OLTRE LA PENNA di… Simone Ragazzoni

 

L’anniversario dell’11 settembre cade in una congiuntura che non potrebbe essere più complessa per gli USA e l’amministrazione Obama.

Gli Stati Uniti sono ancora in guerra con il terrorismo transnazionale di al-Qaeda. E, dal 2001, sono in uno “stato di emergenza nazionale” che probabilmente Obama rinnoverà il 14 settembre. Si tratta della guerra più lunga mai combattuta dagli USA. Un nuovo tipo di guerra contro un nemico non-statuale, che eccede la dimensione della guerra classica e che privilegia sempre più la tattica del targeted killing (omicidi mirati). Di questa guerra, che Obama ha portato avanti in continuità strategica con l’amministrazione Bush, non si intravede la fine. Una nuova generazione di terroristi ha sostituto la vecchia, dando vita a un network aperto che gli esperti di counter-terrorism hanno ribattezzato al-Qaeda 2.0, di cui gli elementi principali sono al-Qaeda in the Islamic Maghreb (AQIM), al-Qaeda in the Arabian Peninsular (AQAP), al-Qaeda in Pakistan.  

Al contempo Obama si trova ad affrontare il dilemma che si chiama Siria.

Gli USA non devono scegliere tra pace e guerra, visto che sono già in guerra: gli USA devono scegliere se in un contesto bellico in cui il nemico strategico è al-Qaeda sia opportuno o meno intervenire in Siria per sanzionare l’uso di armi di distruzione di massa da parte del regime di al-Assad.

Come ha ricordato Obama, un attacco che punisca l’uso di tali armi è necessario per due ragioni: la sicurezza nazionale e l’ordine globale. Le due questioni sono strettamente collegate a partire da un punto: il potere di deterrenza degli USA sullo scacchiere globale, in particolare verso Corea del Nord, Iran, Russia. Il mondo in cui viviamo è organizzato secondo un ordine egemonico a guida unipolare americana. Questa egemonia, benché in crisi o in declino, è ancora in atto; e si basa, in primo luogo, sul potere di deterrenza militare degli USA usciti vincitori dalla Guerra Fredda. Se questo potere venisse meno non verrebbe meno solo la sicurezza degli USA, ma l’assetto stesso dell’ordine internazionale. Ecco la posta in gioco dell’affaire Siria. E’ possibile che si trovi una soluzione politica alla crisi siriana. Ma questo non cambia la posta in gioco. In ogni caso, la soluzione politica sarebbe l’effetto della decisione di intervenire presa da Obama – e sarebbe comunque una sanzione politica dell’uso delle armi chimiche che obbliga al-Assad a sbarazzarsi del suo arsenale.

La sanzione militare o politica dell’uso delle armi chimiche è dunque fondamentale per gli USA. Essa segnala al mondo che gli USA sono pronti a intervenire se alcune linee vengono superate. Per questo Obama, in merito all’uso di armi chimiche da parte del regime di al-Assad, ha dichiarato: “Non commettete errori: questo ha implicazioni oltre la guerra chimica. Se non rafforziamo la responsabilità di fronte a questo atto atroce, cosa si potrebbe dire della nostra determinazione a resistere a coloro violano le norme internazionali fondamentali? Cosa ai governi che avrebbero scelto di costruire armi nucleari? Ai terroristi che vogliono diffondere armi biologiche?”. Per questo il generale David Petreus ha affermato: “Sostengo in maniera convinta l’appoggio del Congresso alla richiesta da parte di Obama di un intervento militare contro il regime di Bashar al-Assad. Un’azione di questo genere non solo serve per impedire di nuovo il ricorso all’uso di armi chimiche ma anche affinché Iran, Corea del Nord e altri potenziali aggressori non sottovalutino mai la risolutezza degli Stati Uniti nell’intraprendere azioni militari quando altri strumenti risultino inefficaci”. Si tenga inoltre presente che la minaccia delle armi di distruzione di massa e di quel che è chiamato Wepons of Mass Destruction Terrorism, “terrorismo delle armi di distruzione di massa”, è al vertice delle preoccupazioni degli Usa dopo l’11 settembre, come emerge chiaramente dal National Strategy to Combat Weapons of Mass Destruction del 2002.

Perché dunque, a fronte di queste ragioni strategiche, parlare di dilemma Siria per Obama?

Perché come ha osservato Bruce Riedel, ex consigliere per la sicurezza e esperto di antiterrorismo:  “L’opposizione siriana è dominata da al-Qaeda, e la Siria è la base qaedista in più rapida espansione nel mondo. Ogni intervento militare che ribalti l’equilibrio delle forze in campo, indebolisca l’apparato del regime, rischia involontariamente di rafforzare al-Qaeda”.

Obama si trova dunque nella difficile situazione di dover difendere il potere di deterrenza degli USA contro altri stati nazione e, al contempo, di non avvantaggiare il nemico assoluto con cui gli USA sono in guerra da dodici anni. “Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere”. Se Obama riuscisse a vincere politicamente la battaglia contro la Siria obbligando al-Assad a consegnare le armi chimiche senza sparare un colpo darebbe prova di essere un grande Comandante in Capo. 

Simone Regazzoni è professore a contratto di Estetica presso l’Università di Pavia. Filosofo, allievo di Jacques Derrida, si occupa di filosofia politica e filosofia della cultura di massa. E’ autore dei seguenti volumi: La decostruzione del politico. Undici tesi su Derrida, il melangolo, 2006; Nel nome di Chora, il melangolo, 2008; Harry Potter e la filosofia, il melangolo, 2008; Derrida. Biopolitica e democrazia, il melangolo, 2012; Martin H. Live in New York City, il melangolo, 2012.

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