A tu per tu con… Laura Pariani

In occasione di una presentazione torinese del suo ultimo libro, Il piatto dell’angelo (Giunti 2013), abbiamo incontrato Laura Pariani, una delle scrittrici italiane più importanti del panorama letterario italiano degli ultimi vent’anni e una delle autrici più tradotte e conosciute all’estero. In passato è stata anche collaboratrice di numerosi quotidiani nazionali come Il Corriere della Sera, La Stampa e il Sole 24 Ore.

“Ecco, siamo in due, io e la nonna, ma è apparecchiato per tre minestre. Il piatto dell’angelo, dice la vecchia Giovanna, intendendo con queste parole alludere alla tradizione per cui nei giorni di festa si aggiunge un posto a tavola per chi è lontano, ma potrebbe arrivare inaspettato. Il piatto dell’angelo è sicuramente riservato a un uomo molto bello, che troneggia nella più grande delle fotografie e mi fissa con spavalderia: il nonno Cesare, partito per l’America nel 1926, mai ritornato, ma perennemente atteso. Ché, anche se può sembrare paradossale, in casa nessuno più di un assente richiede maggior devozione.”

Nel suo nuovo romanzo Laura Pariani torna a occuparsi di quelle tematiche che hanno profondamente segnato la storia della sua famiglia: un nonno emigrato in Argentina, una nonna abbandonata e una madre piena di rabbia e rancore che la spinse, a quindici anni, alla ricerca di questa figura ormai assente. Il tutto innestato in un contesto di ampio respiro in cui trovano posto tante altre separazioni e solitudini, passate e presenti, fisiche e sentimentali.

Vorrei iniziare quest’intervista leggendo un passo del libro che trovo pregnante e ricco di spunti.
“Io racconto la notte dei miei personaggi pensando al sogno iniziale del piatto dell’angelo. Ai sogni che ogni notte faccio: di me bambina che sogno, di te, madre, che sogni. E chissà, forse qualcuno ci sta sognando tutti. Con la montagna di dubbi che a volte mi assale: si possono raccontare la radici?”

Innanzitutto… perché racconta la notte dei personaggi?

Le notti sono i momenti in cui c’è la vita privata, no? Quindi il pubblico, quello che succede fuori, tace. Vengono fuori i ricordi, vengono fuori i problemi, si parla con se stessi proprio perché non si parla con gli altri. Si è da soli. La notte è il momento più intimo che io possa immaginare per me e per i miei personaggi. In qualche modo, nella mia scrittura, metto quello che è più personale e che si rivela nel momento del pensiero, del ragionamento, della resa dei conti con i fatti della giornata e con quelli della propria storia. Quando si parla di identità si parla sempre di memoria. Noi siamo la storia che abbiamo dietro, siamo quello che abbiamo fatto, siamo quello che poi ricordiamo di quello che abbiamo fatto.

Leggendo il titolo “Il piatto dell’angelo” mi è venuto subito un dubbio. L’angelo è una persona che ci protegge e ci sta vicino o è una persona che è volata via per non ritornare?

L’angelo è una persona con le ali. Per me, fin da bambina, era qualcuno che con le ali se ne volò da un’altra parte. Poi, in genere, l’angelo è sempre stata una figura protettiva ma non so, in realtà, se in tutte le culture sia poi realmente così. Però è comunque un qualcosa che sta normalmente lontano e che possiede un’altra dimensione rispetto alla nostra.

Rispondiamo alla domanda iniziale di quel passo. Si possono raccontare le radici?

Io credo che si possano raccontare nel momento in cui si ha una certa distanza dai fatti perché nel momento in cui queste radici ti immischiano e t’invischiano tutto si fa più complicato e difficile.

La figura di Marina è molto particolare all’interno del libro. Ha mai pensato di immedesimarsi in essa e quindi di fare un viaggio personale diverso?

Sì. Il personaggio di Marina, nella coppia, mi sembra il personaggio più interessante perché è quello che si mette più in discussione. Di fatto questa è una coppia assolutamente normale: ne ho fatta una più problematica, Marina, e uno più adagiato nelle proprie certezze, Piero. Ho voluto dividere un po’ la coppia insomma. Secondo me i viaggi devono mettere in discussione certe cose e Piero, al contrario, rappresenta uno di quei personaggi comuni che nei viaggi non vedono nulla, fuori e dentro di sé.

Durante la lettura si ritrova spesso la sovrapposizione “ieri è oggi”. Quando lei si rivolge a sua madre tale formula diventa “ieri, oggi”…

Eh sì. Perché è chiaro che per me questa storia è ieri ma anche oggi. La cosa che ho imparato dalla mia personale esperienza è che le persone assenti sono comunque sempre presenti e faticano a lasciarci definitivamente.

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