L’ElzeMìro – Mille+infinito- La nuova tessitrice ovvero prognosi e presagi-Parte quinta-Enterrements éxplicites

Da quello che fu un chiudere gli occhi, perdere i sensi e scendere di prua in giù nel sonno, dopo quindici minuti nemmeno si sentì emergere, ma non ristorato. Al contrario forse per questo si destò, perché era sudato, impacciato dal soprabito abbottonato dal primo all’ultimo bottone, e infastidito da un sogno, che dobbiamo immaginare breve e intenso quanto quel pisolino, di trovarsi a bordo di un sommergibile, in immersione appunto, battello da guerra umbràtile e grigio, un tubo che si percepiva stesse inabissandosi e che nel sogno era esso stesso un abisso di acciaio ; rischiarato all’interno solo da spie di ogni colore e schermi dalla luminosità inquieta – senza smettere di sognare al suo onirico self si aprì una parentesi in cui si vedeva bimbetto, nudo alla cintola e schiacciato tra lo schienale di piombo e lo schermo fluorescente, cioè tra il verde e l’azzurro, della macchina Röntgen con cui il suo medico di famiglia gli scrutava i polmoncini, per via di un qualche catarro invernale o soltanto di una tossetta malvagia, dopo averlo ben bene auscultato con un suo stetoscopio antico ; come in un film di Tarantino, appariva in dettaglio quello sorta di trombetta di legno antica quanto la professione medica (noi possiamo commentare che non era eccesso di zelo nel medico ma prudenza, dato che un tempo, al tempo di AC bambino, la TBC aveva ancora piena libertà di circolazione, senza passaporto)–. Il sommergibile era affollato di tubi, di trombette, e manometri e manette e di persone, nessuno che riconoscesse, tutte a fare qualcosa ma  che cosa non si capiva, tranne di una che per tutta la durata del sogno dava giri e giri di chiave inglese a un abnorme dado esagonale. Lui passava in mezzo a questa gente, come in rivista, e nel chiuso gli sembrava di sentire un odore di petrolio e di sudore o, forse, il fatto che tutte quelle persone parevano visibilmente sudate, brillanti di sudore, gli restituiva anche l’impressione, nel sogno, di un odore umano. Il sogno durò troppo poco perché vi si instaurasse un qualche accadimento, così aprì gli occhi e fu sveglio. Un brivido da supermercato d’agosto lo scosse ché la casa era una ghiacciaia con il condizionamento che andava a tutta randa per contenere il deterioramento della povera morta, di là nella camera ardente. Ma lo stesso si sentiva appiccicoso, umido, puzzolente. Desiderò una doccia. Dopo il risveglio all’alba e nonostante il suo furo mattutinola doccia più o meno rapida che tutti conosciamo per lui si svolgeva ogni giorno con una complessa serie di operazioni, furo, nel bagno della villa di Celerina allestito in stile nipponico, furoba – e dopo ore di viaggio, e il montare a neve ferma di tutti quei aha ssì ricordo-che piacere ritrovarla-anche se l’occasione-non conosco-oh l’ultima volta che l’ho-era una bimba quando, i ripetuti stringere mani, gli abbracci non richiesti, il contatto con tante persone che, tutte, secondo lui, avevano respirato cadaverina, AC si sentiva lurido, bisognoso di acqua e sapone. Benintesi tra noi, non ci pare che aggiungere qua o là piccoli particolari del comportamento e della sensibilità del maestro AC sia utile per farne un’analisi, non è proprio nostra intenzione ; per il ritratto psicologico lasciamo che si ingegni chi legge ; oh lo sappiamo bene quanto adori cimentarsi in questo tipo di attività introspettive il lettore per dare soddisfazione alla propria intelligenza, sempre così in agguato a cercare simboli e perché ; e così sia, jedem Tierchen sein Pläsierchen-a ogni animaletto il suo piaceretto ; per carità certi particolari fanno gioco, nel gioco narrativo ma poi, noi si tira avanti come se niente fosse. A incuriosire chi narra non è l’intreccio dei pensieri riferiti, ma se mai, l’ordito di pensieri e accadimenti senza che questi siano trama di quelli e viceversa : casualità, il tuo è un nome femminile plurale, avrebbe potuto scrivere un poeta in vena di sentenze. Il Maestro AC si sentì in grado di riordinare le idee e i motivi per cui si trovava lì e, benché dopo quel pisolino e il sogno e il fastidio del risveglio freddo e umido, non ne fosse più così convinto come all’alba quando era partito dall’Engadina, il cuor suo gli ricordò che oramai era fatta, che era lì e che doveva portare pazienza e uniformarsi all’ambiente. Ripose una volta di più il volumetto di liriche della Rosìni in tasca, della giacca sotto il soprabito, e uscì dallo studiolino di Dora dove si era rifugiato.

