
Autore: Umberto Saba
Casa Editrice: Mondadori
Genere: Poesia
Pagine: 233
Prezzo: € 13
Umberto Saba oggi è poco letto e soprattutto poco conosciuto. Sorte riservata ad altri autori del nostro secondo Novecento soprattutto grazie alle colpevoli omissioni di una parte del mondo letterario che ha permesso all’oblio di avanzare tragicamente e contribuire a creare zone d’ombra su quella parte del Novecento, quello degli spiriti liberi che la letteratura la consideravano una cosa onesta.
Tra questi sicuramente il poeta Umberto Saba occupa un posto di rilievo. Quando Saba dice che ai poeti resta da fare una poesia onesta è consapevole di aver pronunciato una verità scomoda.
L’onestà consiste nella ricerca delle verità poetiche interiori, le apparenze e i manierismi sono banditi, il linguaggio deve essere chiaro e collocarsi nella cornice della vita reale. Questa è la dichiarazione di Saba a sostegno della poesia autentica che è capace di chiamare le cose con il proprio nome e che lo collocano fuori dalle scuole e dalle accademie del suo temo, lontano dagli ermetici e i futuristi e da tutte le altri correnti letterarie.
Mondadori ripropone negli Oscar Poesie scelte, un volume che uscì la prima volta nel 1976. La scelta dei testi fu affidata a Giovanni Giudici. Le poesie di Saba qui riproposte offrono l’immagine di un io poetico costantemente diviso tra situazioni temporali e conoscitive opposte ma coesistenti: il presente realistico, con i suoi elementi quotidiani, e il passato immaginato o reinventato in chiave letteraria, mitica o psicologica.
«Nata da un grande amore per la poesia, – scrive Giudici- la poesia di Umberto Saba impone al lettore che veramente voglia usarla e goderla una condizione irrinunciabile: un grande amore della poesia».
Saba nasce a Trieste nel 1883. Nel 1908 escono i Versi militari in cui già la sua poesia mostra l’attitudine alla riflessione evocativa sull’esperienza quotidiana.
La fedeltà alla tradizione è sempre fuori discussione nei suoi scritti.
Nel 1924 con i quindici sonetti dell’Autobiografia, il poeta mostra di aver intrapreso una strada propria, nella direzione della scoperta dell’io.
Guido Piovene, nella prefazione alle opere di Saba scrive: «Saba fu un artista rivoluzionario, e non gli darei questo nome qualora fosse stato rivoluzionario, e non gli darei questo nome qualora fosse stato rivoluzionario in un senso solo, non, come fu, poliedrico.
Del poeta rivoluzionario, cioè di verità e scoperta, Saba ha un’altra caratteristica: l’avversione per gli avanguardismi e gli sperimentalismi, l’essere apparentemente, volontariamente normale nel suo modo di esprimersi».
Quello che resta da fare ai poeti è «essere onesti», non sforzare l’ispirazione e non volersi mai mostrare, con espedienti retorici o con bugie, più di quello che sono.
Questa è la grande lezione di Umberto Saba, un credo poetico che dovremmo scolpire nei nostri cuori di uomini e di poeti.
Senza chiarezza interiore, senza sincerità morale, il poeta non riesce a immergersi nel flusso vitale dell’esistenza e perde di vista il compito essenziale della parola: lo scavo interiore necessario a definire ciò che appartiene all’uomo.
Umberto Saba attraverso la poesia onesta recupera il linguaggio parlato e colloquiale e propone la figura del poeta che non rinuncia mai alla chiarezza che avverte la necessita di scavare e di scavarsi dentro con autenticità per non tradire mai le cose che parlano la lingua della vita.
Umberto Saba è il grande poeta della realtà comune, un antinovecentista eretico estraneo alle esperienze poetiche canonizzate del suo tempo (soprattutto a quelle dell’avanguardia) che si ispira alla tradizione poetica italiana avendo sempre il coraggio in ogni suo verso di dire la verità sui sentimenti e sulle motivazione che spingono gli esseri umani a essere e ad agire.
La poesia onesta di Umberto Saba è una delle lezioni più belle e autentiche del nostro Novecento.
La lezione di vita del poeta triestino oggi farebbe bene alla arte poetica italiana contemporanea troppo egocentrica, e a una generazione di poeti che invece continua a ignorarla perché è più comodo essere mistificatori della parola.