Premio Chiara 2013: i tre finalisti in dieci righe

Domenica 27 ottobre a Varese nella Sala Napoleonica delle ville Ponti alle 17.15 si terrà la manifestazione finale del Premio Chiara 2013, riservato a raccolte di racconti editi, nel corso della quale verrà proclamato il vincitore. La forma breve di narrazione trova tutti gli anni in questo concorso un’importante vetrina di diffusione e riconoscimento, essendo stata privilegiata da Piero Chiara, autore a cui è dedicato e di cui si sta celebrando quest’anno il centenario della nascita. Ecco in dieci righe ed una citazione la nostra lettura dei tre finalisti.

In “Venti racconti allegri e uno triste” di Mauro Corona (Mondadori) il titolo e la prefazione si contraddicono giocando sull’antitesi. L’autore dichiara infatti che voleva scrivere di allegria e si è ritrovato invischiato in storie di tristezza e quindi ha  dovuto ribaltare il proposito contenuto nel titolo. In realtà si tratta di racconti che alternano sensazioni molto diverse, seguendo l’umore e i casi degli uomini. Le storie di Corona parlano di un mondo di personaggi autentici, spesso irriverenti, sospesi in una dimensione arcaica: forte è nell’autore il senso di perdita di questo mondo in rapporto pre-ecologico con la natura. Così la “malinchetudine” è il sentimento che aleggia sempre nelle pieghe del racconto, facendo capolino nei frequenti scorci lirici. “Alla resa dei conti, stanco di storie tristi, lette e peggio ancora scritte, non ho fatto altro che raccontarne venti più tristi ancora. D’altronde uno è quello che è. Non si scrive quel che si vorrebbe, ma quello che si è capaci di scrivere” .

Sandro Bonvissuto (“Dentro”- Einaudi) scrive di sé: tre racconti autobiografici in cui si parte dal fondo
dell’abisso per raccontarne il punto di partenza, analizzando il rapporto con la famiglia e quello con la scuola. Sono pagine quasi sussurrate, ma ricche di esperienze e convinzioni radicate, che non ammettono repliche. La prima storia è davvero una discesa agli inferi. In carcere si può pensare ad ogni singolo istante, si può riflettere filosoficamente con l’anima scavata dall’errore e dal dolore. Bonvissuto ci fa entrare insieme a lui in un mondo vuoto dove le differenze si azzerano per comporre un’umanità senza speranza. Una prova intensa, cronachistica e psicologica al tempo stesso. A conti fatti è il meno “letterario” dei tre. “Quel posto non presentava nessuna delle cose esistenti nell’universo. Non avevano tolto tutto fino a non lasciare più niente, lì avevano tolto tutto e poi ci avevano messo il nulla. Col nulla avevano rivestito il pavimento. Ci avevano impastato il cemento delle mura, ci avevano verniciato le pareti. Ed è difficile accettare la manifestazione massiccia del nulla” (p.25)

Marco Vichi (Racconti neri- Guanda Editore) invece inventa personaggi e situazioni quotidiane che colpiscono in un crescendo di tensione come pugni nello stomaco ben assestati. Il titolo potrebbe essere modificato così: racconti più neri del nero. C’è la bestialità degli uomini, ci sono le sensazioni forti, i pensieri turpi e su ogni personaggio incombe un destino tragico senza redenzione. Trame lineari attraversate dai sapienti meccanismi della suspense raccontano di vite spezzate: è la vendetta, sotto varie forme e in diverse circostanze che determina il momento della fine. Gli uomini sono lupi, così i dettagli macabri rafforzati dal linguaggio asciutto e a tratti crudo servono a rimarcare le loro abominevoli passioni, i loro lati più oscuri. “Un pazzo. Poteva sparare in qualsiasi momento. Boom. Amen. Forse il mondo non avrebbe perso molto, ma lui sì. Lui aveva tutto quello che voleva, perderlo sarebbe stata una bestemmia”. (p.12)

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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