Accanito melomane maesstro che piacere incontrarla qui nel mio trisste ruolo, disse di sé medesimo il parroco di Santa Maria Segreta don M***, sciorinandogli incontro un ritmo del dire da cuoco televisivo con una pronuncia ricca di esse piovute da chissà quale dialetto, e acciuffandolo più che attirandolo a sé per la mano che gli aveva intrappolato con il gesto del pescatore di un peschereccio di anime, a bordo del quale occorresse essere rapidi nel liberare il ponte dal  pescato a spingerlo nella stiva per dare spazio alla prossima retata ; poi, dopo essersi presentato con questa presentazione, accanito melomane, con l’evidente intenzione di volerlo invischiare, oh maesstro riasscoltavo ier ssera la ssua quinta (qui con tre forti accenti ritmici su èstro tàvo e quìn)e con con untuosità programmata, eh posssente, ah belisssima muszica che percuote peropperò maesstrissimo mio non è nelle mie corde proprio no quessto melomane è un po’ fermo a mozzart e per essere onessto con lei anche a l’endel , detto proprio così all’italiana, balzando oltre, in Händel, l’aspirazione della acca e della prima vocale la Umlaut, alla lettera un suono oltre come appunto per ä, ö ü ; con voce dotta detta metafonìa e non dieresi che, invece, assicura lo Zingarelli, viene a dire separazione di due vocali. Tuttavia una maraviglia maesstro lei lei ebbè bon… Mah lei è molto gentile grazie ma la meraviglia è di Mahler… Ah ssentila l’umiltà dei grandi… Guardi, e inciampò AC non sapendo se dovesse chiamarlo padre o eccellenza o monsignore, guardi, optò per monsignore, guardi credo soltanto che a furia di studiarlo ne ho visto l’architettura da restituire alle orecchie del pubblico comunque grazie davvero, replicò AC e si staccò dalla stretta di mano che non si era mai interrotta per tutto il tempo di quel pericoloso incontro. C’è sempre una zanzara sanguinaria in agguato dentro un monsignore, sempre pronti a carpirti quando sanno o, educati come sono alla busca y captura, quando molto più spessofiutano che non sei dei loro, che appartieni alla congrega, ammirata e nemmeno tanto poco, dei senza dio, novero cui in segreto ogni autorità più o meno alta delle chiesa vorrebbe appartenere, in segreto ma appartenere. Non è detto che non sia così.

