Dopo aver pubblicato il suo primo lavoro come scrittore, Alessio Piras, autore del pregevole giallo targato Fratelli Frilli Editori, ha accettato di rispondere alle nostre domande. Gabriele Scandolaro lo ha intervistato per voi.
1) Chi è Alessio Piras? Ci parli di lei.
Trovo sempre enorme difficoltà a scrivere una nota biografica quando richiesta. Questo perché credo di non sapere fino in fondo chi sono. Non mi fraintenda: conosco il mio passato, i miei desideri e gusti, e i miei obiettivi. Ma quella certezza donchisciottesca su me stesso ancora non mi appartiene (nella prima parte del Don Chisciotte, il cavaliere dalla triste figura esclama con enorme coraggio “Io so chi sono!”). Di solito, in ambito non accademico, inizio le mie biografie proprio con una citazione dal capolavoro cervantino: desocupado lector. Un lettore ozioso, che ha studiato molto e studia ancora perché, nonostante i titoli in bacheca, non credo di potermi permettere di emettere sentenze su niente. Forse non potrò mai permettermelo ed è proprio questo il bello. In linea più generale, sono ispanista e amante delle lettere. Uomo di mare, più che di terra. Genovese.
2) Quando e come le è venuta l’idea per questo romanzo?
Questo romanzo ho iniziato a scriverlo diversi anni fa, all’inizio del dottorato, quando vivevo a Milano e viaggiavo spesso a Pisa in treno per ragioni di ricerca. L’idea mi è venuta pochi giorni dopo la vittoria di Pisapia alle elezioni comunali meneghine del 2011. Il progetto iniziale era abbastanza diverso dal risultato finale: volevo scrivere un grande romanzo, di ampio respiro, quasi una testimonianza storica dell’inizio del millennio. Una cronaca che andasse dal G8 di Genova, il momento di massimo potere della destra berlusconiana, fino alla disfatta del centrodestra milanese delle amministrative del 2011. Erano 10 anni tondi, il clima che si respirava nel capoluogo lombardo all’epoca era quello delle grandi speranze e, all’indomani della grande festa arancione in Piazza Duomo, tutti avevamo l’impressione di aver visto un pezzo di storia in diretta, l’inizio della fine dell’era berlusconiana e il sorgere di una nuova era. Nonostante gli entusiasmi, nel giro di pochi mesi mi resi conto che non avevo considerato le difficoltà che si celano dietro la scrittura di un’opera narrativa e, soprattutto, in questi anni sono maturato io, come uomo e come scrittore, e quelle aspettative generate da quella vittoria elettorale si sono infrante. Credo che la differenza tra quanto pensavo di fare 5 anni fa e quello che si è pubblicato quest’anno sia abbastanza significativa del mio percorso di vita: in mezzo c’è una tesi di dottorato che mi ha completamente assorbito e fatto maturare.
3) Quanto Alessio Piras c’è in Lorenzo Marino? Come nasce questa figura?
In Lorenzo Marino c’è molto di me, questo è indubbio. Ma chi mi conosce bene, e ha letto il libro, ha potuto vedere come quasi ogni personaggio custodisca una parte del sottoscritto tra le sue pieghe più intime. Non voglio rivelare chi più e chi meno, ma non dimentichiamo che in questa serie sono due gli investigatori e sono due personaggi a cui sono molto legato.
Il primo capitolo che ho scritto è stato quello in cui Lorenzo rientra dalla Spagna. Per una sorte del destino coincide con il capitolo 1. Quindi il personaggio nasce subito, prima di Pagani e di tutti gli altri. E fin dall’inizio avevo chiaro che in Lorenzo Marino dovessero convergere contraddizioni, ambiguità, paure, ma anche la forza, di un uomo sostanzialmente solo e solitario. Un nostalgico e malinconico pellegrino del mondo. Un universitario, perché mi è più semplice mettermi nei suoi panni, sia per quanto riguarda le gioie e la bellezza di questo mestiere, sia per quanto riguarda delusioni e frustrazioni. Anzi, soprattutto per queste ultime.
4) Ci parli di Alba.
Alba è un personaggio che amo molto. Da genovese ho più volte incrociato lo sguardo, in pieno giorno, nei vicoli della mia città, con quello delle bocca di rosa che offrono il loro corpo in cambio di denaro. Mi sono sempre chiesto quali storie e quali ragioni le abbiano portate da Paesi molto lontani a un carruggio della città vecchia di Genova. Sono sguardi malinconici, ma sulle labbra di queste donne si dipinge sempre un sorriso. Mi fanno una grande tenerezza e, spesso, grazie al lavoro di associazioni no-profit come quella di Don Gallo, scopri che queste donne sono tutt’altro che fragili e vulnerabili: sono forti, mantengono figli piccoli che vivono nei loro Paesi e lottano strenuamente perché abbiano una vita diversa dalla loro. Sono passate attraverso mille difficoltà, eppure continuano a lottare con enorme coraggio, soprattutto quelle che riescono ad uscire dal mondo della prostituzione e rifarsi una vita. Alba è un maldestro tentativo di ricreare questo tipo di donna e provare a sondarne il carattere attraverso il dolore della perdita di un figlio.
5) Il capo dei vigili urbani. l’ha sempre immaginato così spietato e calcolatore oppure è andato evolvendo nel tempo?
