Lo specchio si pose come questione prima che a chiunque al gatto. Gatto chiamato gatto dai suoi umani – li incontrerai presto col nome fittizio di màma e pàpa – nome che al gatto parve da subito necessario e sufficiente. Quanto allo specchio, il gatto aveva osservato che così grande com’era, un’intera parete di ante dell’armadio modello Beowulf, quattro stagioni di una nota fabbrica a Nord, il gatto aveva osservato con metodo che i suoi umani vi passavano o stazionavano davanti, piroettavano, si guardavano chissà cosa alle spalle, a volte vi stazionavano nudi e in preda a grovigli di sospiri, di braccia e di labbra, come fanno gli umani, poi si buttavano nel letto davanti al Beowulf a specchi e insomma ne accettavano ciò che serviva loro, una riflessione non meditata. Non come al gatto cui invece lo specchio pose da subito questioni o, più di preciso e per usare un modo di dire coniato da un noto medico dei pazzi ma molto ma molto tempo dopo la vicenda che segue, era la questione a interrogare il gatto. Più esattamente le questioni erano due e concatenate secondo il gatto, la prima riguardava il chi è quello lì sulla superficie dello specchio, e seconda ma non meno importante, come ci è finito nello specchio. Il gatto come ascolterai troverà a un certo punto delle risposte e il modo di condividerle, oh come piace questo verbo ai tempi tuoi, di parteciparvi un essere più o meno grande come lui, il gatto, e che màma e pàpa chiamarono tatù. L’accento sulla u si capirà che può creare malintesi.
A tatù sia chiaro fu assegnato un nome anagrafico ufficiale ma poiché alle prime lallazioni lei interpose anche quelle due ti consonanti la cosa divertì tanto màma e pàpa che da quella scoperta trassero il ghiribizzo di vezzeggiare la loro bimbetta col nome di tatù. Tatù era à-dÓ-raabile – come avrebbe detto la strega Malefica del film – adorabile di giorno e una strega di notte. Almeno per i nervi di màma e pàpa che ogni notte, dopo mezzanotte all’incirca cominciavano la dura ridda dei vaitu-vadoio mentre tatù nella sua stanzetta, osservata dal gatto, cominciava dapprima piano poi sempre più forte a piangere, disperata diciamo. Pianto era ciò che màma e pàpa percepivano, cioè un fastidio alla lunga, il logorio del sonno perduto, come i soldati in trincea, nel vano tentativo di capirlo ogni notte, anzi di spiegarlo e di trovarvi un rimedio nella medicina e nella pazienza : camomilla, malva, tiglio, melatonina, blandizie, vocette carezzevoli, il biberon, il ciuccio, ogni tipo di accorgimento trovato nel tempo non dava né diede alcun risultato. Con metodo tatù li svegliava, dava loro una tregua ingannevole di qualche minuto, a volte di mezz’ora, raramente di un’ora e poi gettava tra loro di nuovo una granata di urla e lacrime. Sia chiaro, màma e pàpa non erano dei grulli né degli insensibili o sordi come il Beethoven che tale divenne perché l’esercizio della musica che lui traeva dalla propria mente non venisse disturbato da suoni disgraziati ; insomma i due capivano che nel pianto c’erano i segnali di un malessere e una musica da ascoltare. Quale, la domanda. Nessuno, la risposta negativa venne non da un musicista ma di più di un pediatra, di più di uno specialista, di più di un mago della medicina infantile. Màma e pàpa caddero nella spirale dei rispettivi rinfacci o rimpalli di responsabilità ; pàpa rinfacciava a màma che lui doveva essere lucido sul lavoro, màma che anche lei ne aveva bisogno e nel pesare i rispettivi bisogni nessuno dei due addiveniva ad accordare all’altro il beneficio di un ragionevole, siamo nella stessa barca e remiamo da qualche parte arriveremo. I litigi erano frequenti in piena notte, i musi lunghi in pieno giorno così come il desiderio di uscire in qualunque modo da quella situazione ; màma e pàpa, ciascuno a suo modo rimpiangevano lo stato soave ma vivace del loro innamoramento, l’età dell’oro degli aperitivi al mare, delle occhiate voluttuose, del desiderio che giocava a nascondersi con i loro rispettivi appagamenti. Avevano ciascuno a suo modo, il dubbio che la scelta di riprodursi fosse stato, sì, il frutto di una voluttà e di un azzardo sconsiderato. Nella totale impotenza cui tatù li aveva ridotti, venivano colti ogni tanto dalla tentazione nebbiosa e annebbiata dell’omicidio : ché in fondo a sedare quel marasma di pianti e strilla, sarebbe bastato un cuscino premuto dolcemente sul viso di tatù.