Meritano a questo punto una menzione speciale benché siano come molti personaggi di questa storia solo elementi in transito, i badanti di Dora, LA Maria e IL José detto dai presenti ilcosè che, È tanto bravo ed è stato tanto vicino alla Dora vedere come la scarrozzava in auto, circolava per le antiche stanze la voce diffusa su una coppia di domestici peruani, lui poliziotto al suo paese e al tempo di Sendero luminoso. Sul motivo del suo approdo in Italia, prima lui, poi la Maria, poi due figli, molte le congetture, alcune note ad AC per bocca di Pilatus che con questo genere di pettegolezzi si divertiva, non ultima la rovina economica in cui il terrorismo dei senderisti del professor Abimael Guzmán aveva instradato il Perú ; la prima invece, tutto esaminato, che il povero José fosse nel mirino di precisione dei senderisti, lui, lei e i figli. Dora pare stravedesse per José e un po’ oltre i confini della simpatia, altri pettegolezzi. Maria e José, si affaccendano per casa, recando bibite e salatini. Una bella immagine sempre in movimento tra figure statiche, magica si potrebbe dire, nel senso di oro incenso e mirra. Con l’animo della campesina che era e che non ha smesso di essere, la Maria in particolare veniva e partiva e tornava, tutta in nero ma con sempre nuove leccornie da sottoporre ad AC per il quale chissà forse provava, non conoscendolo, una chissà quale curiosità, o un’infatuazione infantile, improvvisa peril musicista di famiglia. E non poteva certo intendere che AC, benché toccato bensì dal digiuno che protraeva dalla colazione dell’alba di quel giorno fino a quel pomeriggio, l’idea di toccare del cibo che nella sua mente era contaminato dalla presenza del cadavere, bè era intollerabile. Così a ogni giro di Maria trovava il giusto cenno di diniego e si defilava. AC attraversava gli anditi dell’appartamento come la morte di Saramago, si sentiva proprio tale, un personaggio raggelato che raggela. O forse, se qualcuno in quel momento si fosse preso la briga di osservarne il passo, come un operatore di staedycam che avanza, per così dire imperterrito in mezzo a un folla, aprendola al suo avanzare come farebbe un coltello in una ghiotta torta. Uno che tutto colga senza soffermarsi, senza dilettarsi, lui attento solo a non tralasciare di avere sempre il soggetto o i soggetti nel fuoco del suo obbiettivo. Afferrava così, senza gusto AC i discorsi da funerale, anzi per la verità si interessò di sfuggita alla chiacchiera di un tizio che si imponeva sul suo breve auditorio per statura, un anziano, più anziano di lui che parlava con determinazione di una esecuzione mirabile della sinfonia numero nove di Dvořák, dal nuovo mondo, ne parlava con esattezza di addetto ai lavori, senza mezze misure e con qualche guizzo di ostentazione ; pochi istanti dopo il tale gli si presentò con l’enfasi dell’ammiratore e tuttavia apprese che si trattava di un noto jazzista, noto a chi mah, a lui no che era attestato sul fronte di un eurocentrismo senza remore e anche a mollo nel bagno della musica eurocolta. Di Dvořák deplorava il lontano sciacquarsi nel Hudson invece, e il risultato, quel detestabile ibrido ritmico-sentimentale della sinfonia dal nuovo mondo. Peraltro AC aveva captato da tempo l’inganno, sentimentale appunto, in cui l’America aveva attirato quasi tutti, anche lui quando bambino di seconda elementare sognava di diventare un guidatore di filobus, in modo da potersi permettere la cocacola al bar del capolinea. Non avesse scoperto la musica subito dopo, quella di autista di filobus era stata la sua intima aspirazione.  

