
Data di pubbl.: 2025
Pagine: 108
Prezzo: €17,50
Cristò è un maestro geniale della scrittura breve.
Lo scrittore barese, come il grande Italo Calvino, nei suoi romanzi abbraccia magnificamente le forme narrative brevi per catturare l’attenzione del lettore e mantenerla alta nell’impatto intenso e emotivo del testo.
Cristò conferma questa scelta in Penultime parole. In poco più di cento pagine la letteratura diventa una questione suggestiva di folgorazione improvvisa.
Italo Calvino in Lezioni americane quando si occupa della Rapidità afferma che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia: in entrambi i casi è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile.
In Penultime parole troviamo una scrittura essenziale che allo stesso tempo ha la tensione della prosa e della poesia.
Cristò ci dona un romanzo poetico: la scrittura mostra una metafisica metaforica in cui le parole si aprono alla realtà.
L’autore, nel raccontare le vicissitudini di due sorelle che si apprestano a diventare rarefatte, (dissolvendosi dalle stanze di un’appartata casa in collina) e diventare parte di un discorso vegetale in cui la natura è padrona di tutto, mette in scena un mondo immaginario che contiene il nostro mondo, proprio come facevano Dino Buzzati e Tommaso Landolfi.
Nel romanzo Cristò tra incanto e disincanto inventa mondi immaginari usa il mezzo fiabesco per tentare un’allegoria della realtà: « Il presente è una storia seduta su un ceppo ad aspettare di avere indietro il libro che non si poteva spostare, che credevamo reggesse la casa , nascosto nel cassetto in cui lei non guardava mai, salvato dalla sepoltura, messo di notte sopra un comodino, piantato a due passi dalla mia finestra, nato come abete rosso, ferito di notte e curato di giorno, ucciso, trascinato, rotolato giù dalla collina, dove lei non lo poteva vedere».
Le due sorelle vivono nella casa in collina in una solitudine umana, animale, , vegetale, diventano una cosa sola con il territorio, scoprono nell’eliminazione del tempo un silenzio che le ricongiunge al mondo nelle dimensioni della Semina, della Fioritura e del Raccolto, che sono anche le tre parti in cui Cristò divide il libro per dare conto tra poesia e prosa di un ragionato viaggio onirico in cui il possibile e l’impossibile si sfiorano, si toccano e il tempo è la parte meno radicata della realtà.
Una scrittura sospesa, visionaria in cui l’alchimia tra il possibile e l’impossibile suggerisce una visione della letteratura che contempla l’esistenza.
Penultime parole, è soprattutto una minimalista odissea poetica che evoca con una scrittura formidabile un pensiero filosofico sulle cose della vita.
Lo scrittore barese legge il libro del mondo di cui facciamo parte.
«Finalmente avevamo rinunciato a conservare il passato, contare gli anni, separare il possibile dell’impossibile, l’accaduto dal sognato, il ricordo dal romanzo».
In queste pagine brilla la luce della poesia, in modo particolare quella con cui Caproni scava il muro della terra.