Traduttore: Alberto Bacci Testasecca
Pagine: 592
Prezzo: €21,00
Il genocidio dei Tutsi in Ruanda rimane uno dei peggiori capitoli nella storia dell’intera umanità. In cento giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, un milione di Tutsi venne massacrato – affettato a colpi di machete nella maggior parte dei casi – dai conterranei Hutu, i cadaveri gettati in fosse comuni, abbandonati ai bordi delle strade, arsi nelle case e nelle chiese. Tutto nel quasi assoluto silenzio del resto del mondo e nell’impossibilità delle poche truppe inviate dalle Nazioni Unite di intervenire perché il massacro venisse fermato.
Michel Bussi, autore di questo libro, nel 1993 aveva iniziato la sua carriera di insegnante di geografia politica all’Università di Rouen quando già da tempo si avvertivano i sintomi del futuro genocidio ruandese. Dall’anno seguente iniziò a raccogliere articoli, interviste, documenti legati alla storia del Ruanda verificando quanto poco i francesi fossero informati sull’argomento. Eppure, se i Belgi, nei loro lunghi anni di dominio coloniale sul Paese delle mille colline, si erano resi responsabili della netta separazione fra le due ‘etnie’ imponendo le diciture ‘hutu’ e ‘Tutsi’ sui documenti d’identità, la colpa maggiore per la guerra fratricida in Ruanda va addebitata proprio ai francesi, al tempo governati dal presidente Mitterrand, amico e sodale dell’allora presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana.
È partendo dal quel 7 aprile 1994 che Bussi costruisce il suo lungo e articolato romanzo muovendosi avanti e indietro nel tempo. A Kigali, infatti, alle prime luci di quel giorno di aprile, l’aereo – un Falcon 50, dono di Mitterrand al presidente Habyarimana – viene abbattuto da un missile terra-aria e muoiono non solo il presidente del Ruanda, ma quello del Burundi e tre cittadini francesi, tutti di ritorno dalla vicina Tanzania per partecipare a un vertice politico legato ai precedenti accordi di Arusha tesi a porre fine al conflitto strisciante fra Hutu e Tutsi. Da quel momento in poi è il caos e nulla può fare il primo ministro, una Hutu moderata e intelligente Agathe Uwilingiyiama che ben presto morirà insieme al marito riuscendo però a salvare i figli. Dietro le quinte, e poi apertamente, si muovono protetti dalla Francia la moglie del defunto presidente e la sua ‘piccola casa’, l’Akazu, formata da Hutu determinati a far sì che degli scarafaggi Tutsi non resti più traccia al mondo. Alle frontiere, intanto, preme l’esercito dei ribelli Tutsi capitanati da Paul Kagame, sostenuto dagli Stati Uniti, che alla fine diventerà il presidente del Paese. Guerre fra grandi nazioni combattute sulla pelle di nazioni piccine. Come sempre, la storia si ripete con poche variazioni sul tema.
A narrare la vicenda si alternano le voci di vari personaggi: Espèrance con il suo diario che copre gli anni dal 1990 al 1994; il marito e vedovo Jorik Arteta, ex ufficiale dell’esercito francese ormai sessantenne, che insieme alla figlia Aline e alla nipote sedicenne Maè torna in Ruanda trent’anni dopo il massacro per coronare il sogno di Maè di vedere i gorilla di montagna e il suo paese di origine. Un viaggio che si rivelerà una trappola e, al tempo stesso, una straordinaria rivelazione, un viaggio pieno di insidie, pericoli e inconfessabili segreti in un Paese meraviglioso che non ha ancora chiuso i conti con il suo orribile passato.
Molti dei personaggi che appaiono in questo libro potente e avvolgente sono realmente esistiti ed è vera e documentata la storia del Ruanda e di quei cento giorni che sconvolsero il Paese. Inventati, invece, i protagonisti principali, che offrono però al lettore la possibilità di sapere e capire come si sono svolti i fatti e quale dev’essere stata la sofferenza delle vittime di una guerra fratricida e inutile, soprattutto perché basata sull’idea di una inesistente diversità e sobillata e distorta dalle notizie false di radio e giornali di regime.