AC si immerse nel clima diafano alla sua sensibilità della camera ardente. La cassa da cremazione – per chi non fosse al corrente di questo particolare priva dell’involucro interno di zinco – di un bel noce chiaro, certo impermeabile, foderata come di consueto, ma di materiali, precisa la letteratura funeraria, adatti a una rapida combustione e tali in definitiva da non rilasciare fumi pericolosi per il personale del forno – quindi niente nylon o bemberg o che –. Stava aperta, la cassa, e posata su due semplici cavalletti senza paramenti, né sacri né profani, e, per non indugiare ancora in descrizioni ospitava il corpo asciugato di Dora cui quasi nessuno, dopo le occhiate di cortesia che si devono al morto, sembrava in quel momento badare. Una grossa croce cristiana spiccava in bassorilievo scolpita o fresata sul coperchio della cassa, appoggiato sulla parete di fondo della stanza, nel traffico di chi entrava, passava, sfiorava o baciava la morta in fronte – sulle guance qualche ardito – e poi sostava – in muto raccoglimento nel linguaggio della cronaca –. AC notò due ragazzine singolarmente abbigliate con gonna e collant neri, una camicina bianca abbottonata che ancora non rivelava per niente l’approssimarsi della loro pubertà, sopra un giacchino spencer lasciato sbottonato da una delle due ; stavano in piedi, in lieve agitazione le gambette, e proiettando su un crocchio di adulti, nonni o zii chissà, occhiate che con spaùra, andiamo via, chiedevano, mentre quelli, in mormorévole cortiglio, erano animati da quella sorta di ebbrezza che spesso agli anziani brilla negli occhi ai funerali e che viene a dire, anche questa volta l’abbiamo scampata. Pilatus riceveva abbracci, lievi taptap su una spalla, strette di partecipazione al lutto, fermo in un angolo con il consorte accanto, entrambi in completo scuro, di un nero chiaro camicie bianche entrambi e cravatte antracite ; non peregrino ricordare che entrambi erano medici, urologo Pilatus, oncologo il consorte, entrambi in forza all’ospedale di Pavia, entrambi di sicuro addestrati alla morte, anche alla propria. Di fatto Pilatus pareva avesse confinato il dolore di figlio in una gabbia professionale. Del resto, come ormai è prassi convenuta, quasi nessuno dei visitatori era davvero in nero ; i vecchi, sì, le donne giovani magari in jeans, tranne alcune, ma poche. AC si avvicinò alla cassa, per rendere l’estremo omaggio  alla salma. Di baciarla, lui, nemmeno parlarne, mai quel tipo di farewell carnivoro, mai con labbra vive e passabilmente pulite di vegetariano, mai su una fronte morta e pièce de résistence a quel vivace convivio di batteri ; e oltretutto là dove già un centinaio di persone avevano posato le loro. Molti anni addietro, a quell’atto sciocco che, lo aveva capito bene perché lui capire capiva bene, precipitato di complessi simbolismi, viluppo di intenzioni ancestrali di affetto oltre la morte ecc ecc. gli aveva procurato un brivido di orrore, ai funerali dei suoi si era assoggettato, beninteso con lo spirito di chi forzandosi, coraggio vediamo se sei capace, spinge avanti un sé recalcitrante. Si limitò così a posare una mano sulle mani in croce della morta, di una sparizione, di un essere perduto all’esistere, per pochi secondi, giusto il tempo utile per farsi credere di avere assolto un compito. Poi si volse all’amico e andò ad abbracciarlo senza dire una parola ; lo strinse pensando che stringerlo significasse una partecipazione quanto mai intensa all’evento. Intendiamoci, AC non mancava di empatia, in generale, e se era lì presente a quel fùnere, era perché ne sentiva, già si è detto, la necessità ma, al congedarsi dall’amico e dopo aver offerta la mano con qualche trasporto anche al suo consorte, si volse in direzione della bara per uscire dalla camera ; allora soltanto, con sorpresa, sconcerto e più di tutto occorre dirlo, con orrore, si accorse che di Dora, fuori dal bozzolo del sudario, che ne incorniciava il viso così ben truccato dal tanato-pratico da far pensare che la ben confezionata Dora dormisse,sbucavano liberi i piedi ; nemmeno la morta si fosse voluta garantire una possibilità di fuga all’ultimo istante. Dora, ne abbiamo già accennato aveva piedi forse del 35 e tozzi, alcune dita a martello, altre deviate dal loro assetto, i due alluci entrambi così valghi da dare l’impressione che il metatarso avesse l’intenzione di schizzare fuori dalla carne ; in quel quadro penoso e di incomprensibile motivo, spiccava il particolare delle unghie dipinte, con estrema cura, di un rosso senza vergogna. AC ritenne quella l’ennesima fastidiosa ostentazione di una persona che per tutta la vita si era ostentata e ostesa con inaccettabile sicurezza sicché all’osservare quel bizzarro particolare, in un millesimo di secondo, un flash lo accecò, no, non si tratta di una metafora o di un simbolo ma di un flash, anzi di alcuni, reali e a ripetizione, scattati da vari punti di vista con il telefono da un ragazzo in grigio, vai a sapere se, oddio le parole che scherzi, per immortalare la mortalì dov’era. AC fu colto allora da una inspiegabile malinconia, desolazione, una… ma qui passiamo oltre ché facciamo fatica a trovare definizioni proprie al sentimento che lo scosse, insieme coi flash, e così acuto che corse per uno dei bagni della casa, il più lontano, quello di servizio, ci si chiuse dentro di volata, nemmeno dovesse vomitare : si spogliò di tutte le proprie robe, le dispose in bell’ordine sullo stecche dello stendino inchiavardato al soffitto, levò gli occhiali e li appoggiò sul coperchio del vicì, aprì il rubinetto della doccia e ci si tuffò sotto, svitò il tappo di un bagnoschiuma abbandonato, si cosparse di quel gel profumato, si strofinò per far montare la schiuma e grattò e strofinò per bene le mani, salì oltre i polsi, con la costanza e la tecnica di un chirurgo, e la determinazione però di un ossesso. Poi si abbandonò a una cascata di acqua caldissima. Uno spreco. Dopo quanto tempo non possiamo dire, sentì un toctoctoc alla porta e una voce, la voce di Cosè, se incontra malo señor con un tono confuso tra interrogazione e allarme. AC saltò fuori da un’auto-ipnosi, serrò per bene e in fretta il rubinetto mentre rispondeva, no no grazie grazie tutto a posto. Acchiappò tutti gli asciugamani a portata, tutti lindi e ben secchi, si strofinò ben bene a una velocità di ragazzo sorpreso da solo in bagno, si rivestì, con qualche fastidio – oh quanto avrebbe desiderato un cambio, almeno di biancheria – tirò il nottolino che chiudeva la porta ed escì : tutti (e)stan andando a la chiesa señor per andare incontro al funerale.

