la politica, il passato e la letteratura: come interpreta questo legame nei suoi libri?
Effettivamente in alcuni dei miei romanzi, tra cui “Il sonno del caimano”, è presente il periodo storico della guerra civile e del dopoguerra. La ragione è naturale, quasi biologica, perché noi, gli scrittori della mia generazione, abbiamo vissuto 18/19 anni sotto la dittatura franchista e siamo gli eredi del conflitto della guerra civile anche se non l’abbiamo vissuta in prima persona; la vissero infatti i nostri genitori. La generazione precedente alla mia che rimase in Spagna non poté scrivere di questo periodo storico perché la dittatura lo impediva e allora la mia generazione, quando iniziò a scrivere, trovò qui materiale da esaminare ed analizzare in profondità e credo che quasi ogni scrittore della mia generazione abbia scritto una, due o tre opere su questo periodo.
Spesso i periodi dolorosi e travagliati sono oggetto delle sue opere: ci spiegherebbe il perchè di questa scelta?
Non è una scelta, non razionale perlomeno, è piuttosto uno sguardo sul mondo e sugli sfortunati. Quando ho deciso di avvicinarmi al tema della guerra civile e del dopo guerra il mio interesse non cadde sul parlare di coloro che furono i protagonisti principali della storia, bensì della gente che soffrì. Ciò che mi ha sempre interessato, come dire, è la storia non di gente marginale, perché i miei personaggi non lo sono, ma di quelli che hanno vissuto una specie di esilio interiore, di chi non si è adattato al mondo: questi sono i protagonisti del mio scrivere e sono coloro che muovono i conflitti che si trovano nei miei romanzi.
Come è nato quest’ultimo libro (“Il sonno del caimano”)? Chi o che cosa ha ispirato i ricordi e le storie dei protagonisti?
La storia nacque curiosamente durante un viaggio in Canada, un lungo viaggio a Toronto. Lì, in maniera del tutto casuale, ebbi modo di parlare con alcuni vecchi brigatisti internazionali che avevano partecipato alla guerra civile in Spagna – questa è stata l’origine del romanzo. Una volta che iniziai a pensare alla possibilità di scrivere, quanto mi avevano raccontato affiorò nella mia mente e si misero in marcia una serie di sensazioni e di personaggi che alla fine divennero i protagonisti dell’opera. Il protagonista, che vive ancorato al passato, sente che la vita è stata terribilmente ingiusta nei suoi confronti e, al contrario, la persona che lo ha tradito è stata premiata dalla vita. La storia di questo rancore, di questo tentativo di regolare i conti con il passato è ciò che mi interessava davvero. Pensando a tutto ciò mi vengono in mente le parole di Manuel Azaña che fu il presidente della seconda repubblica spagnola; durante la guerra civile il presidente Azaña disse di avere un pensiero molto chiaro, e cioè che quando la guerra fosse finita (non gli importava chi avrebbe vinto) si sarebbero dovute tenere presenti 3 parole: pace, pietà e perdono. In realtà questa è la storia di come nessuna di queste tre si è mai realizzata.
Le sue opere appaiono come romanzi corali, e non “per voce sola”. Ci spiegherebbe il perchè di questa scelta compositiva?
Davvero, alcuni dei miei romanzi si possono definire corali; “Il nome che ora dico” e “Il cammino degli inglesi” lo sono, mentre nel caso de “Il sonno del caimano” credo che questa caratteristica sia un poco più contenuta. Quelli che possiamo definire romanzi corali hanno avuto a che vedere con la filosofia di cui parlavo prima: mi interessano i personaggi secondari della vita, perchè nella vita non sono grandi protagonisti, anche se lo sono nei miei romanzi; questo gusto si manifesta proprio nel fatto che ne appaiono molti in alcune delle mie opere.
Che cosa hanno lasciato in Spagna, secondo te, gli anni della guerra e della dittatura?
La guerra fu prima di tutto la rottura di quel grande sogno collettivo che fu la seconda repubblica, il primo tentativo davvero democratico in Spagna. Tutto lo sforzo di una generazione finalizzato a modernizzare la Spagna a margine dei grandi movimenti che c’erano allora – il comunismo, la rivoluzione, il fascismo – si ruppe, e non per un breve periodo, bensì per 40 anni. Il caos fu brutale, enorme, quasi mezzo secolo di parentesi democratica durante la quale la Spagna rimase isolata dall’Europa e isolata dal mondo occidentale vivendo in una specie di isola piuttosto mediocre ed assai grigia. I crimini del franchismo sono evidenti: la morte, il carcere, tuttavia c’è un altro crimine da considerare, cioè quello di convertire il paese in un’isola con una immoralità palese; questo è un caos che non passa in 5 anni e ancora stiamo rivedendo il passato con la legge della memoria storica, provando ad equilibrarlo e riflettere su di esso.
Che messaggio vorrebbe lasciare ai nostri lettori?
Credo che in qualità di lettori noi tutti siamo membri di una grande famiglia e che in questi tempi di invasione audio visuale siamo tutti uniti da un legame invisibile. Credo che nonostante la tecnologia sia uno strumento meraviglioso – sono 25 anni che uso il computer per scrivere e altro ancora – la base fondamentale della civiltà umana sia il linguaggio. Questo stesso linguaggio ci ha strappato dalle caverne e se lo manterremo vivo ci permetterà di non tornarvi.