Titolo: L’Avare
Autore: Molière
Anno di scrittura: 1668
Edizione usata per la recensione: Cideb, 1996.
Jean-Baptiste Poquelin, meglio conosciuto come Molière, è senza dubbio uno degli autori più importanti della letteratura europea, infatti sta al teatro francese come Dante sta alla poesia italiana. Nato a Parigi nel 1622 da famiglia agiata, a vent’anni abbandona gli studi di diritto per fondare il suo teatro: l’Illustre Théâtre. Tuttavia, a causa dei suoi debiti, egli è obbligato a lasciare la capitale dove tornerà solo nel 1658. Molière si distingue non solo come autore ma anche come attore per l’estrema naturalezza della sua recitazione. Per le sue opere si ispira alla farsa e alle commedie italiane. Il successo arriva con L’école des femmes che, tuttavia, suscita la gelosia dei rivali e la collera dei devoti. In Tartuffe egli denuncia tutti coloro che simulano pietà per soddisfare le loro ambizioni personali; quest’opera verrà vietata e sarà censurata anche il celebre Dom Juan, così per un anno la compagnia sarà obbligata a sospendere gli spettacoli. Molière si lancia allora nelle commedie musicali, componendo pezzi a ripetizione per la corte reale. Il 17 febbraio del 1673 Molière non si sente bene ma recita lo stesso per non privare del salario della serata cinquanta poveri operai che “non hanno che questa giornata per vivere”, così recitando Il Malato Immaginario viene colto da una crisi e muore.
Il primo obiettivo delle sue commedie è quello di divertire il pubblico, ma tuttavia vi è anche un’intenzione morale: denunciare i vizi e il ridicolo degli uomini che egli osserva attorno a lui. È possibile inoltre trovare influenze di Plauto e di Terenzio. Secondo l’autore il segreto è evitare gli eccessi e seguire la natura umana, così sottolineerà la fragilità umana mettendo in rilievo i vizi e il ridicolo dei comportamenti umani. È proprio su uno di questi vizi che è incentrata una delle sue commedie più celebri: L’Avare. Cominciata nel 1668, l’opera troverà il successo e potrà essere messa in scena liberamente e trionfalmente solo nel 1669.
La fonte principale di L’Avare è l’Aulularia di Plauto, da cui egli prende in prestito l’idea generale – un vecchio avaro, un intrigo amoroso, un tesoro – ma anche una serie di dettagli. Ma l’abilità di Molière consiste nell’aver saputo trasformare ampliamente il suo modello, non soltanto modificando la struttura dell’opera ma soprattutto modificando il povero arricchito per caso in un ricco borghese e spostando sul padre e sul figlio il tema della rivalità amorosa. La psicologia dei personaggi ne guadagna in profondità, i ritratti sociali diventano più intensi.
La trama è semplice: un uomo molto avaro, Arpagone, vuole far sposare il figlio ad una ricca vedova e la figlia ad un ricco marchese ma – come è facilmente immaginabile per l’evolversi della storia – i giovani non sono d’accordo; ci saranno una serie di vicende ed episodi legati al denaro e all’ossessione della sua perdita da parte del protagonista. Alla fine la famiglia si riunirà, ma il protagonista resterà attaccato ossessivamente ai suoi soldi. Nessuno dei personaggi della commedia offre una psicologia e un comportamento lineare; il protagonista, ad esempio, è tanto avaro nella gestione del denaro quanto lo è con i sentimenti. Ma forse, come giustamente ha affermato La Flèche, il signor Arpagone è tra tutti gli umani il meno umano, infatti in inglese la parola “miser” (“avaro”, ma anche “miserabile” in senso materiale e morale) esprime bene la povertà interiore del ladro. Arpagone è quindi un miserabile e gli esperti di letteratura francese coglieranno il clin d’œil a un’altra famosissima opera che tratteremo presto: Les Miserables di Victor Hugo.
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