Anche Canepa è un personaggio che è nato all’inizio del processo di scrittura. Ed è uno dei pochi che non è cambiato molto, se non in peggio. Nella prima stesura, quella che neanche il mio editore ha visto, Mauro Canepa è meno villano di quello che poi è risultato essere. Ma per esigenze narrative ho poi deciso che doveva essere un vero cattivo, senza alcuno scrupolo etico e morale e profondamente ipocrita.
6) Ha mai pensato che le cose potessero andare in un modo differente? Cambierebbe qualcosa del suo romanzo, se potesse?
Se ci riferiamo alla trama, fino a quando non ho deciso di ultimare la scrittura non era definita nei dettagli. Fino quasi all’ultimo l’assassino è stato in bilico tra due personaggi. E anche il come Pagani e Marino arrivano a risolvere il caso non mi è stato chiaro fino alla fine. Perché un conto è studiarsi una scena del delitto e delle storie, altro è descrivere l’indagine, ovvero mostrare come si arriva alla soluzione: con quali intuizioni e quali prove. Cambierei un sacco di dettagli e se mi rileggessi forse stravolgerei gran parte di quello che ho scritto. Ma è normale, credo, sono anche io in costante evoluzione e cambiamento.
7) Quale è stato il personaggio più difficile da trattare? Perché?
Senza ombra di dubbio Niccolò Canepa. Volevo un personaggio ambiguo, buono e cattivo, contraddittorio, sofferente, arrabbiato, ma anche capace di essere felice. Credo sia il personaggio su cui ho lavorato di più e quello che muta maggiormente nel romanzo, forse è lui il vero protagonista, alla fine. La cosa più complicata di questo personaggio è stata definire e mostrare la sua insicurezza e la sua debolezza e credo che la chiave sia stata mostrarla attraverso il rapporto con gli altri personaggi. Quello con Paco, la vittima, che oscilla tra l’affetto e il disprezzo; quello con il padre, Mauro, di sudditanza; quello quasi edipico con sua madre; ma soprattutto quello con Alba e quello con Lorenzo. In entrambi i casi la relazione di Niccolò con loro si evolve e cambia allo stesso ritmo con cui muta lo stesso personaggio. Non ho alcuna esitazione ad affermare che Niccolò Canepa è stato il personaggio più sofferto perché quello più umano.
8) Cosa è per lei la scrittura?
Domanda complessa. La scrittura è liberazione e sofferenza. Quando scrivo mi sento libero e mi libero, al contempo, di molti dei miei fantasmi. Quando mia moglie mi ha letto mi ha fatto capire che in questo libro mi sono completamente spogliato e mostrato nudo. Ecco, sentirmelo dire da lei mi ha fatto un po’ vergognare, ma mi ha anche restituito il senso della mia scrittura: che è personale, intima, ma anche altruistica. Nutro la speranza di contribuire in minima parte all’epica impresa che molti hanno di rimettere la nave della propria vita in bussola e riprendere la rotta. Che poi è quello che è successo a me leggendo altri. Ed è anche, in parte, lo scopo della letteratura.
9) Quali sono autori o libri che si sentirebbe di consigliare?
Consigliare un libro o un autore è molto difficile. Per varie ragioni, prime fra tutte il fatto che la lettura di un libro/autore cambia a seconda dell’epoca in cui si affronta. Ho più volte letto Cent’anni di solitudine di García Márquez e il Don Quijote di Cervantes e ogni lettura è stata diversa dalla precedente perché avvenuta in una fase della vita diversa. Ora io posso consigliarti di leggere Millennio di Manuel Vázquez Montalbán o New Grub Street di George Gissing. Entrambi sono stati decisivi nella mia vita e li considero capolavori assoluti della letteratura mondiale, ma questo non significa che per te siano altrettanto significativi. Per consigliare un libro/autore credo sia fondamentale conoscere l’altro molto bene e sapere cogliere cosa, in quel determinato momento, ha bisogno di leggere: se è pronto per sperimentare o ha bisogno di aggrapparsi a una prosa conosciuta e riconoscibile, se deve distrarsi con una lettura divertente o può immergersi in un universo complesso e penetrante come quelli dei grandi capolavori del XIX secolo, e via dicendo.
10) Da chi si ritiene influenzato nello scrivere? Ha un autore che pensa possa averle dato “l’ispirazione” o averle “fatto da padrino”/”madrina” oppure no?
Da ricercatore in ambito letterario posso dire, con grande sollievo, che non spetta a me, autore, stabilire influenze e genealogie. Posso indicare, però, quegli autori che ho letto e che, volutamente, ho cercato di superare (non qualitativamente, ma come sperimentazione) per quanto riguarda il genere al quale Omicidio in Piazza Sant’Elena appartiene: Manuel Vázquez Montalbán, Jean-Claude Izzo e, in parte, Bruno Morchio, con il quale ho una relazione letteraria d’amore/odio perché ogni volta che leggo un suo libro finisco con l’arrabbiarmi da morire, ma è anche vero che lo divoro con grande voracità. Poi ci sono gli autori di lingua spagnola, americani ed europei, poeti e narratori, che sono il mio grande punto di riferimento da quando, adolescente, lessi per la prima volta Cent’anni di solitudine. Non credo di avere “padrini” o “madrine”, a meno che un giorno qualcuno non voglia fare con me quello che Mina fece con De Andrè cantando La canzone di Marinella alla fine degli anni ’60.
11) Se fosse lei al mio posto, cosa chiederebbe ad Alessio Piras?
Sono un pessimo intervistatore e sono molto contento di non essere al suo posto. Battute a parte, forse mi chiederei perché ho voluto quei versi di Carlos Barral in epigrafe.