Ma non fu così. Tatù dunque, perché piangesse così non si sa benché sia interessante fare delle ipotesi. Eliminate quindi tutte quelle di natura organica, dalla più stupida, mal di pancia, alla più terribile, cancro al cervello, restavano da considerare motivi inafferrabili come gli incubi, ma quali in quella prima infanzia, l’angoscia della morte – ma potrebbe questa angoscia avvinghiarsi agli infanti che ancora non dovrebbero averla vista all’opera, la dama vampira – o il precoce presentarsi in tatù della maledizione di Cassandra che vedeva in avanti e nessuno ascoltava. Intanto venne il tempo dell’avventurosa esplorazione dell’appartamento. Non che fosse sconfinato ma tatù ci metteva il suo tempo a compierne, come dire, il periplo, accompagnata per solito dalle attenzioni del gatto che in quel essere gattonante, in tatù, riconosceva qualcosa di se stesso. Gattona gattona tatù ebbe il modo di osservare il gatto alle prese con lo specchio dell’armadio Beowulf ; lo vedeva avvicinarsi furtivo da un angolo, il gatto non Beowulf, e poi balzare in avanti certo di sorprendere l’altro, dentro lo specchio ; deluso ci riprovava e come fanno i gatti delusi, se ne andava dalla stanza ostentando indifferenza ma poi tornava di colpo a sorpresa e niente : nello specchio si materializzava, chissà sia giusto dire così, sempre e soltanto un’immagine che copiava i suoi gesti senza vergogna, un inspiegabile who’s who. Tatù provò a imitare il gatto una e più volte senza successo finché un giorno…
Màma e pàpa erano al lavoro e la no-na di cui tatù giustificava l’uso perché le garantiva di solito la colazione del mattino, il pasto del medio-dia e la merenda del dopo sonnellino – durante il quale si noti che tatù mai si svegliava in lacrime – esplora di qui esplora di là, tatù si ritrovò di nuovo nella stanza dell’armadio Beowulf. Lo specchio era lì immobile vitreo come sempre e – indovinate un po’ direbbe un narratore esperto – e tatù si vide riapparire sulla sua superficie e accanto a sé vide il gatto. Ma il gatto non era lì con lei , bensì dentro lo specchio o, per non saper come dire, oltre la sua superficie e guardava dritto tatù. Il gatto miagolò un paio di volte ; di qua dallo specchio tatù non potè sentire il richiamo ma capì benissimo che il gatto muoveva senza suono la bocca. Si avvicinò toccò lo specchio, toccò e sul vetro rimase il segno della sua manina sudatizza. Dall’altra parte il gatto fece il classico gesto felino di atteggiare la zampa a un richiamo come per avvicinare qualcosa di desiderato. Tatù lo imitò e ohhhhó si trovò dall’altra parte accanto al gatto con tutte le sue zampe e vere non riflesse, le sue vibrisse, la coda e le orecchie puntute. Ora che cosa fosse successo nessuno lo può spiegare ; benché a tatù e al gatto fosse evidente che erano al di là o dentro lo specchio ; peraltro che cosa vedessero d’altro là, oltre lo specchio, sarebbe facile da immaginare dopo Carroll che si inventò la vicenda di Alice. Ma vero è che colui che non sia mai andato di là da uno specchio o che non sia rimasto imbrigliato in un’equazione differenziale è difficile possa dire se oltre il vetro ci si trovi soltanto dinnanzi a un’infinita distesa di argento o nella penombra come nelle stanze per interrogatori della polizia ; non si può sapere niente e si può immaginare di tutto cosa che pare superfluo adesso fare. Forse tatù e il gatto videro cervi volanti, no non aquiloni, proprio cervi con le corna e stelle, stelle innumerevoli e incomprensibili, doppi soli che tramontano all’alba e sorgono al tramonto, lune pallide e brillanti d’argento da tappezzarci tutta una stanza, ruscelli fuggevoli di mercurio e di un mondo perduto rari uccelli, arcobaleni di zaffiri e rubini, montagne di lapislàzuli, alberi del pane e formaggio e in definitiva tutto