MARIO CALABRESI: A OCCHI APERTI TRA LE FOTOFRAFIE CHE HANNO FATTO LA STORIA
Direttore de La Stampa e grande appassionato di fotografie, Mario Calabresi ha intervistato dieci grandi fotografi di fama mondiale, come Paul Fusco, fotografo americano che ha immortalato nei suoi scatti i funerali di Robert Kennedy, rimasti nel cassetto per molti anni, nel disinteresse generale di direttori ed editori e diventato un fenomeno di grande successo solo nel 1978, in occasione del ventennale della morte di Bob Kennedy. Oppure la foto degli immigrati che tentano la fuga dal Messico agli Stati Uniti e vengono arrestati dalla polizia. Un capolavoro nascosto per anni anche gli scatti di Joseph Kudelka, che ha immortalato la repressione sovietica in Repubblica Ceca. “Mi sono sempre chiesto se le gradi foto vengano per caso, per fortuna oppure se c’è qualcosa di più – si è domandato Calabresi – la stessa cosa vale per il giornalismo; non è frutto del caso una foto ma frutto di studio e di metodo, come dimostra Abbas, fotografo iraniano che ha anticipato la rivoluzione di Khomeini, intuendo subito che non era la rivoluzione democratica da lui auspicata”.
Oggi che tutti fotografano con telefonini e altri strumenti digitali, ha ancora un senso il ruolo del fotografo come anche quello del giornalista? Cosa serve per essere un buono fotografo e un buon giornalista? “Serve essere sul posto – ha sottolineato Calabresi, che ha citato anche l’esempio di Domenico Quirico, inviato de La Stampa, rapito per 152 giorni in Siria – per raccontare un bombardamento bisogna essere sotto le bombe, sentire gli stessi odori, gli stessi rumori, come fa Quirico; i fotografi non possono mentire, non possono trovarsi a 200 chilometri dai fatti”.
Tutti possono avere una matita in mano, ma pochi sono i poeti.