Al Salone del Libro abbiamo incontrato Carmen Pellegrino, abbandonologa per professione e per passione, qui ha presentato il suo primo romanzo Cade la Terra. Un viaggio attraverso il borgo abbandonato di Alento ma soprattutto un viaggio introspettivo dentro noi stessi.
Quando si pensa a Carmen Pelligrino viene subito in mente al ruolo dell’abbandonologa, come è nata questa tua passione per i borghi e gli edifici abbandonati?
Nasce appunto come passione, da piccola mi piaceva visitare i borghi abbandonati vicini al mio paesino, io andavo a visitare questi ruderi proprio come si va in vista in una grande città turistica, mi sembrava di fare un viaggio nel tempo, e mai avrei pensato che ne avrei poi fatto una professione. Attraverso la scrittura racconto ciò che è stato, cercando di riportare in vita questi luoghi.
Prima di Cade la terra, che è ufficialmente il tuo primo romanzo, hai scritto molti testi storici e saggi. Com’è il passaggio tra questi due generi?
Con il romanzo posso lavorare con molta più libertà, immaginazione e fantasia, posso arrivare addirittura a cambiare i destini dei personaggi a mio piacimento. Nel lavoro storico non posso farlo perché ovviamente devo attenermi alle fonti e a ciò che è realmente accaduto.
Nel tuo libro scrivi che “tutti ci portiamo dentro di sé un piccolo paese abbandonato”, credi che il tuo libro possa aiutare i tuoi lettori a trovarlo?
Beh io credo che sia uno stato d’animo, nel senso che come in un paese abbandonato tu puoi entrare e fare andare avanti e indietro il tempo, così dentro di noi tolte tutte le sovrastrutture resta la tua natura più profonda che ti permette di andare avanti e indietro nel tuo tempo interiore. Sei libero dalle costrizioni perché ormai un paese abbandonato si mostra nudo nella sua essenza, ed è per questo che somiglia alla parte più profonda e autentica di noi stessi.
Ma come mai Estella, la protagonista del tuo libro, cerca di mantenere in vita il borgo abbandonato di Alento, decidendo di non mettersi in salvo come il resto della popolazione?
Estella vuole vivere nel paese abbandonato, è il suo paese di origine e pensa di non poter vivere in nessun’altro luogo, ma ci vive in una dimensione di abbandono infatti allontana Marcello per circondarsi dai morti che non sono altro che i vecchi abitanti del paese. Per non soccombere alla solitudine Estella, che ormai non riconosce più i vivi dai morti, invita tutti alla sua tavola. Lei vuole vivere davvero in quella dimensione di solitudine, probabilmente perché all’origine c’è una condizione di abbandono che lei stessa ha subito e per questo si è convinta di non poter essere amata né amare veramente qualcuno.
Intorno a Estella ruotano dei personaggi caratterizzati da una grande intensità narrativa, a di questi ti senti più affezionata e che in qualche modo ti rappresenta di più?
Tutti e nessuno in realtà. Scrivere è sempre un po’ fare un’autobiografia, in tutti i personaggi metto qualcosa di me, perfino nel cane! Sono legata a ciascuno di loro ma allo stesso tempo cerco di staccarmene.