l’armamentario di cui la fantasia si serve per mettere la ragione a repentaglio. Stando ai fatti certi si sa invece che tatù sparì. Quando la no-na la chiamò non rispose, quando la no-na la cercò non ci fu verso. Ci furono invece telefonate disperate negli uffici di màma e pàpa perchè tornassero di corsa, urla e male parole di màma e pàpa versus la no-na perché si spiegasse invece di frignare affranta al tavolo da pranzo dove stagnava la pappa per tatù. Dopo una ritrovata e apparente calma, si cercò meglio, si cercò sotto i letti, si cercò dentro un piccolo armadio a muro e nella lavatrice, si cercò anche dentro l’armadio Beowulf ma niente, furono trovate le solite scarpe, le solite mutande, le solite camicie. Di tatù nessuna traccia nemmeno in balcone, nemmeno in cortile, caso mai fosse successo l’irreparabile ma cribbio, qualcuno dei vicini se ne sarebbe dato conto di un bimba che vola dal quarto piano. Màma e pàpa e la no-na sedettero disperati tutti i tre sul divano. Poi màma e pàpa dissero insieme, Polizia. E partirono a denunciare la scomparsa di tatù. Fu loro riposto che occorreva aspettare due giorni prima di dichiarare scomparsa una persona ma loro insistettero e alla fine un gentile commissario diede loro ragione : una bimba che gattona e senza chiavi di casa non può sparire così da un appartamento senza evidenti luoghi oscuri in cui occultarsi. Fu fatto un sopralluogo, si presero impronte, cercate tracce di sangue col luminale : l’unico nel lavandino del bagno quello di pàpa che si era tagliato radendosi al mattino dopo l’ennesima notte di battaglia. Furono battute le strade, le soffitte, cantine e giardini in un raggio di dieci chilometri intorno, intrapresa l’attesa di un richiesta di riscatto ma niente ; peggio dei delitti della Rue Morgue. Quanto al gatto gatto tutti pensarono che fosse scappato in solaio da una finestrella che dava sulle scale condominiali e che la no-na lasciava sempre aperta per arieggiare ; e che poi dal solaio via sui tetti e del resto i gatti si sa…
Passò un giorno e un altro e un altro, la polizia aveva senza spiegazioni chiuso il caso e porte le sentite condoglianze ; sentite perché il commissario non seppe capacitarsi di come e che cosa fosse accaduto. Porte le sentite condoglianze anche da parte dei vicini cui il caso parve a dire il vero tanto atroce da suscitare preoccupazione e risentimento ma per fortuna non era capitato a loro ; solo in una famiglia con un figlio selvaggio a carico e che urlava talvolta, quando usciva dal suo torpore ordinario, perché non aveva altro modo di comunicare che con una sua voce roca e rauca, più da umano della foresta appunto che di undicenne qual era, questa famiglia per un istante pensò, ecco le fortune capitano tutte agli altri. E senza preavvisi, telefonate accordi di riscatto tatù tornò e tornò anche gatto. Cioè riapparvero. Tatù aveva ormai cinque anni e li dimostrava, il gatto cinque anni di più e non aveva da dimostrare niente a nessuno.
Tatù sta bene e anche gatto, tatù parla adesso benché dopo i pianti della sua prima vita mostri adesso un’indole più che taciturna come di vecchio soldato che ne ha viste tante e non ha voglia di sprecare parole nemmeno per lasciarsi andare nel pozzo dei racconti. Il gatto è affettuoso e vorace come sempre. Anche tatù : da quando è tornata ha sempre una gran voglia di pastefrolle alla marmellata di lamponi. Carenza di zuccheri pensano e dicono tra loto màma e pàpa, che adesso gridano al miracolo. Già ; pochi giorno dopo il misterioso ritorno i vicini sono sfilati per casa a vedere la rediviva, o che cosa non sanno come dire, la prodiga figliola hmm mah, tranne un vicina che al rivedere tatù esclama sicura, Oh là là la gesù bambina. È così che cominciano i guai.
L’immagine di apertura è di Nigel van Wieck – Coat-check girl