Da qui non è facile proseguire col racconto e non è improbabile che lettori ghiotti di nuovo – senza dubbio assente in questo contesto – ne trovino scarsi i motivi di interesse, casomai finora da qualcosa siano stati catturati. Possiamo dire che il funerale fu come AC si aspettava. Al primo banco e in veste ufficiale, dritto nel suo ruolo osservò Pilatus da solo, il marito, da solo, alcuni banchi più indietro ; accanto a Pilatus due cugini con le consorti di ordinanza e l’avvocato G**, notissimo ad AC, curatore di tutti i beni della famiglia, arcilegale metropolitano di un folto numero di titolate e titolati a vari titoli e, sopra ogni cosa, malcelato lover della Dora, per voce diffusa anche da prima che le morisse il papà di Pilatus. A questa diceria codina AC non aveva mai dato credito, non perché la ritenesse improbabile, non era mistero ma dato di fatto, per quanto anche i misteri non possano che essere tali ; ad AC dava e aveva sempre dato molto fastidio tutto ciò che veniva aggregato in un patto con  dissimulazione e simulazione, col cattolicesimo, concludeva un tempo in ogni infiammata discussione. A piè fermo in cima alla scalinata fastosa che conduceva al sagrato di Santa Maria Segreta, attese il termine della messa. Per non farsi notare, anzi per farsi notare meno di quanto era riuscito nell’ardore dell’ardente, prima si era appostato in fondo alla chiesa, la bara in segno di humilitas già deposta, sul nudo marmo del pavimento. Lui, si era accovacciato su una seggiolina accanto a una di quelle vecchie che passano le loro giornate, o almeno molte ore delle poche che loro restano in abluzioni di preghiere ; appena cominciato il rito si era defilato e via di corsa verso il vicino caffè Pagàno – vedete alle volte oh beautiful readers le coincidenze – dove, morsicatoda un appetito furibondo, si era nutrito con tre croissant residuati del mattino, inzuppandoli in un tè, pessimo come sempre nei locali italiani. Ma, a proposito di riti, ci piace dar rilievo al fatto che AC, in ogni occasione in cui saliva sul podio, di un rito di fatto era officiante, di un enigma, ma dato di fatto, la musica, in bilico tra la voluttà dell’ego e la sua abdicazione, l’estetica e la mistica pagana dei misteri, appunto;  un rito espiatorio, di esaltazione collettiva, per partecipare al quale lui da tempo lamentava non fosse più in vigore l’obbligo di una tenuta adeguata, di un abito delle domenica insomma ; a nessun concerto si partecipava anche oggi così mal in arnese come a un messa dove la bruttezza dei partecipanti si univa a quella di un rito spogliato del climax evocativo dei gesti e del latino preconciliare ; e del vestito della domenica. La sua posizione dunque era quella di un critico d’arte posto di fronte allo scarabocchio di un dilettante di preteso talento ; a suo tempo anche AC era stato battezzato ma poi da adulto e con puntiglio e determinazione si era iscritto all’unione italiana degli atei razionalisti e si era fatto sbattezzare ; un atto ufficiale della curia milanese riconosceva la sua dismissione dall’ecclesia e lui, questo passaporto se lo portava ben piegato in una plastichina porta-documenti insieme con il portafoglio così che in caso di decesso improvviso vuoi per incidente vuoi per un qualsiasi accidente non ci si affrettasse a invocare la presenza di un prete. Finalmente il feretro retto da sei impeccabili necrofori. AC ne notò proprio la perfetta aderenza alla loro parte, al rito, il tempo calcolato e i gesti per certi versi marziali – ecco una forma rituale che apprezzava : i funerali militari, specie americani o inglesi, ah che bello quello della regina – il ritmo esatto con cui mano mano fecero scivolare la bara nel furgone Mercedes di lustrissima comparìta. 

