A tu per tu con…Giuseppina Mellace

Dopo la lettura del romanzo “Tre donne sul Garda” pubblicato da PAV editore, abbiamo pensato di approfondire la conoscenza di questa autrice originale e intrigante e di esplorare ulteriormente alcuni passaggi e alcune dinamiche. Ha intervistato per voi l’autrice Gabriele Scandolaro

  1. Clara, Mariuccia e Adelina rappresentano tre Italie inconciliabili: il potere morente, la Resistenza e la disperazione che si aggrappa al regime. Ci può spiegare perché ha sentito la necessità di dare voce proprio a questa polifonia, evitando la prospettiva unica, spesso maschile, che domina la narrativa su questo periodo? C’è una di loro a cui si sente più legata?

Tre giovani diverse tra di loro, legate non solo dal destino, ma soprattutto dalla situazione di guerra che stanno vivendo sulla propria pelle. Gli uomini sono presenti, ma questa volta relegati su un secondo piano per dare quello spazio alle donne che non hanno mai avuto nella storia. Non ho preferenze o maggiore simpatia per una di loro, altrimenti non potrei essere obiettiva!

  1. Lei restituisce a Claretta Petacci una profondità psicologica inedita, mostrandone le ossessioni, le fragilità, ma anche una forma di devozione quasi tragica. Quanto ha dovuto lottare con il “giudizio della Storia” per scavare nell’umanità di un personaggio così controverso, riuscendo a suscitare, in alcuni passaggi, persino un sentimento di compassione nel lettore?

Claretta è stata sempre vista come l’amante più famosa d’Italia, ma mai come donna che ha voluto fare delle scelte ed essere coerente fino alla morte; scelte sbagliate, discutibili, criticabili non c’è dubbio, ma erano le sue. Dai suoi scritti, dai suoi diari ho conosciuto una giovane innamoratissima al punto da divinizzare il proprio uomo non riuscendo a vedere i cambiamenti epocali che stavano accadendo intorno a lei e che l’avrebbero travolta. Molti l’hanno giudicata una spia, ma io posso affermare che non avrebbe tradito mai il suo Ben, come chiamava Mussolini, pur avendone molte ragioni e molte possibilità

  1. Il lago non è un semplice sfondo, ma un’entità quasi senziente: complice degli amanti, specchio delle ansie, testimone silenzioso degli orrori. Come ha lavorato per costruire questa presenza costante e ambivalente, che è al tempo stesso luogo di prigionia e di una bellezza straziante?

Il lago è complice come lo è stato veramente; mi piaceva l’idea di questo muto attore la cui presenza ha influenzato direttamente e indirettamente la vita dei personaggi di entrambi i sessi.

  1. Una delle scene più potenti del libro è quella in cui Mariuccia, la cameriera-partigiana, usa il nome della sua “Signora” come scudo per salvarsi da una SS. È un momento di puro genio narrativo, che condensa tutto il paradosso della sua doppia vita. Come è nato questo episodio? È frutto di ricerca storica o di un’intuizione romanzesca?

E’ frutto solo d’intuizione narrativa poiché ho cercato di immaginare la paura che ha potuto provare quella povera ragazza di fronte a una SS e cosa avrei fatto pure io se mi fossi trovata in quella situazione! L’unica era invocare la presenza della Signora!

  1. Scrivere un romanzo così denso di eventi storici reali (l’eccidio del 28 giugno, la tragedia di Ciano), come ha trovato l’equilibrio tra il dovere della documentazione e la libertà dell’invenzione narrativa? Ci sono stati episodi o personaggi minori che, durante la ricerca, hanno catturato la sua immaginazione costringendola a inserirli nella trama?

Bilanciare la Storia con le storie non è stato affatto facile poiché cadere nella “trappola” del saggio storico o nel romanzetto strappalacrime era molto semplice. Il mio vuole essere un romanzo storico che mi ha lasciato lo spazio sufficiente per poter usare quella verosimiglianza di manzoniana memoria che tanto amo.

  1. Scrivere un’opera del genere significa immergersi per mesi, se non per anni, in un periodo di odio, paura e violenza inenarrabili. Quale è stato l’aspetto emotivamente più faticoso da affrontare? E, al contrario, c’è stato un personaggio o una storia di resilienza che le ha lasciato un segno di speranza?

Trattando e studiando in modo molto approfondito il ventennio fascista e il confine nord orientale italiano più che altro dal punto di vista saggistico, sono per così dire “abituata” alla guerra, ma vorrei rigirare la domanda: Oggi in che epoca viviamo???? Non sono presenti guerre, morti, orrori di ogni genere?

  1. Il romanzo è costellato di dettagli potentissimi che rendono la storia tangible: il buono n.200 per il salume, il drappo rosso alla finestra, i colori che Clara chiede per dipingere. Quanto è importante per lei questo “microscopio” sul quotidiano per raccontare il “macroscopico” della Storia?

Il dettaglio, il particolare, la peculiarità sono fondamentali per far calare il lettore nella realtà descritta. Per questo la ricerca è importantissima, è un lavoro lungo e laborioso, ma anche divertente come ad esempio, scoprire la musica di quegli anni, come si vestivano le ragazze e tante altre mille cose.

  1. Il Duce nel suo romanzo è una presenza ossessionata e sfocata, un uomo ormai svuotato, visto principalmente attraverso gli occhi di Clara. Perché ha scelto di non concedergli una voce interna, un punto di vista che esplorasse direttamente il suo abisso interiore?

La protagonista è Claretta e Mussolini è solo un comprimario, ma soprattutto cerco di parlarne per quello che effettivamente è stato: un fantoccio nelle mani del potente alleato che ha preteso la Repubblica di Salò per i suoi scopi. Proprio a tal proposito sto studiando e ricercando documenti per meglio delineare la figura del Duce, soprattutto nella vicenda del confine nord orientale italiano.

  1. La Resistenza di Mariuccia e delle donne dei GDD non è fatta di eroismi plateali, ma di gesti quotidiani, di silenzi, di ascolto, di rischio costante. Crede che la narrativa italiana abbia ancora un debito nel raccontare appieno questa forma di coraggio “laterale” e fondamentalmente femminile?

La Resistenza è stata scritta al maschile anzi alle staffette molte volte veniva proibito anche di sfilare nel dopoguerra poiché si criticava la loro “convivenza” sulle montagne con gli uomini. Ora tali stereotipi sono caduti e si incomincia a parlare, a raccontare, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga e piena di pregiudizi.

  1. Quali sono le domande su quel periodo che sente ancora aperte e che, forse, l’hanno spinta a scrivere questo romanzo? Cosa si augura che il lettore porti con sé dopo aver accompagnato Clara, Mariuccia e Adelina fino all’orlo del baratro?

Vorrei solo che il lettore si chiedesse se vale la pena sacrificare tante vite per conflitti che la popolazione non ha mai chiesto, non ha mai voluto e poi che le donne siano considerate persone e non più bottino di guerra come continua ancora oggi ad essere.

Gabriele Scandolaro

Mi chiamo Gabriele e sono un lettore. Ho iniziato a leggere quando ero molto piccolo, complice una nonna molto speciale che invece delle classiche favole riempiva le mie giornate raccontandomi i capolavori teatrali di Shakespeare e di Manzoni. Erano talmente avvincenti le sue narrazioni che, appena mi è stato possibile, ho iniziato a leggere per conto mio. Ma terminato il mio primo libro ne ho iniziato subito un altro. Poi un altro. Da allora non riesco più a smettere di leggere. Quando non leggo o studio, lavoro come Educatore e suono il violino.

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