Mancò il 18:20 per Lecco, Colico, Chiavenna, si accomodò sul 19:20 già pronto al binario e che sarebbe arrivato una mezz’ora prima dell’ultima partenza alle 22 del postale notturno da Chiavenna per Celerina. In treno cavò di nuovo di tasca  il volume della Rosíni. Lo sfogliò, subito colto dalla fatica, in fin dei conti di quella giornata e dalle poche righe di una nuova lirica di cui subito scordò il titolo, benché ci fosse, e della quale non avrebbe in seguito saputo dire se era alta cucina o la ricetta per l’uovo fritto. Con spirito acritico, rapito dal tempo musicale di quel che poteva apparire sonetto, non fosse stato per il numero minore di versi, dodici anziché quattordici, seguì il flusso degli endecasillabi, gli inciampi di tre ottonari e l’irregolarità di un decasillabo ; vi si attardò senza sapere se li meditava o se lo avevano abbagliato o stordito o magari divertito e appena prima di Monza si avvide che la testa per sua volontà gli cascava sul petto a dimostrare che lui tutto intero stava scivolando in quei sonni di cui il treno è uno dei più abili psicopompi ; chiuse gli occhi e non andò oltre queste tre righe. Titolo, Mam’zelle Chanel :

Ses gants, ses veloutés bijoux
De mannequin Chanel, ne manque jamais
La mort, ma dame, à tous ses rendez-vous…

Fine della quinta parte

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

Ti potrebbero interessare...

Per continuare a navigare su questo sito, accetta l'informativa sui cookies maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi